Nr. 361
Pubblicato il 27/06/2025

Intervento militare degli USA contro l’Iran

FAVOREVOLE O CONTRARIO?

Nel giugno 2025, gli Stati Uniti hanno compiuto uno dei passi più rischiosi e controversi della politica estera contemporanea: un attacco diretto contro tre siti nucleari iraniani – Fordow, Natanz e Isfahan – marcando l’inizio di una nuova e breve ma intensa fase di conflitto tra Washington e Teheran. L’operazione, definita dal presidente Donald Trump come un “successo chirurgico”, ha riportato il mondo sull’orlo di una guerra su larga scala nel Medio Oriente, riaprendo ferite strategiche mai sanate e accendendo un dibattito globale sulle implicazioni legali, militari e morali di tale decisione.


IL DIBATTITO IN 2 MINUTI:

01 - L’attacco USA ha lo scopo di prevenire la proliferazione nucleare iraniana

L’intervento militare statunitense voleva impedire che l’Iran si dotasse di armi nucleari. L’Iran aveva già arricchito uranio a livelli vicini al 60%, che consente la costruzione di una testata atomica.

02 - L’attacco USA porta un’escalation regionale e al rafforzamento dell’ala dura iraniana

L’intervento militare USA ha innescato un’escalation militare e diplomatica. Ha provocato reazioni iraniane, culminate in attacchi missilistici contro Israele e contro la base americana in Qatar.

03 - L’attacco era necessario per la difesa degli interessi strategici USA e degli alleati

L'intervento ha protetto gli interessi strategici americani e la difesa degli alleati. L’espansione dell’influenza iraniana attraverso le milizie filo-teocratiche stava minacciando la stabilità regionale.

04 - L’attacco USA è illegittimo costituzionalmente e privo di consenso interno

Il presidente Trump ha ordinato l’operazione senza consultare il Congresso. La decisione ha sollevato allarme bipartisan, con molti parlamentari che hanno denunciato un abuso del potere.

05 - L’intervento USA mira a una gestione rapida del conflitto e a limitare l’escalation

L’intervento militare contro l’Iran è stato una campagna militare rapida e contenuta. Trump ha definito l’operazione la “12 Day War”, sottolineando l’efficienza e l'alta precisione.

06 - L’attacca USA ha avuto un effetto limitato sull’obiettivo strategico

L'operazione statunitense ha avuto un impatto operativo limitato sugli obiettivi strategici dichiarati. L’Iran aveva spostato il materiale fissile, riducendo l’efficacia dell’azione USA.

 
01

L’attacco USA ha lo scopo di prevenire la proliferazione nucleare iraniana

FAVOREVOLE

Uno degli obiettivi dichiarati dell’intervento militare statunitense è stato quello di impedire che l’Iran si dotasse di armi nucleari. L’Iran, secondo le valutazioni dell’AIEA, aveva già arricchito uranio a livelli vicini al 60%, soglia tecnica che consente la costruzione di una testata atomica. I tre principali siti coinvolti nel programma – Fordow, Natanz e Isfahan – sono stati scelti come obiettivi primari dall’amministrazione Trump per l’intervento militare del giugno 2025.
Testate come “AP News” e “CNN” hanno confermato che l’azione ha colpito con precisione le infrastrutture chiave, in particolare utilizzando bombe GBU-57 “bunker buster”, capaci di penetrare strutture fortificate sotterranee. L’attacco ha inflitto danni sostanziali agli impianti sotterranei, sebbene non li abbia annientati. L’AIEA ha confermato la distruzione parziale degli impianti, ma anche la rimozione preventiva del materiale fissile da parte iraniana, segno di una certa capacità di preavviso.
Tuttavia, come ha sottolineato il Center for Strategic and International Studies (CSIS), pur non avendo distrutto l’intera capacità nucleare dell’Iran, l’attacco ha avuto l’effetto di ritardare il programma atomico di diversi mesi. Questo ha concesso tempo prezioso alla diplomazia internazionale per reagire. In particolare, il bombardamento avrebbe alzato i costi per Teheran, costringendola a riorganizzare le strutture in luoghi più segreti o sicuri, rallentando così le tempistiche operative.
Dal punto di vista strategico, inoltre, si è trattato di un’azione preventiva, sostenuta dall’intelligence israeliana e americana, secondo la quale l’Iran stava pianificando una fase finale di arricchimento in grado di portare rapidamente alla costruzione di un ordigno. L'assenza di un’azione tempestiva, sostenevano gli analisti favorevoli all'intervento, avrebbe potuto tradursi in una situazione irreversibile: un Iran dotato di armi nucleari avrebbe reso qualsiasi soluzione diplomatica inutile e avrebbe messo a rischio la sicurezza regionale.
Anche il contesto politico ha avuto il suo peso: nel quadro del secondo mandato di Trump, l’intervento è stato utilizzato per dimostrare coerenza con la politica di “massima pressione” e dissuasione attiva contro i regimi ostili. La misura, seppur drastica, è stata letta da parte dell’opinione pubblica conservatrice come un segnale della volontà americana di fermare la proliferazione nucleare in Medio Oriente. La logica è quella di colpire prima che sia troppo tardi, usando la forza come deterrente e aprendo la porta a futuri negoziati su basi più forti.

Nina Celli, 27 giugno 2025

 
02

L’attacco USA porta un’escalation regionale e al rafforzamento dell’ala dura iraniana

CONTRARIO

L’intervento militare statunitense contro l’Iran ha innescato un’escalation militare e diplomatica che ha aggravato, anziché contenere, le tensioni regionali. La decisione di colpire direttamente tre siti nucleari – Fordow, Natanz e Isfahan – ha immediatamente provocato una serie di reazioni iraniane, culminate in attacchi missilistici contro Israele e contro la base americana di Al Udeid in Qatar. Come riportato da “CNN”, “AP News” e “ISW”, la rappresaglia iraniana ha causato morti civili e ha mobilitato forze militari alleate.
Il bombardamento USA è stato interpretato dal regime iraniano come un attacco esistenziale, rafforzando l’ala più radicale e isolazionista. Il Leader Supremo Ali Khamenei si è rifugiato in un bunker e ha avviato un processo di successione anticipata, segno di una crisi di legittimità interna. Secondo il Center for Strategic and International Studies, tale reazione interna ha portato alla cancellazione di qualsiasi dialogo multilaterale sul nucleare, con la chiusura ai colloqui con l’AIEA e una minaccia di disimpegno totale dagli obblighi internazionali.
L’escalation ha avuto effetti negativi anche fuori dall’Iran. Hezbollah, in Libano, ha annunciato la mobilitazione in caso di ulteriore attacco israeliano, mentre le milizie sciite in Iraq hanno aumentato gli attacchi contro postazioni USA. Gli Houthi, sostenuti da Teheran, hanno intensificato le operazioni navali nel Mar Rosso. Secondo “CFR” e “CSIS”, il rischio di trasformare lo scontro diretto in una guerra per procura estesa è cresciuto, mettendo a rischio la sicurezza energetica mondiale e la vita dei civili in vari scenari.
Inoltre, la possibilità che l’Iran proceda a una militarizzazione definitiva del proprio programma nucleare è aumentata. Il bombardamento ha fornito alla Repubblica Islamica la giustificazione perfetta per rompere ogni limite tecnico e giuridico imposto dal JCPOA. L’AIEA ha denunciato la perdita di accesso agli impianti colpiti, impedendo qualunque verifica esterna. Un Iran più isolato, sotto attacco e radicalizzato ha ora meno incentivi a collaborare e più motivazioni a dotarsi di armi di distruzione di massa.
L’intervento USA, che nelle intenzioni avrebbe dovuto disinnescare una minaccia, potrebbe aver gettato le basi per una nuova corsa agli armamenti nella regione. Altri attori, come l’Arabia Saudita, potrebbero sentirsi costretti a dotarsi di armamenti nucleari in chiave difensiva. Per molti analisti, quindi, l’azione militare ha fatto esattamente il contrario di quanto promesso: ha rafforzato l’Iran più estremista e moltiplicato le possibilità di un conflitto regionale.

Nina Celli, 27 giugno 2025

 
03

L’attacco era necessario per la difesa degli interessi strategici USA e degli alleati

FAVOREVOLE

Un altro pilastro della giustificazione all’intervento militare statunitense in Iran è stato la protezione diretta degli interessi strategici americani e la difesa degli alleati, in primis Israele. Gli Stati Uniti mantengono nel Medio Oriente oltre 40.000 militari, con basi fondamentali come Al Udeid in Qatar e strutture operative nel Golfo Persico e nel Levante. Secondo le analisi pubblicate dalla “CNN” e dal “Council on Foreign Relations”, l’espansione dell’influenza iraniana attraverso le milizie filo-teocratiche stava minacciando la stabilità regionale.
Il sostegno a gruppi come Hezbollah, Hamas, le Forze di Mobilitazione Popolare in Iraq e gli Houthi in Yemen è stato percepito da Washington come un tentativo iraniano di consolidare un “arco di influenza” antioccidentale. Inoltre, gli attacchi missilistici contro basi statunitensi in Siria e Iraq e l’uso del territorio siriano per colpire interessi israeliani hanno intensificato la pressione. Fonti come “ISW” riportano che l'Iran aveva aumentato il supporto logistico e strategico a questi attori regionali, inclusi missili e droni a lungo raggio.
Israele, nel frattempo, era già impegnata in una campagna militare ad alta intensità contro obiettivi iraniani, dopo che oltre 300 droni e missili erano stati lanciati su territorio israeliano ad aprile 2024. Il pericolo di un attacco simultaneo contro Israele e gli Stati Uniti, combinato con l’intelligence su un possibile completamento del ciclo nucleare, ha motivato la Casa Bianca a un’azione preventiva. Secondo “AP News”, questa si è tradotta in un attacco congiunto USA-Israele, anche se le autorità israeliane non l’hanno ufficialmente confermato.
Dal punto di vista della sicurezza collettiva, l’intervento ha riaffermato la validità dell’alleanza strategica tra USA e Israele e ha inviato un chiaro messaggio agli attori regionali: gli Stati Uniti sono pronti ad agire direttamente per contenere le minacce. Anche alcuni Paesi del Golfo, pur mantenendo una posizione formale di neutralità, hanno accolto positivamente la riduzione temporanea della capacità militare iraniana.
L’attacco ha contribuito a proteggere le rotte energetiche globali: lo Stretto di Hormuz, da cui passa circa il 20% del petrolio mondiale, era stato minacciato da Teheran. Un Iran dotato di una capacità nucleare avanzata avrebbe potuto militarizzare lo stretto in modo molto più aggressivo. Colpendo in anticipo, gli USA hanno rafforzato il principio secondo cui la libertà di navigazione e la sicurezza energetica globale rientrano nei propri interessi vitali. L’intervento, in questo senso, si inquadra in una dottrina coerente di sicurezza energetica globale.

Nina Celli, 27 giugno 2025

 
04

L’attacco USA è illegittimo costituzionalmente e privo di consenso interno

CONTRARIO

L’intervento militare del giugno 2025 è stato criticato non solo per le sue implicazioni internazionali, ma anche per le gravi questioni costituzionali e politiche che ha sollevato negli Stati Uniti. Il presidente Trump ha ordinato l’operazione senza consultare il Congresso, aggirando di fatto il War Powers Resolution del 1973, che richiede l’autorizzazione legislativa per ogni azione militare prolungata. Secondo quanto riportato da “PBS”, “CBS News” e “Center for American Progress”, la decisione ha sollevato allarme bipartisan, con molti parlamentari che hanno denunciato un abuso del potere esecutivo.
Le critiche non si sono limitate ai Democratici. Anche esponenti del Partito Repubblicano hanno espresso riserve sulla modalità con cui è stato avviato l’intervento. Il senatore libertario Rand Paul e altri membri della corrente non-interventista hanno denunciato la mancanza di trasparenza e la strumentalizzazione elettorale dell’operazione. Una parte del movimento MAGA, storicamente scettico rispetto agli interventi militari, ha evidenziato l’incoerenza tra la retorica isolazionista della campagna 2024 e l’azione intrapresa nel 2025.
Sul piano mediatico, l’intervento ha esacerbato la polarizzazione politica. Le emittenti conservatrici hanno sostenuto Trump, ma giornali come il “New York Times”, “Washington Post” e reti come MSNBC hanno dedicato ampio spazio alle implicazioni costituzionali e ai rischi di trascinare il Paese in un nuovo conflitto. Il sondaggio CBS News del 24 giugno 2025 ha mostrato che il 65% degli americani ritiene che l’azione militare avrebbe dovuto essere autorizzata dal Congresso, con una netta maggioranza tra gli elettori indipendenti e giovani.
Candidati democratici e indipendenti hanno usato l’intervento come argomento per rafforzare la richiesta di riforma del War Powers Act e di riduzione dei poteri presidenziali in ambito militare. Progressisti come Ro Khanna e Bernie Sanders hanno introdotto nuove proposte di legge per subordinare ogni impiego di forza all’approvazione parlamentare. Secondo “PBS”, anche senatori centristi hanno preso le distanze.
L’intervento militare del 2025, quindi, ha riaperto un vecchio dibattito sulla separazione dei poteri in politica estera. Sebbene sia stato efficace nel colpire obiettivi specifici, ha mostrato i limiti di un sistema in cui il potere esecutivo può agire senza controllo, minando la fiducia nelle istituzioni e alimentando il senso di impotenza del Congresso. Per molti analisti, il vero rischio non è solo lo scenario internazionale, ma la progressiva erosione delle garanzie costituzionali nel contesto democratico americano.

Nina Celli, 27 giugno 2025

 
05

L’intervento USA mira a una gestione rapida del conflitto e a limitare l’escalation

FAVOREVOLE

Contrariamente alle aspettative che temevano un conflitto lungo e devastante, l’intervento militare statunitense contro l’Iran nel giugno 2025 si è trasformato in una campagna militare rapida e contenuta. Il presidente Trump ha definito l’operazione la “12 Day War”, sottolineando l’efficienza e la capacità degli Stati Uniti di eseguire un’azione militare di alta precisione senza trascinare il Paese in una guerra prolungata. Le fonti come “AP News” e “CNN” confermano che le operazioni si sono concluse nel giro di due settimane, con danni mirati e nessun impiego massiccio di truppe terrestri.
L’obiettivo di limitare l’escalation è stato perseguito con attenzione diplomatica parallela. Il cessate il fuoco è stato raggiunto anche grazie a una mediazione del Qatar e al ruolo di facilitatori svolto da funzionari americani come Marco Rubio e Steve Witkoff. Washington ha fornito canali di comunicazione indiretta a Teheran per chiarire i limiti dell’operazione e prevenire fraintendimenti. Secondo “American Progress”, l’attacco alla base USA in Qatar – pur simbolico – è stato preannunciato e non ha causato vittime, dimostrando la volontà iraniana di evitare una risposta sproporzionata.
Israele, pur mantenendo la pressione militare su altri obiettivi, ha rispettato la tregua negoziata, e ciò ha ridotto il rischio di un ampliamento del conflitto. La maggioranza dei Paesi del Golfo ha mantenuto una posizione attendista, segnale che l’operazione non ha infranto equilibri regionali troppo sensibili. Le informazioni raccolte da “CSIS” indicano che le diplomazie occidentali hanno sfruttato l’intervallo creato dal cessate il fuoco per riattivare contatti multilaterali, in particolare con l’ONU e l’AIEA.
Dal punto di vista operativo, il conflitto si è mantenuto circoscritto: nessuna mobilitazione di massa, nessun coinvolgimento diretto di terze potenze come Russia o Cina, e un impatto economico contenuto sulle borse e sul mercato petrolifero. Anche il traffico aereo in Qatar è stato riaperto entro 48 ore, segno che la tensione si è rapidamente riassorbita. Secondo l’amministrazione Trump, questo dimostra la capacità americana di proiettare forza in modo chirurgico, senza degenerare in occupazioni militari.
Sul piano interno, la brevità del conflitto ha ridotto i costi politici e militari. Pur essendoci state critiche per la mancata consultazione del Congresso, la velocità e l’efficacia dell’intervento hanno disinnescato molte delle accuse più gravi. Per i sostenitori, si tratta di una dimostrazione che gli Stati Uniti possono ancora agire con decisione, mantenendo il controllo e contenendo i danni collaterali.

Nina Celli, 27 giugno 2025

 
06

L’attacca USA ha avuto un effetto limitato sull’obiettivo strategico

CONTRARIO

Nonostante la spettacolarità dell’intervento militare e il messaggio politico inviato a Teheran, numerose fonti sostengono che l’operazione statunitense abbia avuto un impatto operativo limitato sugli obiettivi strategici dichiarati. I tre impianti nucleari colpiti (Fordow, Natanz e Isfahan) erano già sotto osservazione dell’AIEA, e in parte già noti alla comunità internazionale. L’Iran, consapevole del rischio di un attacco, aveva predisposto lo spostamento di materiale fissile, riducendo così l’efficacia militare dell’azione USA.
Secondo le analisi del Center for American Progress e dei tecnici dell’AIEA, l’intervento ha distrutto le infrastrutture ma non ha eliminato le competenze tecniche, le scorte di uranio arricchito o la volontà politica di Teheran. Anzi, la risposta iraniana – che ha incluso il ritiro dalla cooperazione con l’AIEA e l’espulsione di alcuni ispettori – ha ridotto drasticamente la trasparenza e la capacità di monitoraggio del programma nucleare. In altre parole, dopo l’intervento, si conosce meno del programma atomico iraniano rispetto a prima.
Dal punto di vista tattico, l’effetto è stato ritardare – ma non bloccare – la capacità iraniana di costruire un’arma nucleare. Fonti israeliane citate da “AP News” stimano che l’Iran potrebbe comunque riprendere la produzione entro sei mesi. Inoltre, come osservato da “Foreign Affairs”, l’attacco ha rafforzato la convinzione interna al regime che solo un’arma nucleare possa garantire la sopravvivenza contro le minacce esterne, paradossalmente accelerando il processo decisionale per la militarizzazione.
L’assenza di un piano politico e diplomatico coordinato con l’azione militare è un altro elemento critico. L’intervento non è stato accompagnato da una proposta multilaterale per il disarmo, né da una riapertura ufficiale dei negoziati sul JCPOA. Gli Stati Uniti, agendo unilateralmente, hanno vanificato gli sforzi di mediazione portati avanti dall’Europa e da altri attori. Fonti come “CSIS” e “PBS” lamentano che, invece di rafforzare l’architettura della non proliferazione, l’intervento l’ha indebolita.
L’attacco ha alimentato una narrazione di vittimismo da parte iraniana, utilizzata dal regime per giustificare la repressione interna e la limitazione delle libertà civili. Secondo il Center for Human Rights in Iran, la retorica dell’aggressione esterna ha fornito copertura alla criminalizzazione del dissenso e alla militarizzazione della politica. Se lo scopo dell’intervento era rendere il mondo più sicuro e l’Iran meno pericoloso, i risultati appaiono quanto meno incerti.

Nina Celli, 27 giugno 2025

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