Intelligenza artificiale, un rischio per l'umanità
FAVOREVOLE O CONTRARIO?
Quando si parla di intelligenza artificiale si fa riferimento a un ampio campo di competenze intrecciate che spaziano dalla filosofia della mente, alle scienze informatiche e ingegneristiche, all’etica e alle scienze sociali. Dire con precisione di che cosa si tratti non è facile perché la ricerca sull’intelligenza artificiale non è di un solo tipo e non avanza in una sola direzione, ma affrontando l’argomento alla larga si può tentare di rispondere ad alcune domande sulle quali si strutturano i discorsi sul tema: come funziona l’intelligenza? Esistono o esisteranno mai macchine veramente intelligenti? Dobbiamo preoccuparci per il futuro sviluppo di tali tecnologie? La storia ci può aiutare nella ricostruzione del lungo percorso che idee e concetti hanno compiuto per prendere forma nelle tecnologie che adoperiamo. D’altro canto, il dibattito attuale è più vivo che mai, e assistiamo alla nascita e allo sviluppo di nuove discipline e campi d’indagine che a loro volta producono interpretazioni specifiche informate da altrettanto specifici background culturali, grazie alle quali contribuiscono ad arricchire il tavolo del confronto.
IL DIBATTITO IN 2 MINUTI:
Come funziona l’intelligenza? Esisteranno mai macchine veramente intelligenti? Dobbiamo preoccuparci per il futuro sviluppo di tali tecnologie? Il dibattito è più vivo che mai, e assistiamo alla nascita e allo sviluppo di nuove discipline e campi d’indagine che a loro volta producono interpretazioni specifiche nate da specifici background culturali, che arricchiscono il tavolo del confronto.
È diffusa la paura che un domani i robot sostituiscano gli umani in molti contesti lavorativi. È un tema complesso del quale discutono anche le Nazioni Unite e la Banca Mondiale. C’è, tuttavia, chi vede nell’automazione del lavoro una prospettiva di crescita. Ciò non significa che l’impatto sarà meno traumatico, ma che se prepariamo le nuove generazioni, potremmo subire un contraccolpo minore.
Jeffrey Dorman sostiene che le macchine non possano sostituire l’uomo, poiché incapaci di svolgere attività creative. L’automazione si imporrà in sempre più contesti, ma spesso le rivoluzioni che possono sembrare foriere di crisi, favoriscono la crescita sociale ed economica. È stato il caso dell’agricoltura, il cui sviluppo a partire dal XIX secolo avrebbe dovuto produrre una situazione di crisi.
Dall’American Association for the Advancement of Science arriva il monito: il 50% dei posti di lavoro potrebbe essere a rischio. È in gioco non solo il lavoro come fonte di benessere economico, ma anche il suo dare una dignità alla vita degli uomini. Il lavoro umano non può reggere il confronto con quello robotico in termini di convenienza, e il tema non è ancora stato affrontato con serietà.
L’umanità si è trovata ad affrontare cambiamenti le cui conseguenze si sono protratte per secoli. Così è stato per le rivoluzioni agricola e industriale, le quali hanno apportato benefici alla vita degli uomini, ma non senza intoppi. È noto il caso dei luddisti, un gruppo di lavoratori del settore tessile che nel XIX secolo si connotò per la forte avversione alle innovazioni di tipo tecnologico.
Il transumanesimo, di tradizione umanista e illuminista, tende a riaffermare l’idea di una supremazia della ragione. In ambito di intelligenza artificiale, la propensione transumanista è quella di lavorare per una fusione che permetta all’uomo di oltrepassare i limiti impostigli dalla natura e che generi una nuova forma di intelligenza, dove biologico e tecnologico siano pressoché indistinguibili.
Anche per il postumanesimo la tecnologia gioca un ruolo centrale nel processo poietico umano. Postumanesimo e transumanesimo sono diversi nei presupposti teorici: riporre aspettative nella tecnologia non vuol dire affidarsi in toto a essa a discapito della connotazione biologica. Il Postumanesimo non considera gli oggetti tecnici come meri strumenti, ma come partner nel processo ontologico umano.
L’impatto dell’IA sul mondo del lavoro e dell’economia potrebbe generare una nuova forma di digital divide tra chi riuscirà a sfruttarne i vantaggi e chi no. Le grandi aziende dell’IA stanno aprendo la strada ai piccoli sviluppatori di prodotti commerciabili, ma ciò potrebbe giungere al punto da rendere superfluo il lavoro umano e creare nuove sacche di povertà.
Ci sono degli applicativi del machine learning in via di sviluppo e che potrebbero permetterci di mappare le situazioni di povertà estrema sparse in giro per il mondo, al fine di intervenire in maniera mirata ed efficace. Si tratta di tecnologie giovani ma promettenti, le quali potrebbero far pendere l’ago della bilancia verso un utilizzo etico dell’intelligenza artificiale.
La paura dell’avvento di armi controllate da forme di intelligenza artificiale ha spinto migliaia di scienziati e imprenditori del settore a sottoscrivere una lettera con l’intento di proporre la messa al bando delle armi “intelligenti”. La questione, dall’ambito militare si sta allargando ad altri settori in cui l’intelligenza artificiale potrebbe presto giocare il ruolo principale.
Non tutti gli esperti del settore dell’IA sono d’accordo con l’allarmismo sollevato dalla lettera aperta, firmata da migliaia di scienziati e imprenditori, contro lo sviluppo di armi autonome. Sistemi intelligenti armati potrebbero diventare più bravi degli uomini a salvare vite umane. Esisterebbe già il potenziale per prefigurare un futuro dove i robot saranno soldati migliori degli uomini.
L’intelligenza artificiale ha il potenziale per cambiare il destino dell’umanità, sia in meglio che in peggio. Non potremo competere con entità potenzialmente in grado di riprogettarsi e migliorarsi autonomamente e in modo più efficiente di quanto non facciano i sistemi biologici. Bisogna agire in anticipo sviluppando strutture in grado di canalizzare gli sviluppi futuri in direzioni positive.
Eric Schmidt, uno dei dirigenti di Alphabet, ritiene che i progressi dell’IA saranno a beneficio dell’umanità. Un esempio di questo trend sono alcuni recenti studi volti a combattere la povertà estrema. La soluzione, secondo Demis Hassabis, CEO di Deepmind, potrebbe arrivare con la creazione di intelligenze artificiali di tipo generico, che porterebbero una visione planetaria dei problemi.
I robot ci ruberanno il lavoro
La paura che un domani i robot sostituiscano gli umani nella maggior parte dei contesti lavorativi è molto diffusa, ed è un argomento complesso e delicato al punto da coinvolgere nel dibattito anche le Nazioni Unite e la Banca Mondiale. Tale processo non riguarderebbe infatti solo il mondo Occidentale, coinvolto in prima linea nella ricerca, ma anche, in misure diversificate, il resto del nostro pianeta. Se forse non esiste una sola risposta alle molte domande sollevate dall’introduzione massiccia di macchine nel mondo del lavoro, c’è però chi vede nella “rivoluzione digitale” e nell’automazione del lavoro non solo un rischio, ma anche una prospettiva di crescita. Ciò non significa che l’impatto sarà meno traumatico, ma che forse, se ci prepariamo doverosamente a partire dall’educazione delle nuove generazioni, potremmo subire un contraccolpo nettamente minore.
Jeffrey Dorman sostiene che le macchine non possano arrivare a fare proprio tutto. Da un lato egli ritiene che non sarebbe così facile sostituire l’essere umano per quanto riguarda attività che gli sono proprie come quelle legate all’immaginazione. Certo dobbiamo prepararci all’idea di vedere sempre più settori soccombere all’automazione. Ma d’altro canto la storia ci insegna che le rivoluzioni che in passato sono parse come foriere di crisi, spesso hanno al contrario favorito la crescita sociale ed economica, lasciando all’umanità il tempo e lo spazio per concentrarsi su questioni più importanti dei lavori ripetitivi. È stato il caso dell’agricoltura, il cui cambiamento drastico avvenuto a partire dal XIX secolo avrebbe dovuto produrre una situazione di crisi profonda e cronica.
I robot sottrarranno lavoro e dignità all’uomo
Dall’American Association for the Advancement of Science arriva il monito: il 50% dei posti di lavoro potrebbe essere già a rischio. A essere in gioco non è solo il lavoro in quanto fonte di guadagno e benessere economico, ma anche il suo dare un senso e una dignità alla vita degli uomini. Il problema è che il lavoro umano non può reggere il confronto con la manodopera robotica in termini di convenienza, e forse la questione non è ancora stata affrontata con la dovuta serietà, né contromisure adatte sono ancora state approntate. Il timore non coinvolge solo gli istituti internazionali che si occupano di scienza ed economia, ma è qualcosa che tocca anche le opinioni popolari. È il caso di un sondaggio effettuato su un campione di cittadini irlandesi, tra i quali non sono pochi quelli che immaginano un futuro di disoccupazione.
In più occasioni nel corso della storia l’umanità si è trovata a dover affrontare cambiamenti epocali le cui conseguenze si sono spesso protratte per secoli. È il caso dell’invenzione della stampa, o delle rivoluzioni agricola e industriale, le quali hanno apportato numerosi benefici alla vita degli esseri umani, ma non senza intoppi. È noto il caso dei luddisti, un gruppo di lavoratori del settore tessile che nel XIX secolo si connotò per la forte avversione alle innovazioni di tipo tecnologico. La loro determinazione era tale che il movimento prese i tratti di un culto, e le azioni di protesta si trasformarono in atti di sabotaggio. Emblematico è il fatto che oggi, quando si parla di luddismo, non si alluda a nulla di buono, al contrario tale termine viene impiegato con toni spregiativi per etichettare quanti si oppongano strenuamente, e a volte ciecamente, all’incalzare delle nuove tecnologie.
Il Transumanesimo e la fiducia nel mezzo tecnologico
Tra le correnti di pensiero che si accostano allo studio dei rapporti uomo-macchina, quelle che finiscono sotto l’etichetta del transumanesimo sono accomunate dalla fiducia nel mezzo tecnologico come strumento poietico dell’essere umano. Tali posizioni si riferiscono di volta in volta a diverse branche della scienza, e in generale acquisiscono informazioni da qualunque fonte possa fare gioco al loro intento ultimo, ossia quello di liberare l’uomo dalla sua condizione considerata biologicamente svantaggiata, trascendendola per abbracciare una nuova epoca e un nuovo modo postumano di esistere. Il transumanesimo affonda le proprie radici nella tradizione umanista e illuminista, delle quali tende a riaffermare in chiave attuale l’idea di una supremazia della ragione. Per quanto riguarda l’intelligenza artificiale, la propensione transumanista è quella di lavorare in direzione di una progressiva fusione che permetta all’uomo di oltrepassare i limiti impostigli dalla natura e che generi una nuova forma di intelligenza dove biologico e tecnologico siano pressoché indistinguibili.
Il Postumanesimo e il ruolo centrale della tecnologia
Il filone di pensiero postumanista a volte viene concettualmente sovrapposto a quello transumanista, perché per certi aspetti, come per esempio quelli concernenti l’uso di tecnologie avanzate, può sembrare che le due scuole di pensiero abbiano molto in comune. Per esempio anche per il postumanesimo la tecnologia gioca un ruolo centrale nel processo poietico umano nella misura in cui ha contribuito nel corso dei millenni, continuando a farlo tutt’ora, a plasmare l’identità di specie dell’essere umano. Ciò che rende gli approcci postumanisti e transumanisti diversi al di là delle apparenze sono i presupposti teorici di partenza. Riporre delle aspettative nell’evolversi delle forme tecnologiche non vuol dire affidarsi in toto a esse a discapito della connotazione biologica che ci contraddistingue e definisce, o ancora peggio contrapponendosi a essa come se fosse un male da estirpare. Ma al tempo stesso non significa nemmeno adagiarsi sull’immutabilità della natura umana in termini biologici e genetici. La proposta dalle correnti postumaniste è quella di smettere di considerare i cosiddetti oggetti tecnici come meri strumenti alla mercé delle nostre ambizioni, e di considerarli al contrario come partner nel processo ontologico umano.
L’IA sarà il prossimo digital divide e creerà una spaccatura insanabile tra chi ha e chi non ha accesso a tali risorse
Certe aziende sono più propense di altre a recepire i cambiamenti introdotti dalle innovazioni tecnologiche. L’impatto dell’IA sul mondo del lavoro e dell’economia potrebbe generare una nuova forma di digital divide tra coloro che sapranno sfruttare i vantaggi offerti dai sistemi basati sul machine learning, e coloro i quali continueranno a fare le cose come hanno sempre fatto. Le grandi aziende dell’IA stanno aprendo la strada ai piccoli sviluppatori di prodotti commerciabili, ma c’è chi ha la sensazione che la cosa potrebbe degenerare fino al punto da rendere il lavoro umano totalmente superfluo. Ciò creerebbe sacche di povertà tali per cui non tutti se la sentono di escludere anche soluzioni estreme e definitive perpetrate da parte della nuova élite tecnologica ai danni di quanti saranno rimasti tagliati fuori dalla “nuova economia”.
Il fatto di trovarci sull’orlo di un nuovo tipo di digital divide potrebbe dipendere dal modo in cui facciamo uso delle nascenti tecnologie legate all’IA. Ci sono degli applicativi del machine learning che sono in via di sviluppo e che potrebbero permetterci di mappare le situazioni di povertà estrema sparse in giro per il mondo, al fine di intervenire in maniera mirata ed efficace. Si tratta di tecnologie giovani ma promettenti, le quali potrebbero far pendere l’ago della bilancia verso un utilizzo etico dell’intelligenza artificiale. E proprio in merito all’etica delle innovazioni tecnologiche, c’è chi auspica la nascita di agenzie per il controllo, l’informazione e la condivisione di informazioni e progressi nei campi coinvolti, in maniera tale che, come è avvenuto nella seconda metà del ventesimo secolo con la fase di stallo nucleare, si possano convogliare le nuove risorse tecnologiche in uno sforzo congiunto per la pace, e per il bene dell’umanità.
Una lettera contro le armi intelligenti unisce scienziati e imprenditori contro una nuova corsa agli armamenti
La paura dell’avvento di armi controllate da forme di intelligenza artificiale è tanto sentita da aver spinto migliaia di scienziati e imprenditori del settore, tra i quali personaggi del calibro di Stephen Hawking ed Elon Musk, a sottoscrivere una lettera il cui intento è quello di proporre la messa al bando delle armi “intelligenti”. La questione, almeno in campo militare, non è nuova, ma si sta rapidamente allargando ad altri settori in cui l’intelligenza artificiale potrebbe presto giocare il ruolo principale. Che si tema una nuova corsa agli armamenti, o una vera e propria presa di coscienza da parte di forme di intelligenza non biologica, molti sono oramai dell’idea che il dibattito sia a un punto cruciale, dalla risoluzione del quale può dipendere il destino dell’intero pianeta.
Non tutti gli esperti del settore dell’IA si sono detti d’accordo con l’allarmismo sollevato dalla pubblicazione di una lettera aperta, firmata da migliaia di scienziati e imprenditori, contro lo sviluppo di armi autonome. C’è chi sostiene che un simile gesto serva di più a sollevare un polverone anziché a risolvere qualcosa, perché sarebbe più saggio trovare un modo di costruire armi “in modo etico” e controllabile, dal momento che risulterebbe impraticabile una messa al bando totale. Inoltre non è da escludere che, un domani, sistemi intelligenti armati diventino più bravi degli uomini a valutare la pericolosità di una situazione per trovare la soluzione meno dannosa in termini di costi in vite umane. Si tratta di tecnologie ancora in via di sviluppo, ma secondo alcuni esiste già il potenziale per prefigurare un futuro dove i robot saranno soldati migliori degli esseri umani.
Gli sviluppi estremi dell’intelligenza artificiale saranno fatali per la specie umana
L’intelligenza artificiale ha il potenziale per cambiare drasticamente il destino dell’umanità, sia in meglio che in peggio. L’idea di trovarsi un domani a dover rivaleggiare con intelligenze di tipo non biologico rappresenta per molti esperti un problema la cui soluzione non è scontata. Tra questi spicca sicuramente il nome di Stephen Hawking, il quale in diverse occasioni ha manifestato i propri timori. Non potremo competere con un’entità potenzialmente in grado di riprogettarsi e migliorarsi autonomamente e in maniera molto più efficiente e rapida di quanto non facciano i sistemi biologici. La sola opzione valida che ci resta è agire in anticipo sviluppando strutture e istituzioni in grado di canalizzare gli sviluppi futuri in direzioni positive.
Non tutti gli esponenti di primo piano della ricerca nel campo dell’IA sono dell’idea che il futuro sviluppo di questa branca delle scienze sarà a svantaggio degli esseri umani. Eric Schmidt, uno dei dirigenti di Alphabet, ritiene che i progressi in tale direzione saranno a beneficio dell’umanità che, come avvenuto più volte in passato, godrà sul lungo termine degli efficientamenti derivanti dall’introduzione dell’intelligenza artificiale. Un esempio molto significativo di questo trend si può trovare in alcuni recenti studi mirati a sviluppare soluzioni pratiche per combattere alcuni tra i problemi globali per antonomasia, come la povertà estrema. La soluzione, secondo Demis Hassabis, CEO di Deepmind, potrebbe arrivare con la creazione di intelligenze artificiali di tipo generico, le quali porterebbero con sé una visione realmente planetaria dei problemi.