Nr. 360
Pubblicato il 22/06/2025

La disuguaglianza del futuro sarà anche di specie, fra uomini e superuomini

FAVOREVOLE O CONTRARIO?

C’è stato un tempo in cui i confini dell’umano erano definiti con sicurezza: nascere, crescere, imparare, soffrire, amare, morire. Tutti, con le stesse regole biologiche. La povertà, la malattia, la disabilità o il privilegio nascevano entro questo spettro condiviso, ed era sulla base di questa “comune fragilità” che si costruivano i diritti, le solidarietà, le costituzioni. Ma oggi quel confine si incrina. E ciò che una volta era destino, ora appare sempre più come opzione: potenziabile, correggibile, personalizzabile. In nome della scienza, della salute o della competitività, l’essere umano comincia a progettarsi, non solo a nascere. Si installano neuroprotesi, si modificano embrioni, si addestrano AI per amplificare il pensiero, si integrano tecnologie nel corpo come se fosse un software. La domanda che sorge non è più “cosa possiamo fare”, ma “chi stiamo diventando”.


IL DIBATTITO IN 2 MINUTI:

01 - Il potenziamento umano creerà nuove possibilità evolutive per l’umanità

La disuguaglianza tra “uomini” e “superuomini” potrebbe non essere una minaccia, ma un’opportunità: quella di far evolvere l’intera specie verso una nuova tappa del proprio percorso esistenziale.

02 -  Il potenziamento umano aggraverà le disuguaglianze economiche e sociali, generando una nuova élite biologica

Le tecnologie di potenziamento umano, presentate come una chiave di emancipazione, sono una realtà ben diversa: quella di una secessione biologica mascherata da progresso.

03 - L’intelligenza artificiale potenzierà l’equità cognitiva nei contesti educativi e sanitari

Lungi dal creare una “specie superiore”, l’AI ben regolata può costituire il primo grande equalizzatore delle capacità mentali nella storia moderna.

04 - Il transumanesimo compromette la dignità umana e la nostra comprensione della vulnerabilità

Il transumanesimo rischia di trasformare l’essere umano in un progetto ingegneristico, svuotandolo di senso, complessità e mistero.

05 - Il transumanesimo può rafforzare l’identità umana, non distruggerla

Il transumanesimo offre una prospettiva alternativa e controintuitiva: non una negazione dell’identità umana, ma una sua rifondazione consapevole.

06 -  L'intelligenza artificiale e i potenziamenti cognitivi rischiano di erodere la democrazia e il potere decisionale collettivo

Il vero pericolo del transumanesimo non è che l’uomo venga superato dalla macchina, ma che il potere decisionale venga centralizzato e sottratto alla collettività.

07 -  Le disuguaglianze iniziali create dal potenziamento saranno superate da dinamiche di accesso e regolazione globale

Ogni tecnologia inizia come privilegio, diventa merce e si trasforma, infine, in diritto, com'è stato per l’energia elettrica, Internet, l’istruzione, la sanità.

08 -  Il mito del superumano distoglie l’attenzione dai veri problemi globali e crea una pericolosa illusione collettiva

L’idea di una nuova specie potenziata, ignora i bisogni immediati dell’umanità reale. Rischia di deviare risorse, attenzione e volontà politica dai problemi urgenti.

 
01

Il potenziamento umano creerà nuove possibilità evolutive per l’umanità

FAVOREVOLE

L’umanità si trova sull’orlo di una trasformazione senza precedenti. L’avvento di tecnologie come l’intelligenza artificiale, le interfacce neurali, l’ingegneria genetica e le protesi bio-cibernetiche non sta semplicemente cambiando il nostro modo di vivere: sta riscrivendo i confini stessi di ciò che significa essere umani. Non è distopia, ma realtà in costruzione. In questo scenario, la disuguaglianza tra “uomini” e “superuomini” potrebbe non essere una minaccia, ma un’opportunità: quella di far evolvere l’intera specie verso una nuova tappa del proprio percorso esistenziale. Diversi studi recenti mostrano che il potenziamento umano sta già producendo benefici concreti. Le tecnologie di neurostimolazione e interfacce cervello-computer permettono oggi a persone con disabilità motorie di controllare arti robotici solo con il pensiero, restituendo autonomia e dignità. Sistemi AI avanzati personalizzano le terapie mediche analizzando dati genomici e ambientali, con risultati migliori in prevenzione e cura. Non si tratta solo di “migliorare i forti”, ma di ridurre vulnerabilità croniche in larghe fasce della popolazione. In contesti di lavoro, l’adozione di strumenti cognitivi potenziati ha mostrato un aumento dell’efficienza, della sicurezza e persino dell’inclusione lavorativa per persone anziane o affette da declino cognitivo. In scenari più futuribili ma plausibili, si ipotizza la fusione uomo-macchina tramite impianti AI per superare limiti cognitivi e sensoriali. Queste soluzioni, secondo l’autore Himanshu Kalkar nel suo saggio Digital Karma, potrebbero dar vita a una “evoluzione simbiotica”, dove progresso tecnologico ed evoluzione interiore cooperano. La creazione di “superumani”, se distribuita in modo etico e regolato, potrebbe generare nuove classi di “facilitatori evolutivi”, individui capaci di affrontare crisi planetarie con maggiore intelligenza, empatia e resilienza. In questo senso, la disuguaglianza iniziale tra potenziati e non-potenziali sarebbe transitoria, come lo è stata l’alfabetizzazione nei secoli passati: da privilegio elitario a diritto diffuso. Anche dal punto di vista culturale e filosofico, autori come Sarah Lee e Sundram Dwivedi vedono nel transumanesimo un’opportunità di riscrittura delle identità umane. La vulnerabilità stessa non verrebbe negata, ma reinterpretata: si potrà essere fragili e potenziati allo stesso tempo, capaci di emozioni e di calcolo iper-razionale. Certo, non tutto sarà semplice. Servirà una governance globale, etica e lungimirante. Ma negare il potenziamento umano per paura della disuguaglianza significa rifiutare una possibilità di salto evolutivo che — se ben gestita — può elevare tutti.

Nina Celli, 22 giugno 2025

 
02

Il potenziamento umano aggraverà le disuguaglianze economiche e sociali, generando una nuova élite biologica

CONTRARIO

Nell’immaginario collettivo, le tecnologie di potenziamento umano vengono spesso presentate come una chiave di emancipazione universale, ma la realtà che si sta delineando è ben diversa: quella di una secessione biologica mascherata da progresso. Un mondo in cui non solo il capitale culturale o finanziario, ma anche il capitale genetico e neurotecnologico, diventa ereditabile, inaccessibile e discriminante.
L’esperienza di Singapore analizzata da Alexis Heng Boon Chin (“SpringerNature”, 2025) è paradigmatica: mentre le famiglie più ricche accedono a test poligenici, editing embrionale e selezione genetica per massimizzare i tratti desiderati nei figli, le famiglie meno abbienti si trovano escluse da questa nuova “gara cognitiva”. La conseguenza è una polarizzazione estrema, dove la performance biologica viene progettata, e non solo educata, fin dalla nascita. Il problema non è solo economico. Come avverte Barbara Pfeffer Billauer in un saggio pubblicato dall’American Council on Science and Health (2025), l’introduzione di tecnologie genetiche germinali e PGS (polygenic scoring) porta con sé il rischio concreto di una nuova eugenetica soft, in cui la pressione sociale sostituisce la coercizione statale. Non si impone chi può procreare, ma si impone chi può eccellere. Il “naturale” diventa sinonimo di marginale.
Queste dinamiche si aggravano nel mondo del lavoro. Dario Amodei, CEO di Anthropic, in un’intervista ad “Axios” (2025), ha lanciato l’allarme: l’IA e i sistemi di potenziamento cognitivo rischiano di cancellare il 50% dei lavori d’ufficio entry-level, creando una nuova divisione tra coloro che possono permettersi l'accesso all’intelligenza aumentata e coloro che vengono semplicemente sostituiti. Si profila una tecnocrazia biologica, dove la competitività non è più formativa, ma innata — o peggio, acquistabile.
Il transumanesimo, in questa prospettiva, diventa non una filosofia inclusiva, ma una narrazione per giustificare la concentrazione del potere cognitivo. L’articolo The Genetic Engineering Revolution (“Casual Preppers!, 2025) ipotizza un futuro in cui le risorse di sopravvivenza — lavoro, cure, sicurezza — vengono subordinate al patrimonio genetico. “Non sarà più cosa possiedi, ma cosa sei geneticamente progettato per essere”, afferma provocatoriamente l’autore.
La tecnologia, quindi, non risolve la disuguaglianza: la radicalizza. Trasforma lo svantaggio economico in discriminazione biologica sistemica, in un ciclo difficile da rompere. Le soluzioni proposte — come la fiscalità redistributiva o le licenze open-source — sono ancora mere ipotesi, mentre le applicazioni concrete avanzano senza regolazione adeguata, come denunciano gli stessi ricercatori dell’UNDP.
Il rischio maggiore è culturale: se l’umanità si abitua a concepire il valore umano in termini di prestazione biologica potenziata, allora anche l’empatia, la solidarietà e l’etica rischiano di diventare obsoleti. Invece di emancipare, il potenziamento potrebbe disumanizzare proprio coloro che non possono permetterselo.

Nina Celli, 22 giugno 2025

 
03

L’intelligenza artificiale potenzierà l’equità cognitiva nei contesti educativi e sanitari

FAVOREVOLE

L’intelligenza artificiale emerge non solo come uno strumento di potere economico, ma come una forza democratizzante capace di livellare il campo di gioco cognitivo tra classi sociali, fasce d’età e condizioni neurologiche. Lungi dal creare una “specie superiore”, l’AI ben regolata può costituire il primo grande equalizzatore delle capacità mentali nella storia moderna.
Nelle scuole e nei programmi di istruzione personalizzata, algoritmi intelligenti già oggi permettono a bambini con disturbi dell’apprendimento di colmare gap cognitivi attraverso esercizi mirati, feedback in tempo reale e strategie neuro-compensative. La fonte UNDP (2025) ha segnalato come in Sri Lanka e in altri paesi emergenti, l’uso di AI educative abbia aumentato del 20% il rendimento scolastico medio nelle aree rurali.
In ambito sanitario, l’intelligenza artificiale svolge un ruolo ancor più rivoluzionario: piattaforme diagnostiche supportate da machine learning sono in grado di individuare precocemente malattie neurologiche o genetiche con una precisione che supera l’occhio umano. La personalizzazione delle cure non è più un lusso, ma un protocollo accessibile, come dimostrano i sistemi AI-driven di medicina predittiva citati nell’articolo The Science Behind Transhumanism (“Number Analytics”, 2025).
L’integrazione dell’AI nei dispositivi di assistenza ha inoltre migliorato la qualità della vita di pazienti anziani o neurodivergenti. Sistemi vocali empatici, come quelli descritti in Augmented Human Rights Advocacy (“Meegle”, 2025), supportano la comunicazione di persone con afasia, demenza o autismo. In un mondo dove la parola è potere, restituire voce e autonomia ai più fragili è un atto politico oltre che terapeutico.
L’uso dell’AI per colmare i divari cognitivi non è solo tecnicamente possibile: è già economicamente giustificabile. La riduzione dei costi sanitari preventivi, il miglioramento dell’inclusione educativa e l’aumento della produttività in contesti marginalizzati rendono l’investimento nella AI etica e accessibile una misura razionale anche sul piano macroeconomico. In uno scenario delineato da Sarah Lee (Enhancing Human Ethics), l’AI viene vista come “amplificatore di diritti”, e non come strumento di élite.
L’idea che il potenziamento cognitivo sia solo per pochi crolla se si considera la tendenza alla open-source AI, con modelli educativi e sanitari sviluppati per essere distribuiti a basso costo o gratuitamente. La filosofia del “software per tutti” può essere il ponte verso una civiltà più equa, dove non sono le differenze biologiche a decidere chi apprende, guarisce o partecipa.
È innegabile che il rischio di concentrazione del potere cognitivo esiste, ma la tecnologia, come il linguaggio o l’elettricità, può emancipare se diffusa, regolata e resa sostenibile. Non è l’AI a dividere l’uomo dal superuomo. È l’assenza di volontà politica e di governance globale a creare disuguaglianze. L’AI, invece, può essere la grammatica di una nuova equità mentale.

Nina Celli, 22 giugno 2025

 
04

Il transumanesimo compromette la dignità umana e la nostra comprensione della vulnerabilità

CONTRARIO

In un mondo in cui la vulnerabilità viene considerata un difetto da correggere anziché una condizione ontologica, il transumanesimo rischia di trasformare l’essere umano in un progetto ingegneristico, svuotandolo di senso, complessità e mistero. Più che una via per l’emancipazione, il potenziamento umano potrebbe rivelarsi una forma di autoalienazione radicale, che erode le fondamenta stesse della nostra dignità.
Nel saggio filosofico Vulnerability as Meaning (2025), Peter Anakobe Adinoyi sostiene che la fragilità non è un limite da superare, ma una condizione esistenziale che rende possibili l’etica, la compassione e la creatività. Cancellare la vulnerabilità attraverso la tecnologia significa disintegrare il presupposto stesso del legame umano. “Un essere invulnerabile non è più eticamente disponibile”, scrive l’autore, richiamandosi a Merleau-Ponty, Heidegger e alla filosofia Ubuntu africana.
Anche in ambito religioso, le riserve sul transumanesimo sono profonde. Nell’articolo pubblicato da “Kompas.id” (2024), si sottolinea come molte tradizioni abramitiche (ebraismo, cristianesimo, islam) vedano nella limitazione umana un fondamento teologico, non un errore evolutivo. Modificare radicalmente la propria biologia rischia di rompere quel “punto d’equilibrio tra creatura e creatore”, cancellando la possibilità stessa di trascendenza spirituale. L’essere umano, nella visione biblica o coranica, non è fatto per l’onnipotenza.
Il problema non è solo teologico, ma anche sociale e psicologico. Secondo l’articolo di “Meegle.com” (Augmented Human Rights Advocacy, 2025), l’adozione di tecnologie potenzianti può provocare forme di alienazione identitaria, soprattutto in contesti non adeguatamente regolati. Gli individui modificati rischiano di essere percepiti — o percepirsi — come “altri da sé”, non più appartenenti alla comunità umana così come la conosciamo. Questo genera isolamento, sfiducia e una crescente incapacità di empatia.
Il transumanesimo, inoltre, introduce un’etica della performance permanente, dove anche il corpo diventa campo di investimento, aggiornamento e competizione. Come avverte l’articolo The Science Behind Transhumanism (“NumberAnalytics”, 2025), il rischio è quello di creare una “cultura dell’obsolescenza umana”, in cui ogni limite fisiologico diventa una colpa, ogni malattia una falla di sistema, ogni imperfezione un fallimento morale.
Una questione fondamentale è: che ne sarà dell’infanzia, della malattia, della vecchiaia? In una società transumanista, queste fasi potrebbero essere viste come anomalie da prevenire, non più come esperienze da vivere. Ma è proprio nell’infanzia che apprendiamo la vulnerabilità, nella malattia che conosciamo la cura, nella vecchiaia che impariamo il distacco. Senza queste esperienze, il senso della vita rischia di diventare un algoritmo ottimizzante privo di compassione.
Il potenziamento, quindi, non ci rende più umani, ma più distanti dall’umano. Se l’uomo diventa solo ciò che può potenziare, allora la dignità diventa una funzione della prestazione, non un diritto inalienabile.

Nina Celli, 22 giugno 2025

 
05

Il transumanesimo può rafforzare l’identità umana, non distruggerla

FAVOREVOLE

In un’epoca dominata dal timore che la tecnologia possa “disumanizzare” l’individuo, il transumanesimo offre invece una prospettiva alternativa e controintuitiva: non una negazione dell’identità umana, ma una sua rifondazione consapevole, una via per esplorare e amplificare ciò che rende l’essere umano unico.
Secondo Sarah Lee (The Sociology of Human Enhancement Technologies), il transumanesimo non è una corsa cieca verso l’iper-efficienza, ma un processo culturale e sociale che stimola domande profonde su identità, corpo, mente e libertà. Le tecnologie di potenziamento – dalle neuroprotesi all’editing genetico – pongono l’uomo di fronte a una scelta: restare nella comfort zone di una biologia immodificata o esplorare il proprio potenziale, pur con tutti i rischi del caso. E scegliere consapevolmente chi si vuole diventare è forse la forma più alta di libertà.
Anche il mondo religioso e spirituale comincia ad aprirsi a un dialogo costruttivo. Nell’articolo Religion and Transhumanism pubblicato su “Kompas.id”, si esplora come le religioni possano riconoscere nel transumanesimo un’aspirazione alla trascendenza che – pur se tecnologica – non è dissimile da quella spirituale. Il desiderio di superare la malattia, l’invecchiamento e la morte può essere letto non come una sfida blasfema, ma come una tensione intrinseca all’essere umano verso il miglioramento e il significato.
L’antropologo culturale Peter Anakobe Adinoyi suggerisce che la vulnerabilità non va abolita, ma integrata: un individuo potenziato non è necessariamente più distante dall’umanità, se resta capace di empatia, fallibilità e riflessione etica. Al contrario, l’auto-modellamento responsabile può aumentare la coscienza di sé e la responsabilità morale. Questo pensiero è ripreso anche da Dan Zimmer, autore di A New Political Compass (“Noema Magazine”, 2025), che sostiene la necessità di una “via centrale” tra transumanismo e postumanesimo ecologico. Zimmer propone un’identità umana non statica, ma ibrida, in evoluzione, capace di integrare intelligenze artificiali, tecnologie cognitive e dimensioni spirituali in un equilibrio dinamico.
Digital Karma di Himanshu Kalkar riunisce i fili di questo discorso con una tesi provocatoria: l’evoluzione non sarà decisa dal chip o dal gene, ma dalla nostra capacità di interiorizzare eticamente ciò che sviluppiamo esternamente. Il vero “superumano” non sarà chi avrà più RAM nel cervello, ma chi saprà orientare la propria coscienza verso un bene collettivo.
Dunque, il transumanesimo non ci aliena dalla nostra essenza. Al contrario, ci costringe a ridefinire l’essere umano in un’epoca in cui l’identità non è più data, ma costruita. È una chiamata alla maturità, non un tradimento dell’umano.

Nina Celli, 22 giugno 2025

 
06

L'intelligenza artificiale e i potenziamenti cognitivi rischiano di erodere la democrazia e il potere decisionale collettivo

CONTRARIO

La promessa di un’umanità potenziata suona, a prima vista, come un’utopia tecnologica. Ma quando l’intelligenza artificiale e le neuro-tecnologie cominciano a interferire con i processi cognitivi e decisionali di singoli e comunità, il rischio non è solo tecnico, bensì politico. Il vero pericolo del transumanesimo non è che l’uomo venga superato dalla macchina, ma che il potere decisionale venga centralizzato, automatizzato e sottratto alla collettività.
Dario Amodei, CEO di Anthropic, in un’intervista ad “Axios” (2025), ha dichiarato che l’intelligenza artificiale è destinata a sostituire gran parte dei ruoli intellettuali, soprattutto quelli d’ingresso, con una disoccupazione potenziale del 20%. Ciò significa che una porzione significativa della popolazione sarà esclusa dalla sfera produttiva e, di conseguenza, anche dalla sfera politica, secondo la logica democratica della rappresentanza economica. “Il potere democratico – ha affermato – si basa sull’apporto economico dei cittadini. Senza quello, la bilancia si rompe”.
Dan Zimmer, in A New Political Compass (“Noema Magazine”, 2025), sostiene che stiamo entrando in una nuova polarizzazione ideologica: non più tra destra e sinistra, ma tra chi crede nella crescita illimitata attraverso l’AI (“Up-wingers”) e chi propugna un ritorno alla centralità ecologica dell’uomo (“Down-wingers”). Ma il punto centrale è che entrambi gli estremi finiscono per marginalizzare l’umano: i primi attraverso la sostituzione, i secondi attraverso l’idealizzazione. In mezzo, il cittadino reale perde voce.
La perdita di controllo democratico è amplificata dalla natura opaca delle tecnologie potenzianti. Le interfacce neurali e le AI agentiche — già oggi usate per sostituire ruoli decisionali — agiscono in ambienti regolati da corporazioni globali, non da parlamenti. L’articolo di “Axios” denuncia che molte di queste tecnologie sono già operative, ma sviluppate senza trasparenza, senza audit pubblici, senza garanzie costituzionali.
Come osserva Sarah Lee in Enhancing Human Ethics (“NumberAnalytics”, 2025), l’uso di AI nei contesti decisionali introduce nuovi bias invisibili: chi controlla i dataset? Chi addestra gli algoritmi? Se una classe potenziata (biologicamente o tecnologicamente) accede a dati, calcoli e simulazioni superiori, come può il resto della cittadinanza opporsi in modo informato? Questo squilibrio cognitivo si traduce presto in asimmetria del potere politico. La cittadinanza viene privata della possibilità di comprendere, valutare e contestare decisioni sempre più tecniche, automatizzate, “ottimizzate”. Il Parlamento cede al protocollo, il consenso alla predizione.
La radicale personalizzazione decisionale promossa dal transumanesimo — “ognuno sarà ciò che potrà progettare per sé” — mina le basi della deliberazione collettiva. Senza una base esperienziale condivisa, senza limiti comuni (dolore, invecchiamento, fragilità), la coesione sociale si dissolve. Una democrazia senza comunità non è una democrazia: è una simulazione.

Nina Celli, 22 giugno 2025

 
07

Le disuguaglianze iniziali create dal potenziamento saranno superate da dinamiche di accesso e regolazione globale

FAVOREVOLE

La storia dell’innovazione è una parabola ricorrente: ogni tecnologia inizia come privilegio, diventa merce e si trasforma, infine, in diritto. L’energia elettrica, Internet, l’istruzione, la sanità — tutte sono passate da accessi elitari a risorse pubbliche. Lo stesso accadrà, con tempi e tensioni proprie, anche con le tecnologie di potenziamento umano. Oggi, è indubbio che l’accesso a neuroimpianti, terapie genetiche e potenziamenti cognitivi sia limitato ai pochi che possono permetterseli. Il caso di Singapore, esaminato da Alexis Heng Boon Chin (Human Genetic Enhancement and Eugenics, 2025), mostra come l’uso di test genetici e biotecnologie riproduttive sia oggi appannaggio delle élite accademiche e finanziarie. Ma proprio per questo, afferma l’autore, “la tensione sociale e l’opinione pubblica stanno spingendo verso la costruzione di cornici normative che riequilibrino l’accesso” (“SpringerNature”, giugno 2025).
La lezione che ne deriva è chiara: la regolazione segue l’abuso e lo trasforma in equità. Già oggi si parla di politiche pubbliche globali per garantire un accesso diffuso alle tecnologie di base, come suggerito nell’articolo UNDP Human Development in the Age of AI. Alcune proposte vanno dalla creazione di fondi sovrani biotecnologici a licenze open-source per neurointerfacce, fino a un “patto digitale globale” sotto l’egida delle Nazioni Unite.
Anche sul piano tecnico, la democratizzazione delle tecnologie di potenziamento è più realistica di quanto si pensi. Il concetto di “open biohacking”, esplorato da Sarah Lee (The Future of Transhumanism, 2025), sta emergendo in modo analogo all’open source informatico: gruppi comunitari sviluppano, testano e diffondono potenziamenti biologici a costi accessibili. Ciò pone rischi, ma anche enormi potenzialità di diffusione etica e non commerciale.
L’argomento secondo cui l’umanità si dividerebbe per sempre in “superumani” e “umani” ignora il dinamismo storico delle rivoluzioni tecnologiche. Come ricorda Amodei (CEO di Anthropic) su “Axios”, anche se le AI saranno inizialmente gestite dalle big tech, la pressione pubblica e i processi democratici porteranno inevitabilmente a una redistribuzione dei benefici — tramite fiscalità, formazione, accesso pubblico e standard etici obbligatori. Proposte come il “token tax” di Amodei — una tassa globale del 3% sulle operazioni AI, redistribuita tramite fondi per l’uguaglianza tecnologica — dimostrano che gli strumenti per la compensazione esistono. Manca la volontà politica e la pressione civica, ma non la fattibilità.
Non saranno, quindi, le tecnologie a distruggere l’uguaglianza. Saranno le scelte fatte (o non fatte) dalle istituzioni, dai cittadini, dai mercati. E come insegna la storia, quando la domanda per l’accesso equo diventa universale, nessun superpotere può ignorarla. I “superuomini” di oggi sono i pionieri di un futuro che — con governance adeguata — può diventare superumano per tutti.

Nina Celli, 22 giugno 2025

 
08

Il mito del superumano distoglie l’attenzione dai veri problemi globali e crea una pericolosa illusione collettiva

CONTRARIO

Mentre miliardi di persone affrontano ogni giorno povertà, crisi climatica, guerre e disuguaglianze sistemiche, la narrazione crescente del potenziamento umano propone un sogno brillante, seducente — e profondamente fuorviante. L’idea di una nuova specie potenziata, dotata di intelligenza aumentata, longevità estesa e superiorità sensoriale, non solo ignora i bisogni immediati dell’umanità reale, ma rischia di deviare risorse, attenzione e volontà politica dai problemi urgenti verso un’utopia esclusiva, progettata per pochi. Il saggio Will AI Create Superhumans? di Sundram Dwivedi (“Medium”, giugno 2025) solleva la questione con lucidità: “E se stessimo spingendo l’evoluzione tecnologica a scapito della nostra umanità condivisa?” L’autore non nega il potenziale dell’AI, ma avverte che l’ossessione per l’eccezionale — superintelligenze, supergeni, superabilità — ci porta a disinvestire da ciò che rende la vita degna per la maggioranza: salute pubblica, accesso all’educazione, giustizia sociale, reti di solidarietà.
Questa preoccupazione è condivisa da molti ricercatori e filosofi. Nell’articolo di “Futurism”, che riporta un simposio tra leader dell’AI e pensatori AGI, viene evidenziato come l’élite tecnologica investa miliardi nella corsa alla coscienza artificiale, trascurando deliberatamente i rischi concreti: controllo sociale, disoccupazione di massa, sorveglianza di stato. Daniel Faggella, promotore dell’evento, lo ammette: “I laboratori più potenti sanno che l’AGI potrebbe finire l’umanità, ma evitano di parlarne perché gli incentivi non lo permettono”.
Allo stesso tempo, autori come Himanshu Kalkar (Digital Karma, 2025) propongono una visione più equilibrata, un’evoluzione che combini potenziamento esterno e consapevolezza interiore. Ma anche qui si rischia di cadere nella trappola di un new age transumanista che, pur nella sua spiritualità, allontana dalla concretezza della giustizia sociale. Chi deciderà chi accede a questo “risveglio 2.0”? Chi regolerà il “karma digitale” e la simbiosi bio-algoritmica?
Persino le tecnologie apparentemente etiche, come gli “assistenti umanitari digitali” o i sistemi di advocacy aumentata descritti da “Meegle.com”, finiscono spesso in scenari elitari: pensati per aiutare rifugiati o vittime di guerra, vengono testati in centri accademici di lusso, finanziati da fondi privati, e raramente arrivano sul campo in modo efficace. È una umanizzazione simulata, non distribuita.
La retorica del superumano crea una frattura cognitiva: mentre pochi si preparano all’immortalità e alla fusione mente-macchina, la maggior parte del mondo lotta per acqua potabile, cure mediche di base e accesso a Internet. Invece di “elevarsi”, il sogno del potenziamento rischia di costruire una casta intoccabile, al riparo dalla realtà.
Il futuro non ha bisogno di superuomini. Ha bisogno di umani più giusti, sistemi più equi e priorità più umili. Smettere di inseguire l’illusione di un “salto evolutivo tecnologico” può essere il primo passo per riscoprire il valore del presente condiviso.

Nina Celli, 22 giugno 2025

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