Nr. 356
Pubblicato il 18/06/2025

Attacco israeliano all’Iran

FAVOREVOLE O CONTRARIO?

Il 14 giugno 2025 l’aeronautica israeliana, con un’operazione di precisione pianificata da mesi, ha colpito più di duecento obiettivi in territorio iraniano, tra cui impianti nucleari, basi dell’IRGC e, simbolicamente, la sede della televisione di Stato IRIB. Il raid è stato presentato dal governo Netanyahu come un atto di autodifesa: Israele non poteva più tollerare la “minaccia esistenziale” rappresentata dal programma atomico iraniano, secondo quanto dichiarato alla stampa. L’immediata reazione iraniana è stata violenta: un’ondata di missili balistici – oltre 200 – è stata lanciata contro il territorio israeliano, causando vittime a Tel Aviv, danneggiando infrastrutture diplomatiche e militari e riaprendo ferite geopolitiche mai chiuse. La tensione ha lambito gli Stati Uniti, ha mobilitato il G7, ha paralizzato le Nazioni Unite e ha spaventato le cancellerie del mondo intero, con il timore concreto di un’escalation regionale irreversibile. Questo è l’ultimo atto – per ora – di una lunga guerra fredda tra due Paesi che, una volta, furono alleati.


IL DIBATTITO IN 2 MINUTI:

01 - L’attacco all’Iran è autodifesa preventiva in virtù del diritto alla sicurezza nazionale

La decisione dell'attacco è maturata all’interno di un contesto storico e geopolitico in cui Israele si sente da anni circondato da milizie sostenute dall’Iran.

02 - L’attacco di Israele è una violazione del diritto internazionale e del principio di sovranità

Israele ha operato senza un’autorizzazione dell’ONU, senza un attacco preventivo iraniano e senza che vi fosse un’immediata minaccia letale.

03 - L’attacco israeliano è volto a neutralizzare la minaccia nucleare iraniana

L’offensiva israeliana in Iran è volta alla neutralizzazione – o quantomeno al rallentamento – del programma nucleare della Repubblica Islamica.

04 - L’attacco israeliano sta causando un alto numero di vittime civili e una crisi umanitaria in Iran

L’attacco israeliano ha provocato uno dei bilanci civili più gravi in un conflitto tra Stati del XXI secolo. Colpiti quartieri civili, ospedali, mezzi di trasporto, la sede della televisione pubblica iraniana.

05 - Israele ha mostrato efficacia militare volta alla deterrenza regionale

L’attacco israeliano in Iran dimostra la forza militare dello Stato ebraico. L’offensiva ha evidenziato la superiorità tecnologica e informativa delle forze armate israeliane.

06 - Non ci sono prove concrete sulla minaccia nucleare imminente da parte dell’Iran

Non ci sono dati ufficiali sull’imminenza di un attacco nucleare. Le ispezioni dell’AIEA fino a maggio 2025 non hanno rilevato violazioni da parte dell'Iran.

07 - Anche se in forma tacita, Israele ha legittimità diplomatica e supporto internazionale

Tel Aviv ha agito con una tacita legittimazione da parte di numerose potenze occidentali, in primis gli Stati Uniti.

08 - L’attacco israeliano ha effetti geopolitici destabilizzanti e apre al rischio di una guerra regionale

L’attacco israeliano in Iran ha generato un effetto domino che sta destabilizzando l’intero Medio Oriente. Potrebbe essere il primo anello di una possibile escalation.

 
01

L’attacco all’Iran è autodifesa preventiva in virtù del diritto alla sicurezza nazionale

FAVOREVOLE

Israele ha agito in autodifesa preventiva. È questa la tesi fondante del governo Netanyahu, ribadita con fermezza in ogni sede diplomatica, nei comunicati dell’IDF e nelle dichiarazioni pubbliche. La minaccia non è percepita come ipotetica: è concreta, accumulata da anni, stratificata in dossier d’intelligence e alimentata da dichiarazioni ufficiali del regime iraniano che da decenni nega la legittimità dello Stato ebraico. “Non è solo una guerra per difendere il nostro territorio, ma per garantire che i nostri figli abbiano un futuro sicuro”, ha detto Netanyahu in un messaggio video diffuso durante l’escalation.
La decisione di colpire obiettivi strategici a Teheran e in altre zone del paese è maturata all’interno di un contesto storico e geopolitico in cui Israele si sente da anni circondato da milizie sostenute dall’Iran: Hezbollah in Libano, Hamas a Gaza, e più recentemente, le forze Houthi in Yemen. Secondo il liveblog di “Al Jazeera”, l’Iran ha reagito agli attacchi israeliani promettendo “la più grande risposta missilistica della storia” e lanciando oltre 200 missili contro città israeliane, compresa Tel Aviv, dove è stato colpito anche un ramo dell’ambasciata americana.
In questo quadro, l’autodifesa non è solo una risposta a una minaccia immediata, ma una misura strategica: prevenire che l’Iran possa rafforzare ulteriormente la sua capacità militare o acquisire un’arma nucleare. “La nostra intelligence suggerisce che i piani nucleari iraniani sono più avanzati di quanto si pensasse”, ha affermato un funzionario della difesa israeliana citato dalla “CNN”. E ancora: “Abbiamo distrutto il 35% delle loro capacità missilistiche a lungo raggio in meno di una settimana”.
Questo tipo di azione si inserisce in una dottrina militare che Israele applica sin dai tempi dell’Operazione Opera del 1981, quando fu distrutta la centrale nucleare di Osirak in Iraq. All’epoca, Israele venne criticato ma oggi molti storici ammettono che quell’azione impedì a Saddam Hussein di ottenere l’arma atomica. Anche allora, come oggi, la logica era: meglio agire ora che subire dopo.
Non va dimenticato, inoltre, che l’Iran continua a esercitare influenza su gruppi armati che minacciano Israele lungo i suoi confini.
In un mondo in cui la diplomazia spesso fallisce e i trattati internazionali vengono elusi, Israele si è assunto la responsabilità – moralmente e politicamente rischiosa – di colpire per primo. È una decisione che il governo ha giustificato con il principio della “necessità estrema” riconosciuto, seppure controversamente, nel Diritto internazionale.

Nina Celli, 18 giugno 2025

 
02

L’attacco di Israele è una violazione del diritto internazionale e del principio di sovranità

CONTRARIO

Israele ha invaso lo spazio aereo iraniano, colpito obiettivi nel cuore di Teheran e bombardato impianti sensibili senza un’autorizzazione dell’ONU, senza un attacco preventivo iraniano e senza che vi fosse un’immediata minaccia letale. È a tutti gli effetti un’“aggressione unilaterale”. In un sistema di Diritto internazionale fondato sul principio della sovranità, l’azione di Tel Aviv ha violato in pieno l’articolo 2 della Carta delle Nazioni Unite: nessuno Stato può usare la forza contro l’integrità territoriale di un altro, salvo in caso di attacco armato o con autorizzazione del Consiglio di Sicurezza.
La narrazione dell’autodifesa preventiva, tanto evocata da Israele, ha un problema giuridico: non esistono prove verificate che l’Iran stesse preparando un attacco imminente. L’AIEA ha confermato che, pur essendo avanzato, il programma nucleare iraniano non ha raggiunto la soglia critica per la costruzione di una bomba, e soprattutto, “non sono state riscontrate fughe o anomalie nei siti colpiti”.
Secondo Stefania Maurizi, giornalista investigativa, “i principali siti nucleari erano intatti, e le accuse israeliane si basano su presunzioni e non su prove concrete”. Questa discrepanza tra retorica e realtà mina la credibilità dell’azione. Non si tratta solo di legittimità politica, ma di tenuta dell’intero ordinamento internazionale.
Inoltre, l’assenza di un mandato ONU rende l’azione ancora più grave. Nessuno Stato, nemmeno alleati storici come Germania e Francia, ha riconosciuto formalmente la legittimità dell’attacco. Il Regno Unito si è limitato a “muovere asset militari nella regione” come misura di contenimento, mentre la Cina e la Russia hanno condannato l’azione israeliana come “una minaccia alla stabilità globale”.
Il pericolo maggiore, però, è il precedente. Se Israele può attaccare l’Iran in nome di una minaccia presunta, quale sarà il limite per altri Stati? Domani sarà l’India a bombardare il Pakistan preventivamente? O la Turchia ad agire unilateralmente in Siria? La legalità internazionale non può essere riformulata sulla base delle percezioni soggettive di rischio, altrimenti si aprono le porte all’anarchia strategica.
L’attacco israeliano, dunque, non solo è illegittimo sul piano normativo, ma è pericoloso sul piano storico. Non ha fermato il programma nucleare iraniano, non ha ottenuto l’approvazione delle Nazioni Unite e ha solo esasperato un conflitto già acceso, portando l’intera regione a un passo da una guerra generalizzata.

Nina Celli, 18 giugno 2025

 
03

L’attacco israeliano è volto a neutralizzare la minaccia nucleare iraniana

FAVOREVOLE

Uno dei principali razionali strategici dell’offensiva israeliana in Iran è legato alla neutralizzazione – o quantomeno al rallentamento – del programma nucleare della Repubblica Islamica. Per Tel Aviv, l’ipotesi che Teheran possa dotarsi di un’arma atomica non è una semplice questione di equilibri geopolitici, ma un tema esistenziale. A differenza di altre crisi internazionali, quella tra Israele e Iran si caratterizza per una narrativa esplicita e prolungata in cui la distruzione dello Stato ebraico è stata invocata pubblicamente da esponenti del regime iraniano.
Secondo l’IAEA, l’Iran possiede circa 400 kg di uranio arricchito al 60%, una soglia vicinissima al livello per uso militare, sufficiente per costruire fino a dieci ordigni nucleari. Questa informazione, riportata anche dalla “BBC”, ha rappresentato per Israele una linea rossa. L’inazione, secondo molti analisti israeliani, avrebbe significato cedere all’inevitabilità di una bomba iraniana. Il ministro della Difesa ha parlato di “una finestra di opportunità che si chiude rapidamente”.
Il raid del 14 giugno ha colpito, tra gli altri, gli impianti sotterranei di Natanz e Isfahan, oltre a centri di comando militari e reti di comunicazione critiche. Nonostante l’AIEA non abbia segnalato fughe radioattive, ha confermato che gli attacchi “hanno interrotto il funzionamento ordinario degli impianti nucleari, causando danni infrastrutturali rilevanti”.
La logica israeliana è chiara: ogni giorno in più senza attaccare avrebbe aumentato le possibilità che l’Iran portasse avanti il programma indisturbato. Come nel caso della Siria nel 2007, o dell’Iraq nel 1981, Israele ha optato per la dottrina del “mowing the grass”: colpire, destabilizzare e ritardare. “Non possiamo distruggere il know-how, ma possiamo impedire la costruzione dell’arma”, ha dichiarato un ufficiale IDF al “NYTimes”.
Va inoltre considerato l’impatto psicologico: l’attacco ha lanciato un messaggio potente sia all’Iran che agli altri attori regionali (come l’Arabia Saudita, che nel 2018 paventò la costruzione di una bomba come deterrente) che Israele non tollererà una corsa agli armamenti nucleari nella regione. È un monito anche per la comunità internazionale, troppo spesso titubante nell’imporre limiti reali al programma iraniano. Se l’Iran abbandonerà o modererà le sue ambizioni atomiche dopo questo attacco – oppure se le accelererà – resta un interrogativo. Ma per Israele, l’alternativa a non agire era peggiore: un Medio Oriente con più armi nucleari e meno margini di deterrenza.

Nina Celli, 18 giugno 2025

 
04

L’attacco israeliano sta causando un alto numero di vittime civili e una crisi umanitaria in Iran

CONTRARIO

L’operazione militare israeliana del giugno 2025 ha provocato uno dei bilanci civili più gravi in un conflitto tra Stati del XXI secolo. A essere colpiti non sono stati solo bunker militari o siti nucleari, ma anche quartieri civili, ospedali, mezzi di trasporto, e – simbolicamente – la sede della televisione pubblica iraniana IRIB, colpita mentre una giornalista era in diretta televisiva.
Il numero delle vittime è agghiacciante: secondo il Ministero della Salute iraniano, confermato da “Al Jazeera”, i morti ammontano a 224 persone e i feriti a 1.481, tra cui decine di donne, bambini, anziani e lavoratori che non avevano alcun legame con le strutture militari. L’articolo racconta le storie di Mahsa, un’insegnante, Reza, un fotografo freelance, e Sara, un’istruttrice di Pilates, uccisi nei bombardamenti nei pressi di Teheran. Nessuno di loro era un bersaglio legittimo.
La retorica dell’attacco chirurgico è stata smontata anche da osservatori esterni. La CPJ (Committee to Protect Journalists) ha condannato il bombardamento di IRIB come “una violazione della libertà di stampa e un precedente gravissimo contro il diritto all’informazione in tempo di guerra”.
Ma oltre al bilancio umano diretto, l’attacco ha scatenato un esodo di massa da Teheran: secondo la “BBC”, più di 400.000 persone hanno lasciato la capitale nei giorni successivi all’attacco per paura di ulteriori bombardamenti. Le immagini mostrano autostrade intasate, stazioni ferroviarie prese d’assalto e file agli ospedali civili, molti dei quali erano già sovraccarichi. L’effetto psicologico della guerra è devastante. “Non sappiamo dove rifugiarci. I bambini piangono ogni volta che sentono un rumore forte”, ha raccontato una madre intervistata da “Al Jazeera” in un rifugio improvvisato in periferia.
Anche la diplomazia internazionale ha espresso sconcerto. Il Papa ha parlato di “un’azione che colpisce i più deboli”, mentre la Francia ha chiesto un’inchiesta indipendente sui bersagli civili. La comunità umanitaria ha messo in guardia contro il rischio di epidemie e collasso dei servizi di base se il conflitto si protrae. Insomma, la sproporzione tra gli obiettivi dichiarati e le conseguenze reali dell’attacco mina ogni pretesa di legittimità. Non è autodifesa: è punizione collettiva, inaccettabile secondo ogni principio umanitario.

Nina Celli, 18 giugno 2025

 
05

Israele ha mostrato efficacia militare volta alla deterrenza regionale

FAVOREVOLE

Uno degli elementi più rilevanti emersi dall’attacco israeliano in Iran è l’indiscutibile dimostrazione di forza militare da parte dello Stato ebraico. L’offensiva, coordinata su più fronti – Iran, Libano, Siria e, indirettamente, Yemen – ha evidenziato la superiorità tecnologica e informativa delle forze armate israeliane non solo rispetto all’Iran, ma anche rispetto a tutta l’architettura di resistenza regionale sostenuta da Teheran. L’operazione ha avuto un impatto dirompente su ciò che molti definivano “l’asse della resistenza”, smantellando in pochi giorni l’illusione di un equilibrio strategico.
Secondo la “CNN”, Israele ha distrutto circa il 35% delle piattaforme missilistiche a lungo raggio iraniane, neutralizzando una parte importante della capacità offensiva dell’Iran. Parallelamente, attacchi mirati in Siria e nel sud del Libano hanno colpito magazzini militari, centri di comando e veicoli missilistici. L’efficienza dell’operazione ha lasciato molti osservatori internazionali sorpresi, compresi i funzionari del Pentagono, che hanno elogiato – pur restando pubblicamente neutrali – “la rapidità con cui l’IDF ha eseguito l’azione multilivello”.
L’impatto va oltre il piano tattico. La deterrenza è un pilastro fondamentale per Israele, Nazione che vive in un contesto regionale ostile fin dalla sua fondazione. Gli attacchi hanno inviato un messaggio inequivocabile non solo all’Iran, ma anche ai suoi alleati: nessuna escalation sarà tollerata senza risposta. Netanyahu lo ha chiarito in un discorso al Knesset: “Abbiamo dimostrato che non siamo più disposti ad attendere. Chiunque sostenga la nostra eliminazione, sappia che colpiremo per primi”.
Secondo “Haaretz”, nonostante le critiche internazionali, il successo dell’operazione ha rafforzato Netanyahu sul piano interno, diminuendo la pressione dell’opinione pubblica che temeva una guerra prolungata come quella del 2006 con Hezbollah.
L’attacco ha inoltre messo a nudo l’inefficacia della difesa iraniana. Nonostante il dispiegamento di batterie antiaeree russe e cinesi, le forze iraniane non sono riuscite a difendere né gli obiettivi civili né quelli strategici. In un solo giorno, secondo “Al Jazeera”, Israele ha colpito oltre 80 infrastrutture militari e logistiche. Questo ha dissuaso anche i partner dell’Iran: né la Russia né la Cina si sono attivamente impegnate, lasciando Teheran isolata diplomaticamente.
Israele ha quindi dimostrato di poter colpire ovunque e con precisione, senza un coinvolgimento diretto degli Stati Uniti. In un contesto in cui gli USA cercano di ridurre la propria presenza in Medio Oriente, Israele si posiziona come attore capace di azione autonoma ad alta intensità.

Nina Celli, 18 giugno 2025

 
06

Non ci sono prove concrete sulla minaccia nucleare imminente da parte dell’Iran

CONTRARIO

La narrativa israeliana che giustifica l’attacco come un intervento necessario per fermare il programma nucleare iraniano è priva, ad oggi, di una prova verificata pubblicamente. Sebbene l’Iran abbia un programma di arricchimento dell’uranio avanzato, non esistono dati ufficiali o indipendenti che dimostrino l’imminenza di una bomba o di un attacco nucleare. Anzi, tutte le ispezioni dell’AIEA fino al mese di maggio 2025 hanno confermato che l’Iran è sotto osservazione attiva e che, pur essendoci preoccupazioni, non sono state rilevate violazioni definitive del Trattato di Non Proliferazione (TNP).
L’inchiesta pubblicata da Stefania Maurizi su “Il Fatto Quotidiano” è stata una delle più dure nel criticare l’uso di argomentazioni “preventive” prive di fondamento verificabile. Maurizi cita fonti interne all’AIEA secondo cui gli impianti colpiti – tra cui Isfahan e Natanz – non contenevano materiale fissile attivo al momento del bombardamento e che i danni provocati hanno compromesso l’operato degli ispettori più che quello dei tecnici iraniani.
Anche il liveblog della “CNN” ha riportato dichiarazioni contrastanti da parte di funzionari statunitensi, alcuni dei quali ammettevano che le informazioni fornite da Israele prima dell’attacco non erano sufficienti a giustificare un’azione preventiva. Un funzionario del Dipartimento di Stato, rimasto anonimo, avrebbe detto: “Non c’era una pistola fumante. La decisione è stata presa su basi politiche più che tecniche”.
Questa ambiguità alimenta il sospetto che Israele abbia agito per ragioni geopolitiche, più che per reali minacce nucleari. Come scriveva Pierre Haski su “Internazionale” nel 2024, “l’ossessione israeliana per il nucleare iraniano è diventata un alibi per giustificare qualunque operazione militare, anche quando mancano elementi oggettivi di pericolo imminente”.
L’IAEA stessa ha espresso timori che l’attacco possa avere un effetto paradossale: spingere l’Iran a uscire dal TNP e rendere il programma non più controllabile. In pratica, Israele rischia di ottenere l’esatto opposto di ciò che dichiara di voler evitare: un Iran determinato ad acquisire l’arma atomica come unica garanzia contro future aggressioni.

Nina Celli, 18 giugno 2025 

 
07

Anche se in forma tacita, Israele ha legittimità diplomatica e supporto internazionale

FAVOREVOLE

Sebbene l’operazione militare israeliana in Iran non abbia ricevuto un’esplicita benedizione internazionale, è evidente che Tel Aviv ha agito con una tacita legittimazione da parte di numerose potenze occidentali, in primis gli Stati Uniti. Il presidente Donald Trump ha evitato critiche dirette all’azione israeliana, dichiarando invece che “l’Iran ha avuto troppi anni per ingannare il mondo” e aggiungendo che “è tempo che Teheran impari a negoziare da una posizione di inferiorità”.
Il G7, pur non approvando ufficialmente l’offensiva, ha rilasciato un comunicato che definisce le azioni iraniane “provocatorie e inaccettabili”, evitando qualsiasi condanna esplicita di Israele. Anche la Germania, tramite il suo ministro degli Esteri, ha parlato di “legittima preoccupazione israeliana” per la sicurezza nazionale. In sostanza, molti Stati hanno preferito lasciare agire Israele come “braccio armato non ufficiale” della coalizione occidentale in Medio Oriente, evitando così l’impopolarità di un intervento diretto. Anche in ambito ONU, nonostante la richiesta di una sessione d’emergenza da parte di Cina e Russia, il Consiglio di Sicurezza non è riuscito a emettere una risoluzione di condanna. Gli Stati Uniti hanno posto il veto, sottolineando che “ogni Paese ha il diritto di difendersi da minacce esistenziali”. L’India, membro della SCO, ha rifiutato di firmare la dichiarazione di condanna nei confronti di Israele, pur essendo partner commerciale e strategico dell’Iran. Come spiegato in un’analisi di “Al Jazeera”, l’India ha scelto la neutralità per mantenere buone relazioni con Israele, un fornitore chiave di tecnologia militare.
Anche il comportamento degli alleati iraniani è indicativo: Hezbollah non ha reagito in modo coordinato, la Siria è rimasta silente e persino la Russia – formalmente alleata – ha mantenuto una posizione ambigua, limitandosi a una nota diplomatica.
L’assenza di una condanna decisa e la scelta di molti attori globali di “guardare altrove” rappresentano una forma implicita di legittimazione. Israele ha agito come potenza regionale con diritto di iniziativa, coperta dalla tolleranza delle superpotenze. Non è solo diplomazia, è realpolitik.

Nina Celli, 18 giugno 2025 

 
08

L’attacco israeliano ha effetti geopolitici destabilizzanti e apre al rischio di una guerra regionale

CONTRARIO

L’attacco israeliano in Iran ha generato un effetto domino che sta destabilizzando l’intero Medio Oriente. La reazione iraniana – oltre 200 missili lanciati verso Israele, alcuni dei quali hanno colpito anche infrastrutture diplomatiche americane a Tel Aviv – rappresenta solo il primo anello di una possibile escalation che potrebbe trasformarsi in un conflitto su scala regionale. Il quadro è aggravato dalla retorica del cambio di regime. Secondo “Reuters”, Netanyahu ha dichiarato che “un Iran democratico e senza ayatollah sarebbe il primo passo verso un Medio Oriente pacificato”. Questa dichiarazione, sebbene non seguita da atti ufficiali, è stata letta come un segnale d’allarme a Teheran e ha rafforzato le fazioni più radicali del regime.
L’impatto economico globale è già visibile: il prezzo del petrolio ha superato i 120 dollari al barile, mentre l’inflazione in Europa ha subito un rialzo. Le rotte commerciali nel Golfo sono sotto minaccia, con navi statunitensi che pattugliano lo stretto di Hormuz. Il rischio di chiusura dello stretto – da cui passa il 20% del petrolio mondiale – è stato definito “molto alto” dall’OPEC.
Il peggiore scenario – un conflitto diretto USA-Iran – resta evitabile, ma il rischio aumenta ogni giorno che passa. Le truppe americane in Bahrein, Kuwait e Qatar sono state messe in allerta, mentre il Pentagono ha spostato portaerei nella regione. La Cina, da parte sua, ha attivato canali diplomatici con l’Iran per evitare una guerra su vasta scala, temendo ripercussioni sulle proprie forniture energetiche.
Vi è, inoltre, il pericolo di una crisi nucleare indiretta: l’Iran ha dichiarato di voler riesaminare la sua adesione al Trattato di Non Proliferazione, mentre la popolazione iraniana, anziché ribellarsi al regime, si è compattata attorno alla narrativa dell’“aggressione sionista”. Paradossalmente, l’attacco israeliano ha rafforzato i falchi iraniani e indebolito le spinte riformiste. Il raid israeliano, dunque, non ha neutralizzato una minaccia, ma l’ha moltiplicata, aprendo una stagione di instabilità, militarizzazione e polarizzazione che avrà conseguenze ben oltre i confini del Medio Oriente.

Nina Celli, 18 giugno 2025

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