L'Europa sarà vittima di un mondo diviso in due sfere d'influenza: USA e Cina/Russia
FAVOREVOLE O CONTRARIO?
L'Europa si trova al centro di una delle più grandi trasformazioni geopolitiche dalla fine della Guerra Fredda. L'ascesa di un nuovo ordine multipolare, segnato dal confronto tra Stati Uniti e Cina – e con la Russia in posizione di alleata strategica di Pechino – ha ridisegnato gli equilibri globali. In questo scenario sempre più teso, si è fatta largo un’ipotesi sempre più discussa in ambito accademico, politico e mediatico: l'Europa sarà la principale vittima di un mondo diviso in due sfere d’influenza.

IL DIBATTITO IN 2 MINUTI:
L’Europa, fino a ieri principale beneficiaria della protezione americana, si trova oggi improvvisamente scoperta, non solo militarmente ma anche psicologicamente.
L'Europa non è un vaso di coccio tra vasi di ferro, ma un’entità economica sofisticata, resiliente e capace di influenzare l’equilibrio globale, a patto che trasformi la sua forza economica in leva strategica.
Mentre gli USA impongono dazi sui prodotti europei, Pechino riversa nel mercato tonnellate di beni a basso costo. L’Europa si trova stretta tra il dumping da una parte e il protezionismo dall’altra.
La crisi aperta da Trump ha posto l’UE di fronte a una scelta : continuare a dipendere da Washington o diventare un attore sovrano. Potrebbe essere uno stimolo positivo per l'UE.
L'Unione europea è frammentata, mentre le sfide esterne crescono. Le divisioni interne diventano evidenti, minando la possibilità di una risposta coordinata e credibile.
In un mondo sempre più diviso in blocchi, l’Unione Europea ha risposto non con chiusura, ma con apertura strategica. Ha colto l’opportunità per costruire una rete globale di alleanze alternative.
Nel bipolarismo attuale, l’Unione Europea appare come un’anomalia: una potenza economica che manca della capacità di proiettare potere geopolitico in modo autonomo.
Le superpotenze sono sistemi complessi e contraddittori, pieni di fratture interne. L’Europa è nella posizione ideale per navigare queste faglie e trarne vantaggio.
L’Europa è vulnerabile militarmente e abbandonata dagli USA
Negli ultimi mesi, le dichiarazioni e le azioni dell’amministrazione Trump hanno radicalmente trasformato l’equilibrio di sicurezza del continente europeo. Non si tratta più di un mero cambio di stile diplomatico, ma di una cesura sistemica che ha minato le fondamenta stesse dell’Alleanza Atlantica. L’Europa, fino a ieri principale beneficiaria della protezione americana, si trova oggi improvvisamente scoperta, non solo militarmente ma anche psicologicamente.
Come sottolinea Ivo Daalder su “Foreign Affairs”, l’Articolo 5 della NATO – considerato per decenni un pilastro inviolabile – ha perso credibilità. Trump ha dichiarato pubblicamente che gli Stati Uniti non difenderanno più gli alleati “che non pagano”, una posizione che ha gettato nel panico molte cancellerie europee. Questa affermazione, più volte ribadita e mai smentita, ha spinto il nuovo cancelliere tedesco Friedrich Merz ad affermare nel febbraio 2025: “Non sappiamo se, tra pochi mesi, potremo ancora parlare della NATO nella sua forma attuale”.
L’erosione della fiducia è aggravata dal comportamento ambiguo degli USA nei confronti della Russia. A marzo 2025, gli Stati Uniti si sono opposti a una risoluzione ONU di condanna all’invasione russa dell’Ucraina, allineandosi di fatto con Mosca. Questo gesto ha rappresentato una rottura clamorosa con gli altri membri NATO e ha alimentato le voci di un possibile asse Trump-Putin. Come riferisce “Newsweek”, il propagandista russo Solovyov ha dichiarato che “gli Stati Uniti si alleeranno con la Russia contro l’Europa”, un’affermazione estrema che, tuttavia, trova terreno fertile nella strategia del presidente americano.
Secondo Michael Hudson, questo nuovo assetto geopolitico rende l’Europa “il bersaglio ideale” di ogni destabilizzazione futura. In caso di guerra in Medio Oriente o in Asia Centrale, l’Europa, priva di una rete logistica autonoma e dipendente da rotte energetiche vulnerabili come Suez o lo Stretto di Hormuz, sarebbe la prima a subire interruzioni delle forniture e aumenti esponenziali dei costi. L’analista sottolinea inoltre che, mentre USA e Russia potrebbero trovare un modus vivendi per spartirsi le rispettive sfere, l’Europa resterebbe schiacciata tra i due blocchi.
Militarmente, l’UE non è pronta. Nonostante un potenziale economico superiore a quello della Russia (oltre 10 volte il suo PIL), la capacità operativa è carente. La NATO, infatti, è strutturata attorno al comando americano: logistica, intelligence, deterrenza nucleare sono tutte fornite da Washington. La prospettiva di una NATO senza gli Stati Uniti, pur teoricamente possibile, richiederebbe – secondo lo stesso Daalder – “anni di riforme, aumenti di spesa e cooperazione tecnologica estrema”.
Il tentativo europeo di correre ai ripari è iniziato. Nel marzo 2025, l’UE ha approvato un fondo straordinario da 150 miliardi per la produzione di difesa e ha escluso le spese militari dal Patto di Stabilità. La Germania ha annunciato un cambio epocale, con 400 miliardi in più di investimenti in armamenti e cyberdifesa. Tuttavia, come avverte il “World Socialist Web Site”, questo comporterà un drastico taglio al welfare, alimentando tensioni sociali che potrebbero minare la coesione interna dell’Unione.
In questo quadro, la “vittimizzazione” dell’Europa non è solo possibile: è strutturalmente probabile. Il continente si trova isolato, disarmato, dipendente e diviso. Non è ancora pronto per assumere la guida della propria sicurezza, ma non può più fare affidamento sulla protezione americana. Questo lo rende il perno vulnerabile del nuovo equilibrio globale, un perno che – se dovesse cedere – potrebbe far crollare l’intero impianto occidentale.
Nina Celli, 8 aprile 2025
L’Europa ha la forza economica e tecnologica per diventare un polo autonomo
A dispetto delle narrazioni catastrofiste, l’Europa possiede le basi strutturali per emergere come un attore autonomo nel nuovo ordine mondiale. Il continente non è un vaso di coccio tra vasi di ferro, ma un’entità economica sofisticata, resiliente e capace di influenzare l’equilibrio globale, a patto che trasformi la sua forza economica in leva strategica. La vera sfida non è la sopravvivenza, ma la traduzione del suo potenziale in potere effettivo.
Secondo il World Bank Report 2025, l’Unione Europea continua a figurare come la seconda economia mondiale per PIL aggregato, e la prima per volume di esportazioni, superando anche la Cina. I suoi punti di forza includono la leadership mondiale nei settori dell’ambiente, della regolazione digitale e della sostenibilità urbana. Inoltre, l’UE domina le classifiche globali per soft power, attrattività culturale e investimenti in ricerca e innovazione – fattori centrali per la competizione del XXI secolo.
Tecnologicamente, l’UE ha fatto passi avanti con iniziative come l’European Chips Act, il Green Deal e i progetti per la sovranità digitale. Il Recovery Fund ha iniettato oltre 700 miliardi di euro in trasformazione ecologica e digitale, rendendo il continente all’avanguardia nella doppia transizione. Come sottolinea “Carnegie Europe”, l’UE ha saputo usare le crisi per accelerare riforme, mostrando capacità di adattamento e coordinamento.
Sul piano delle infrastrutture strategiche, l’UE ha avviato la costruzione di una propria rete satellitare (IRIS²), una cloud europea (Gaia-X) e un sistema di scambi energetici che riduce la dipendenza da Mosca. L’obiettivo è chiaro: non sganciarsi dal mondo, ma posizionarsi come terzo polo autonomo tra Stati Uniti e Cina.
Questo scenario è reso possibile anche dalla relativa stabilità interna dell’UE, soprattutto se confrontata con le tensioni politiche e finanziarie che attraversano gli USA e la stessa Cina. In un contesto globale sempre più volatile, la governance multilivello dell’UE – spesso criticata per la sua lentezza – si rivela invece una garanzia di equilibrio e di ponderazione strategica. La Commissione, il Parlamento e la BCE rappresentano centri di gravità stabile, capaci di costruire consenso su politiche complesse.
Infine, va ricordato che l’UE non è sola. È parte di reti multilaterali come il G7, l’OMC, l’ONU e il Consiglio d’Europa, e guida progetti globali come il Global Gateway, concepito come alternativa alla Via della Seta cinese. Se l’Europa saprà unire la sua forza economica a una visione geopolitica coerente, potrà giocare da protagonista e non da vittima nel mondo a venire. La vera sfida, dunque, non è la sopravvivenza in uno scenario bipolare, ma la costruzione di un’identità autonoma e attrattiva.
Nina Celli, 8 aprile 2025
L’UE rischia di diventare il bersaglio commerciale tra i blocchi
La nuova guerra commerciale tra Stati Uniti e Cina ha aperto un fronte secondario ma non meno rilevante: quello europeo. Mentre Washington impone dazi sempre più severi sui prodotti europei – come il 20% su auto, vino e acciaio – Pechino riversa nel mercato comunitario tonnellate di beni a basso costo, precedentemente destinati agli USA. L’Europa si trova quindi stretta tra due fuochi economici, vittima di dumping da una parte e protezionismo dall’altra.
Secondo “Euronews”, il surplus di produzione europea – causato dalla perdita dell’accesso al mercato americano – ha generato deflazione in diversi settori, dalla meccanica al tessile. Se a breve termine questo ha favorito il potere d’acquisto, nel medio-lungo periodo ha spinto molte imprese a ridurre investimenti e personale. Tobias Gehrke (ECFR) avverte che il clima di incertezza sta disincentivando l’arrivo di capitali esterni, soprattutto in paesi come Italia, Belgio e Portogallo, già fragili dal punto di vista industriale e finanziario.
La situazione è aggravata dall’arrivo di prodotti cinesi a prezzi stracciati: auto elettriche, pannelli solari, microchip e acciaio. Secondo “The New York Times”, questi flussi stanno danneggiando la competitività interna, mentre l’UE esita a imporre contromisure temendo un’escalation con Pechino. Ursula von der Leyen ha parlato di “engagement costruttivo” con la Cina, ma diversi Stati membri – Francia in testa – premono per sanzioni mirate.
La risposta americana non offre alternative rassicuranti. L’industria agroalimentare europea è nel mirino delle tariffe USA, e l’episodio del bourbon e del vino francese – documentato da “Politico.eu” – mostra come la risposta europea sia stata frammentata e incoerente. Mentre Parigi chiedeva eccezioni per i suoi produttori, Berlino proponeva nuove rotte commerciali verso l’Asia, e Bruxelles restava inerte.
Secondo “Time”, la percezione esterna è chiara: l’Europa non è in grado di difendere i suoi interessi economici, né con la forza né con l’unità. Questo la rende il bersaglio perfetto per attori aggressivi come Trump e Xi Jinping, che vedono nella fragilità europea un’occasione per consolidare le proprie sfere d’influenza.
La crisi, quindi, colpisce il cuore della legittimità europea: la prosperità economica. L’UE è nata anche per garantire un mercato interno stabile e competitivo. Se perde questa capacità, crolla non solo la fiducia degli investitori, ma anche quella dei cittadini europei, alimentando populismi e tensioni nazionali. In un contesto globale sempre più polarizzato, l’Europa rischia di non essere più un partner alla pari, ma un terreno di conquista economica, schiacciato tra superpotenze in lotta per il primato globale.
Nina Celli, 8 aprile 2025
La crisi transatlantica può favorire la sovranità strategica europea
Paradossalmente, l’erosione del rapporto transatlantico, lungamente visto come una minaccia alla sicurezza dell’Europa, potrebbe rivelarsi il catalizzatore di una nuova stagione di autonomia strategica. La crisi aperta dall’amministrazione Trump ha posto l’UE di fronte a una scelta storica: continuare a dipendere da Washington o diventare un attore sovrano, capace di agire nel proprio interesse senza vincoli esterni.
I segnali di questa svolta sono tanti. Dopo le elezioni americane del 2024, i governi di Berlino, Parigi e Roma hanno avviato incontri bilaterali e multilaterali per rafforzare la cooperazione militare interna all’UE. Il piano per una capacità di difesa europea, finanziato con 150 miliardi di euro e sostenuto da Francia e Germania, prevede la creazione di una forza di risposta rapida, un sistema di intelligence condiviso e investimenti in tecnologie critiche come il cyber, l’aerospazio e i droni autonomi.
Nel marzo 2025, il Parlamento europeo ha approvato a larga maggioranza l’esclusione delle spese per la difesa dai vincoli di bilancio del Patto di Stabilità, aprendo la strada a un riarmo sostenibile. Anche la Banca Europea per gli Investimenti ha modificato i suoi criteri per finanziare infrastrutture “dual use”, riconoscendo il valore economico della sicurezza.
Il nuovo approccio non si limita alla difesa. Come documenta “Foreign Policy”, la Commissione europea ha rafforzato gli strumenti per il controllo degli investimenti stranieri e per la protezione delle infrastrutture critiche. L’Anti-Coercion Instrument – pensato per rispondere a sanzioni economiche o pressioni politiche esterne – è stato attivato per la prima volta in risposta ai dazi di Trump, segno che l’UE intende usare il proprio peso normativo anche a fini geopolitici. L’obiettivo, secondo Rosa Balfour (“Carnegie Europe”), è costruire un’“autonomia aperta”: un’Europa capace di agire in modo indipendente, ma senza cadere nell’isolamento. Questo modello mira a evitare il rischio di vassallaggio strategico verso gli USA e di dipendenza tecnologica dalla Cina, puntando invece su alleanze orizzontali e multilaterali. I primi risultati sono incoraggianti. Il partenariato con il Giappone in ambito sicurezza digitale, l’accordo industriale con l’India e le trattative avanzate con Corea del Sud e Australia mostrano che l’Europa non è sola né isolata. Anzi, molti attori regionali vedono nell’UE una potenza stabile e prevedibile, capace di offrire un’alternativa ai duelli muscolari tra Washington e Pechino.
La rottura dell’asse transatlantico, pur dolorosa, ha in realtà avuto l’effetto positivo di obbligare l’Europa a prendere in mano il proprio destino strategico. Non più protettorato, ma potenza autonoma.
Nina Celli, 8 aprile 2025
La frammentazione interna mina la capacità dell’Europa di reagire
Uno dei principali ostacoli alla capacità dell’Unione Europea di reagire alle crisi globali è la sua storica frammentazione politica. Mentre le sfide esterne crescono, le divisioni interne diventano ancora più evidenti, minando la possibilità di una risposta coordinata e credibile. La gestione della crisi delle tariffe statunitensi ne è un esempio emblematico.
Come riportato da “Politico.eu”, quando Trump ha imposto dazi punitivi sul vino e i liquori europei, la Francia ha chiesto a Bruxelles di escludere il bourbon americano dalla lista delle contromisure, temendo ritorsioni sui suoi marchi di lusso. Questo gesto, apparentemente pragmatico, è stato letto come una resa unilaterale che ha delegittimato l’intera posizione europea. Mentre Berlino spingeva per una risposta più assertiva e l’Italia tentava di salvare il proprio export agroalimentare, Bruxelles appariva paralizzata, incapace di mediare tra gli interessi nazionali.
La mancanza di una vera politica estera comune è un altro problema cronico. Secondo “Project Syndicate”, il ritiro americano ha creato un vuoto che l’UE avrebbe potuto riempire con una voce unitaria e autorevole. Invece, ogni Paese ha reagito in modo diverso: alcuni guardano con sospetto alla Cina, altri – come l’Ungheria – rafforzano i legami con Pechino e Mosca, rompendo la coerenza del blocco europeo.
Sul piano difensivo, la situazione è simile. Il piano per un esercito europeo resta sulla carta, mentre la cooperazione tra forze armate procede lentamente. I paesi baltici chiedono garanzie immediate contro la Russia, la Francia vuole una forza autonoma sotto comando nazionale, la Germania punta a rafforzare la NATO: visioni divergenti che impediscono un progresso efficace.
A peggiorare la situazione, vi è il fattore sociale. Come evidenzia il “World Socialist Web Site”, il riarmo europeo rischia di drenare risorse dal welfare e dai servizi pubblici, alimentando il malcontento e dando fiato ai partiti euroscettici. Se il prezzo della sicurezza è la recessione o l’austerità, la coesione interna dell’UE potrebbe crollare proprio nel momento in cui sarebbe più necessaria. Questa mancanza di coordinamento non è solo un problema operativo, ma anche un segnale politico. L’UE è vista dagli attori esterni – dagli USA alla Cina – come un colosso economico ma un nano geopolitico. Quando ogni Paese europeo fa da sé, la somma delle parti diventa inferiore all’intero. Di conseguenza, l’Europa non solo non riesce a proteggere se stessa, ma nemmeno a esercitare una vera influenza nel nuovo ordine mondiale.
La frammentazione interna è dunque la crepa più profonda nella struttura europea: rende l’UE meno resiliente, meno autorevole e più facilmente manipolabile da potenze esterne che operano su logiche centralizzate e strategicamente coerenti.
Nina Celli, 8 aprile 2025
L’UE sta già diversificando le alleanze e rafforzando la diplomazia globale
Di fronte a un mondo sempre più diviso in blocchi, l’Unione Europea ha risposto non con chiusura, ma con apertura strategica. Lontana dall’essere marginalizzata, l’UE ha colto l’opportunità per costruire una rete globale di alleanze alternative, espandendo la propria influenza diplomatica, commerciale e normativa in modo plurilaterale. La sua strategia non è di schierarsi, ma di negoziare, e ciò sta rafforzando la sua posizione internazionale.
Come riportato dal “New York Times”, l’UE ha avviato una serie di nuovi partenariati strategici in Asia e America Latina: con il Giappone per la cybersecurity e l’intelligenza artificiale, con l’India per la cooperazione industriale, con il Mercosur per un accordo commerciale quasi concluso. Anche le relazioni con Corea del Sud, Sudafrica, Australia e Messico sono in fase di intensificazione. Questo mosaico di alleanze consente all’Europa di bilanciare il peso geopolitico di USA e Cina senza sottomettersi a nessuno.
L’iniziativa Global Gateway, lanciata nel 2021 e rafforzata nel 2024, rappresenta l’alternativa europea alla Belt and Road Initiative cinese. Con un budget potenziale di oltre 300 miliardi di euro, mira a finanziare infrastrutture sostenibili nei Paesi in via di sviluppo, promuovendo uno sviluppo basato su regole, trasparenza e diritti. È un chiaro segnale che l’Europa non solo risponde al confronto tra superpotenze, ma cerca anche di definire le regole del gioco.
Sul piano normativo, l’UE continua a esportare “soft power regolatorio”. Regolamenti come il GDPR, il Digital Services Act e il Green Deal hanno fissato standard internazionali in materia di privacy, piattaforme digitali ed ecologia. Paesi terzi che vogliono accedere al mercato europeo si trovano a doversi adeguare a questi criteri, rafforzando l’influenza dell’UE nel determinare i parametri della globalizzazione.
La risposta dell’Europa ai dazi USA non è stata solo difensiva, ma anche diplomatica. Mentre prepara contromisure proporzionate, ha rilanciato la cooperazione con Canada e Regno Unito su standard industriali condivisi. Secondo “Reuters”, l’UE intende evitare una guerra commerciale frontale, ma non intende nemmeno farsi schiacciare. Il pragmatismo diplomatico ne emerge rafforzato.
L’UE è quindi una potenza in transizione, che ha scelto la via multilaterale per navigare la polarizzazione globale. Più che subire la divisione tra USA e Cina, l’Europa la sta gestendo con strumenti propri: commercio, norme, cooperazione. E nel farlo, sta riscoprendo il proprio ruolo di potenza stabilizzatrice globale.
Nina Celli, 8 aprile 2025
L’Europa è una potenza economica senza sovranità geopolitica
Nel mondo bipolare che si sta profilando tra Stati Uniti e Cina-Russia, l’Unione Europea appare come un’anomalia: una potenza economica globale che manca però della capacità di proiettare potere geopolitico in modo autonomo. Questa asimmetria tra forza economica e debolezza strategica è diventata evidente proprio nel momento in cui le regole del gioco internazionale stanno cambiando.
Secondo il report della Banca Mondiale del marzo 2025, il PIL combinato dei 27 Stati membri dell’UE supera ancora oggi i 17 trilioni di dollari, con settori d’eccellenza nelle tecnologie verdi, nella manifattura di precisione e nella finanza. L’Europa rappresenta anche il primo blocco commerciale del pianeta, con accordi attivi in tutti i continenti. Tuttavia, questa potenza è vulnerabile perché priva di strumenti di deterrenza strategica: non possiede un esercito federale, non ha una politica estera unitaria, e dipende quasi interamente dagli Stati Uniti per la difesa missilistica, nucleare e cibernetica.
L’assenza di sovranità strategica è confermata dai dati sulla spesa militare: nel 2024, l’intera UE ha speso circa 270 miliardi di euro in difesa – meno della metà degli USA e meno della Cina. Inoltre, buona parte di queste risorse è frammentata tra sistemi incompatibili, burocrazie diverse e logiche nazionali. Come nota “Foreign Affairs”, “l’Europa si comporta come una potenza commerciale, ma pensa ancora come un insieme di piccoli Stati-nazione”.
Questa debolezza è ben visibile nel modo in cui le superpotenze trattano l’Europa. Gli Stati Uniti impongono dazi senza consultazioni, Cina e Russia usano il commercio e l’energia per fare pressione politica, mentre Paesi terzi si rivolgono direttamente a Berlino o Parigi ignorando Bruxelles. L’assenza di una voce unica riduce la capacità negoziale dell’UE e impedisce di tutelare in modo efficace i propri interessi globali.
Il concetto stesso di “autonomia strategica” è ancora in via di definizione. Il piano europeo da 150 miliardi per la produzione di difesa e il progetto di un comando cyber UE sono segnali positivi, ma sono ancora lontani dal colmare il divario con le potenze concorrenti. Rosa Balfour, su “Carnegie Europe”, sottolinea come “la sovranità europea richieda una rivoluzione culturale, non solo investimenti: serve un’identità comune e il coraggio di agire senza attendere Washington”.
In definitiva, l’Europa è oggi in un limbo: troppo ricca per essere ignorata, troppo debole per imporsi. Senza una svolta in senso federale e strategico, rischia di restare un gigante economico senza muscoli, un interlocutore utile ma mai decisivo, destinato a seguire piuttosto che guidare il nuovo ordine mondiale.
Nina Celli, 8 aprile 2025
Gli USA e la Cina non sono monoliti: l’Europa ha margine di manovra
Una delle maggiori illusioni del dibattito geopolitico contemporaneo è l’idea di un mondo rigidamente bipolare, dove Stati Uniti e Cina (e in parte la Russia) si contrappongono come blocchi monolitici, lasciando all’Europa solo la possibilità di adattarsi o soccombere. In realtà, le superpotenze non sono entità compatte e coerenti, ma sistemi complessi e contraddittori, pieni di fratture interne, rivalità e limiti strategici. L’Europa, proprio per la sua natura flessibile e multilaterale, è nella posizione ideale per navigare queste faglie e trarne vantaggio.
All’interno degli Stati Uniti, esistono profonde divisioni tra le amministrazioni repubblicane e democratiche, tra Stato federale e governi locali, tra industrie globaliste e protezioniste. Anche la comunità imprenditoriale americana – da Apple a Boeing – è contraria a una deglobalizzazione totale, consapevole della dipendenza reciproca con l’Europa. Secondo “Foreign Affairs”, numerosi centri strategici statunitensi vedono nell’UE un contrappeso fondamentale all’influenza cinese e sono contrari a un’estraniazione geopolitica dell’Europa.
Anche nel blocco orientale le crepe non mancano. La Cina sta guadagnando influenza sulla Russia, ma questo dominio non è privo di tensioni. Mosca teme la sinizzazione dell’Estremo Oriente russo, l’uso strumentale delle risorse energetiche da parte di Pechino e il rischio di diventare un semplice fornitore di materie prime. Come rileva Michael McFaul, la cooperazione sino-russa è una “alleanza negativa”, basata sull’opposizione all’Occidente più che su una visione comune del futuro. L’Europa può sfruttare questa ambiguità per offrire alternative selettive a Mosca o per dividere il fronte autoritario nei forum multilaterali.
L’UE dispone inoltre di strumenti diplomatici unici. È percepita come un attore neutrale in molte regioni e può fungere da mediatore tra interessi divergenti. La sua esperienza nei negoziati multilaterali – dall’accordo nucleare con l’Iran al processo di Minsk – le conferisce credibilità in contesti dove né Washington né Pechino sono benvenuti. In un mondo di multipolarismo fluido, questa funzione di “ponte” è cruciale.
L’Europa può inoltre sfruttare la competizione tra le superpotenze per ottenere vantaggi negoziali. La minaccia di avvicinamento a Pechino può spingere Washington a fare concessioni su commercio, tecnologia e difesa. Viceversa, l’assertività atlantica può frenare l’espansionismo cinese. Questo gioco sottile richiede abilità diplomatica, ma offre margini di manovra insospettati.
Lungi dall’essere una vittima predestinata, l’Europa può quindi diventare l’equilibratore del XXI secolo. Se saprà sfruttare le faglie interne ai blocchi, valorizzare il suo soft power e costruire una visione strategica flessibile, potrà non solo sopravvivere ma prosperare nella nuova era globale.
Nina Celli, 8 aprile 2025