Anonimato online
FAVOREVOLE O CONTRARIO?
Nel 1993, una celebre vignetta del “New Yorker” mostrava due cani seduti davanti a un computer. Uno diceva all’altro: “On the Internet, nobody knows you're a dog”. In quella battuta ironica si nascondeva una delle intuizioni più potenti dell’era digitale: la possibilità di esistere online senza essere riconosciuti, di reinventarsi un’identità, di sfuggire ai vincoli della fisicità, sociale e istituzionale. L’anonimato era, agli occhi di quella generazione, la chiave di una nuova libertà.
A distanza di trent’anni, l’anonimato ha rivelato le sue dicotomie. Se da un lato continua a offrire protezione, libertà espressiva e accesso a spazi di autodeterminazione, dall’altro è diventato lo scudo dietro cui si celano odio, violenza e crimine. L’anonimato non è più solo una funzione del sistema: è diventato un campo di battaglia morale, giuridico e politico. La domanda che oggi ci poniamo non è se l’anonimato sia buono o cattivo, ma quali conseguenze sociali genera, chi protegge e chi abbandona, quali diritti sostiene e quali mina.

IL DIBATTITO IN 2 MINUTI:
La possibilità di scegliere chi essere – anche solo online – è un atto di liberazione. L’anonimato non è assenza di identità, ma la sua reinvenzione.
L’anonimato può essere un’arma che incoraggia comportamenti violenti, disinibiti, crudeli. Alcuni si liberano di ogni filtro etico.
L’anonimato online è un’arma per chi lotta contro i poteri costituiti. Per attivisti, dissidenti politici e whistleblower è uno scudo contro la repressione.
Nato come strumento di tutela, l’anonimato digitale può diventare una barriera insormontabile per chi cerca giustizia.
Per chi vive in condizioni di marginalità o discriminazione, l’anonimato online è spesso l’unica porta d’accesso a forme di supporto psicologico e umano.
Grazie a reti anonime, criptovalute e marketplace nascosti, gruppi organizzati riescono oggi a compiere azioni illegali su scala globale.
L’anonimato è uno strumento di autodeterminazione e libertà identitaria
Nel vasto panorama delle interazioni digitali, l’anonimato non è solo una condizione tecnica: è, per molti, un potente veicolo di autodeterminazione. In un mondo dove l'identità è spesso una prigione sociale, legata a codici culturali, aspettative di genere e ruoli predeterminati, la possibilità di scegliere chi essere – anche solo online – rappresenta un atto di liberazione. L’anonimato, in questo senso, non è assenza di identità, ma la sua reinvenzione.
Lo evidenzia chiaramente lo studio condotto da Emily van der Nagel e Jordan Frith per la University of North Texas, che analizza il comportamento degli utenti nel subreddit r/Gonewild. Gli autori parlano di “agency identitaria” legata alla pseudonimia, ossia all’uso ricorrente di uno stesso alias online: una modalità che consente agli individui di costruire reputazione, relazioni e narrazioni di sé pur restando anonimi. “La pseudonimia non annulla la responsabilità”, scrivono, “ma la trasferisce su un piano alternativo, dove il soggetto è responsabile verso la propria comunità anonima”.
La distinzione tra anonimato e pseudonimia è infatti fondamentale. Come spiega il Tor Project nella sua storia istituzionale, l’anonimato digitale è spesso uno spazio in cui persone con background diversi – minoranze etniche, sessuali, ideologiche – possono esistere senza essere costrette a difendersi. Durante la Primavera Araba, il browser Tor ha permesso a migliaia di cittadini nei paesi nordafricani di aggirare la censura e accedere a strumenti di espressione politica. L’anonimato, in quel contesto, era sinonimo di sopravvivenza. Ma anche nei contesti non bellici, l’anonimato svolge una funzione sociale. Secondo lo studio pubblicato su “PubMed”, le dinamiche aggressive nei social network non aumentano in presenza di anonimato puro, anzi: gli utenti con tratti antisociali (“Dark Triad”) risultano meno aggressivi quando privati della possibilità di ottenere riconoscimento pubblico. “La mancanza di visibilità sociale – affermano i ricercatori – frena i comportamenti premiati dalla spettacolarizzazione”.
Il contributo più importante dell’anonimato, però, è forse sul piano della psicologia dello sviluppo. Nella ricostruzione proposta dalla Society for the Advancement of Psychotherapy, l’adolescenza è una fase in cui l’identità è ancora in formazione. Esporsi sotto il proprio vero nome, specialmente in ambienti ostili, può generare traumi, isolamento o regressione. In questo senso, i profili anonimi diventano uno spazio “protetto” in cui sperimentare se stessi, esplorare affinità, ricevere feedback su aspetti intimi senza il rischio di stigmatizzazione.
Anche per le persone transgender, l’anonimato è una risorsa vitale. L’articolo pubblicato da “TransVitae” raccoglie testimonianze di utenti che dichiarano: “Alcuni di noi sono vivi solo grazie all’anonimato”. Per chi non può ancora fare coming out o vive in ambienti ostili, la possibilità di accedere a forum, chat e comunità in forma anonima rappresenta un canale essenziale per costruire autostima, resilienza e senso di appartenenza.
Questi dati e testimonianze ci spingono a considerare l’anonimato non solo come un diritto tecnico, ma come diritto sociale e psicologico. In un’epoca in cui i big data e la sorveglianza digitale minano ogni residuo di privacy, la possibilità di non essere identificabili si trasforma in un baluardo di libertà. Un rifugio, sì, ma anche un laboratorio di identità.
Nina Celli, 10 giugno 2025
L’anonimato è uno scudo per la violenza verbale e il cyberbullismo
Se da un lato l’anonimato digitale può proteggere le identità vulnerabili, dall’altro lato rappresenta un potente catalizzatore per l’aggressività online. Quando non accompagnato da responsabilità e moderazione, l’anonimato si trasforma in un’arma che incoraggia comportamenti violenti, disinibiti, spesso crudeli. Lontano dallo sguardo diretto dell’altro, protetto da profili senza volto, l’individuo si libera di ogni filtro etico. È il volto oscuro del “nessuno mi vede, quindi posso tutto”.
Uno degli ambiti dove questo effetto è più devastante è il cyberbullismo, fenomeno dilagante tra i giovani e sempre più connesso all’anonimato. Lo evidenzia uno studio della Society for the Advancement of Psychotherapy, secondo cui "è facile nascondersi dietro l’anonimato di internet per insultare e minacciare, senza mai dover parlare direttamente alla vittima". Questo tipo di comunicazione invisibile moltiplica l’intensità dell’offesa: non solo perché il persecutore si sente immune da conseguenze, ma anche perché la vittima percepisce un attacco disumanizzato, impersonale, quindi ancora più difficile da processare.
Il legame tra anonimato e aggressività è stato dimostrato anche sperimentalmente. Nello studio pubblicato su PubMed, i ricercatori hanno osservato il comportamento di utenti con tratti di personalità antisociali (“Dark Triad”) in condizioni di anonimato vs non-anonimato. Sorprendentemente, l’aggressività risultava più alta quando l’identità era visibile, ma solo tra soggetti con tratti antisociali: ciò indica che, per la maggior parte degli utenti, l’anonimato non frena, ma amplifica i comportamenti aggressivi quando la responsabilità percepita è nulla. Le cronache quotidiane sono piene di esempi. Il caso raccontato nel portale “TransVitae” è particolarmente emblematico: una giovane ragazza transgender, suicidatasi dopo episodi di bullismo, è stata oggetto di scherno su Twitter da parte di account anonimi. L’autrice dell’articolo scrive: “Le persone hanno fatto meme sulla sua morte. Ridevano, protetti da profili creati da meno di 30 giorni”. In queste situazioni, l’anonimato non protegge i vulnerabili, ma i loro carnefici.
Anche le piattaforme social ammettono la connessione tra anonimato e contenuti tossici. Secondo un report citato dalla Child Care Resource Center, "l’anonimato su internet permette di colpire con messaggi dannosi, mentre la natura pubblica dei social ne amplifica l’effetto". È l’unione tra invisibilità e visibilità a generare una miscela esplosiva: chi attacca resta nascosto, chi subisce è esposto.
L’effetto psicologico sulle vittime è devastante. Secondo la “Times of India”, il cyberbullismo anonimo può causare depressione grave, isolamento sociale e disturbi alimentari. Un caso riportato è quello di un ragazzo di 16 anni che ha perso oltre 20 kg in poche settimane a causa delle prese in giro subite da utenti anonimi riguardo al suo aspetto fisico.
L’assenza di identità rende anche più difficile il lavoro degli educatori, dei genitori e dei terapeuti. Quando non si sa chi è il persecutore, si crea un clima di diffidenza, paura generalizzata, impossibilità di costruire un contesto di fiducia. Il punto non è abolire l’anonimato in assoluto, ma riconoscere il suo potenziale distruttivo se lasciato senza regole. La libertà di parola non può diventare libertà di violenza. Ogni spazio digitale che permette interazioni anonime dovrebbe essere dotato di strumenti avanzati di moderazione, penalizzazioni rapide per l’abuso, tracciabilità tecnica (anche cifrata) che consenta, in casi estremi, di risalire agli autori. Perché se l’anonimato protegge chi subisce, non può allo stesso tempo proteggere chi colpisce.
Nina Celli, 10 giugno 2025
L’anonimato è una protezione per attivisti, whistleblower e dissidenti
In una società sempre più interconnessa, dove l’accesso all’informazione convive con nuove forme di censura e controllo, l’anonimato online si rivela un’arma indispensabile per chi lotta contro i poteri costituiti. Per attivisti, dissidenti politici e whistleblower, l’anonimato non è un vezzo digitale, ma uno scudo contro la repressione.
Il caso più emblematico è quello del progetto Tor, la rete cifrata che protegge l’identità degli utenti attraverso il cosiddetto “onion routing”. Come ricostruito nella sua storia ufficiale, Tor è nato negli anni ’90 all’interno del Naval Research Laboratory degli Stati Uniti, ma è diventato uno strumento civile a tutti gli effetti a partire dagli anni 2000, quando l’Electronic Frontier Foundation ha cominciato a finanziare lo sviluppo del Tor Browser. Da allora, milioni di utenti in tutto il mondo – tra cui attivisti pro-democrazia, giornalisti in paesi autoritari, oppositori politici e vittime di censura – hanno usato la rete Tor per comunicare, diffondere documenti, organizzare proteste.
Uno degli episodi chiave in cui Tor si è rivelato cruciale è stato durante la Primavera Araba del 2010-2011. In paesi come Egitto, Tunisia e Siria, l’accesso ai social network e ai siti indipendenti era bloccato. Tor ha permesso a molti attivisti di aggirare i firewall governativi e pubblicare video, foto e testimonianze sui social media, alimentando una narrazione alternativa a quella ufficiale. Come ricordano i documenti dell’organizzazione, "Tor non solo proteggeva le identità, ma consentiva l’accesso all’informazione come bene essenziale nei momenti di crisi".
Anche in contesti democratici, l’anonimato è fondamentale per il whistleblowing. Il caso di Edward Snowden, ex consulente della NSA che ha rivelato l’esistenza di programmi di sorveglianza globale come PRISM e XKeyscore, ha segnato una svolta nel dibattito pubblico sulla privacy. Snowden ha usato Tor per contattare i giornalisti e condividere i file segreti. In un’intervista al Guardian, ha dichiarato: “Senza strumenti come Tor, non avrei potuto denunciare ciò che ho visto. Sarei stato rintracciato e messo a tacere prima ancora di cominciare”.
Il contributo dell’anonimato alla libertà di stampa è stato ribadito anche da diverse organizzazioni internazionali. Reporters Without Borders considera Tor e altri strumenti di anonimato “fondamentali per la sicurezza dei giornalisti” nei regimi autoritari. Amnesty International, in una sua nota del 2024, ha scritto: “Il diritto all’anonimato digitale è una condizione necessaria per la libertà di espressione, specialmente in contesti repressivi.”
Naturalmente, la protezione dell’identità non riguarda solo i “grandi casi” internazionali. Anche a livello locale, l’anonimato consente alle persone di denunciare abusi, discriminazioni o comportamenti illeciti senza esporsi a ritorsioni. Il sito BlockSurvey è un esempio di piattaforma che permette di raccogliere opinioni anonime in modo sicuro, grazie all’integrazione della blockchain. Secondo il fondatore Wilson Bright, "i sondaggi anonimi permettono alle persone di esprimersi davvero, senza paura".
Tuttavia, proprio la possibilità di proteggere chi denuncia mette in crisi le piattaforme che richiedono identificazione obbligatoria. Come evidenzia la comunità di PrivacyGuides, in Svizzera si sta discutendo una legge che vieterebbe l’anonimato online, imponendo metadati obbligatori per VPN ed email. Proton, uno dei principali provider di servizi cifrati, ha minacciato di lasciare il Paese: “Senza anonimato, nessuno potrà più denunciare abusi o esercitare opposizione legittima.”
L’anonimato è dunque un pilastro della libertà politica digitale. La sua rimozione, anche se motivata dalla sicurezza, rischia di produrre l’effetto opposto: un mondo dove le ingiustizie non vengono denunciate, perché nessuno può più parlare senza paura.
Nina Celli, 10 giugno 2025
L’anonimato è un ostacolo alla giustizia per le vittime di abusi online
Se la rete è oggi lo spazio in cui si costruisce gran parte della socialità umana, è anche il luogo dove si consumano nuove forme di violenza. L’anonimato digitale, sebbene nato come strumento di tutela, può diventare una barriera insormontabile per chi cerca giustizia. È il paradosso moderno: ciò che protegge l’identità, protegge anche l’impunità. A evidenziarlo con chiarezza è il report dell’organizzazione SG Her Empowerment (SHE), pubblicato su “Yahoo News Singapore”. La ricerca, condotta tra donne di età compresa tra i 18 e i 45 anni, ha messo in luce un dato allarmante: solo 1 vittima su 4 ha ottenuto la rimozione dei contenuti lesivi da parte delle piattaforme digitali e appena 1 su 3 ha trovato risposte efficaci da parte del sistema giudiziario. La ragione principale? L’anonimato degli aggressori.
Il caso di “Nisha”, citato nel report, è emblematico. Per due anni ha subito persecuzioni digitali da parte di utenti anonimi, che diffondevano foto, audio e messaggi sessualmente espliciti a suo nome. Non potendo identificare gli autori, Nisha ha dovuto farsi carico da sola delle indagini, raccogliendo prove, screenshot, IP e cercando supporto legale. Un’esperienza definita da lei stessa “più traumatica della violenza subita”, per l’impotenza che ha generato.
Le piattaforme social, nella maggior parte dei casi, non rendono disponibili i dati identificativi degli utenti se non dietro ordine giudiziario, ma la difficoltà di ottenere tali ordini e la lentezza del processo fa sì che gli aggressori agiscano indisturbati. Inoltre, la possibilità di creare profili multipli, spesso senza verifica, permette loro di “rinascere” digitalmente ogni volta, rendendo vana qualsiasi forma di blocco.
La PrivacyGuides Community ha denunciato un caso simile in Svizzera, dove la società Infomaniak ha chiesto una modifica di legge che obblighi tutti i provider a conservare i metadati degli utenti. La proposta, sebbene criticata da molti per i rischi alla privacy, nasce da un’esigenza concreta: senza dati minimi identificativi, nessun crimine può essere perseguito. Come ha dichiarato il portavoce dell’azienda: “Oggi internet consente di operare completamente nell’ombra, anche per chi compie reati. È come avere una città senza nomi, né telecamere.”
Anche il progetto Cyberpsychology – Behavior and Social Networking conferma che la difficoltà a identificare gli utenti anonimi ostacola le indagini e l’applicazione della giustizia nei casi di cyberaggressione. I ricercatori parlano di “neutralizzazione sociale”: un processo per cui l’assenza di identità impedisce la costruzione di una narrativa pubblica contro il colpevole, e dunque priva la vittima di riconoscimento e riparazione. Il danno è duplice: emotivo e legale. Le vittime si sentono invisibili, impotenti, scoraggiate a denunciare. L’aggressore, al contrario, acquisisce potere. Questo squilibrio genera una forma di “sopravvivenza tossica” in rete, dove la regola implicita è che chi agisce per primo – anche in forma anonima – ha sempre un vantaggio strategico.
Non si tratta di invocare un’identità digitale assoluta o un’internet senza maschere. Ma esistono modelli intermedi – come la pseudonimia verificata, l’uso di “chiavi di fiducia” crittografiche, la tracciabilità a due livelli – che potrebbero garantire libertà espressiva senza sottrarre ogni possibilità di tutela alle vittime.
Nina Celli, 10 giugno 2025
L’anonimato è una via di accesso a comunità di supporto per persone vulnerabili
Per molte persone che vivono in condizioni di marginalità, discriminazione o isolamento sociale, l’anonimato online rappresenta non solo un rifugio, ma spesso l’unica porta d’accesso a forme di supporto psicologico e umano. L’anonimato consente di abbattere barriere culturali, familiari e istituzionali, rendendo possibili connessioni autentiche tra chi condivide esperienze di sofferenza e resilienza. Un esempio emblematico è offerto dalla testimonianza raccolta nell’articolo Online Anonymity Helps Transgender People and Harms Them Too. L’autrice, una donna transgender, descrive l’anonimato come uno “spazio di sopravvivenza” per chi non può vivere apertamente la propria identità. In ambienti ostili – scuole, famiglie, città piccole – l’uso di alias digitali è ciò che permette a migliaia di persone trans di entrare in contatto con comunità di supporto, accedere a risorse sanitarie, scambiarsi consigli sulla transizione, discutere di terapia e farmaci. Come dichiara un’utente: “Senza l’anonimato, non avrei mai avuto il coraggio di chiedere aiuto. Avevo bisogno di sapere che non ero sola, ma senza essere vista”.
La questione si estende a tutte le forme di disagio psicosociale: ansia, depressione, disforia corporea, disturbi alimentari, autolesionismo. L’articolo pubblicato dalla Society for the Advancement of Psychotherapy evidenzia come i giovani con bassa autostima usino i social media in forma anonima per cercare conferme, evitare giudizi e ridurre il senso di esclusione. In uno studio citato nell’articolo, è stato osservato che i soggetti con autostima fragile tendono a utilizzare piattaforme online non per “esibirsi”, ma per osservare, ascoltare e confrontarsi con esperienze simili. L’anonimato diventa quindi uno strumento di coping, un modo per contenere le proprie emozioni in un contesto protetto.
Un altro esempio significativo è rappresentato dalla piattaforma Reddit, analizzata in dettaglio nella ricerca accademica dell’University del North Texas. In particolare, la sezione r/Gonewild viene esaminata non solo come spazio erotico, ma come contesto in cui soggettività altrimenti invisibili – persone non conformi, con disabilità, anziani, individui queer – trovano uno spazio per esplorare la propria immagine corporea e ricevere validazione. L’anonimato non viene percepito come meccanismo di fuga, ma come tecnologia dell’empowerment: una maschera che permette di esporsi più, non meno.
Anche in campo sanitario, l’anonimato ha un impatto concreto. Secondo uno studio pubblicato dal Tor Project, durante la pandemia di COVID-19 molti utenti si sono rivolti a forum anonimi per parlare di sintomi, ansie, dubbi su vaccini o esperienze ospedaliere che non avrebbero condiviso altrimenti. In contesti in cui la salute mentale è ancora un tabù, come in molte comunità religiose o rurali, l’anonimato ha permesso di aprire un canale con il mondo esterno.
La sicurezza dell’anonimato, inoltre, è centrale anche per chi vive in ambienti violenti o abusanti. L’organizzazione SHE (SG Her Empowerment), in uno studio pubblicato su “Yahoo News”, sottolinea come molte donne vittime di molestie digitali abbiano cercato supporto psicologico e legale in forma anonima, per evitare ritorsioni da parte degli aggressori o familiari. L’assenza di protezione istituzionale spinge spesso le vittime a rifugiarsi in spazi virtuali anonimi dove possano almeno condividere la loro esperienza.
L’anonimato, quindi, non è un lusso da smascherare, ma un dispositivo di cura collettiva. Per chi vive al margine, la possibilità di nascondersi è il primo passo per uscire dal silenzio.
Nina Celli, 10 giugno 2025
L’anonimato ha un ruolo nella crescita del crimine digitale organizzato
Nel mondo digitale, l’anonimato non è solo una strategia individuale: è diventato un’infrastruttura operativa per l’economia criminale. Attraverso reti anonime, criptovalute e marketplace nascosti, gruppi organizzati riescono oggi a compiere azioni illegali su scala globale, con livelli di efficienza, discrezione e profitto mai raggiunti nel crimine tradizionale. In questo scenario, l’anonimato online non è un principio astratto, ma un acceleratore di dinamiche oscure. Lo evidenzia con chiarezza il report The Digital Drug Revolution della Global Initiative Against Transnational Organized Crime. Secondo il documento, i marketplace del dark web – protetti da anonimato garantito da Tor e criptovalute – generano tra i 5 e i 7,5 milioni di dollari al giorno solo nel traffico di droga. Nel 2024, le transazioni in criptovaluta per acquisto di sostanze stupefacenti hanno superato 1,7 miliardi di dollari, in crescita del 20% annuo. Il sistema è estremamente efficiente: offerte in stile Amazon, feedback degli acquirenti, protezione dell’identità del venditore e del compratore. Un mercato nero perfettamente funzionante, ma invisibile.
Il problema non si limita agli stupefacenti. Armi, documenti falsi, dati rubati, servizi di hacking, pornografia illegale: tutto passa attraverso reti anonime dove la tracciabilità è pressoché nulla. Il report cita oltre 30.000 siti attivi nel dark web, il 60% dei quali coinvolti in attività illecite. La capacità di operare nell’ombra, saltando da un server all’altro e cancellando ogni traccia, rende queste reti estremamente resilienti: ogni volta che una piattaforma viene chiusa, se ne aprono altre tre nel giro di giorni.
Il caso russo è emblematico. Secondo lo stesso report, l’85% dei consumatori di droga online in Russia nel 2022 ha effettuato acquisti attraverso marketplace anonimi, con consegna tramite “dead drop” e pagamento in criptovalute. Il tutto senza che nessuno dei partecipanti all’operazione debba mai svelare la propria identità.
L’anonimato non è solo lo strumento: è il modello stesso del crimine digitale. A differenza della criminalità classica, qui non servono territori, gerarchie, complicità fisiche. Bastano alias, wallet e traffico criptato. In questo contesto, l’identità diventa un optional: un rischio da evitare, una debolezza da eliminare. E più la tecnologia rende sofisticata la protezione dell’anonimato, più il crimine diventa automatizzato e scalabile.
Il rischio sociale è enorme. Come afferma il 2025 Serious and Organised Crime Threat Assessment di Europol, oggi quasi tutte le forme di crimine organizzato hanno una componente digitale, che le rende più veloci, meno rischiose e più redditizie. L’anonimato è il carburante invisibile che tiene in moto queste strutture. L’equilibrio tra privacy e sicurezza non può essere un dogma ideologico, ma deve rispondere alla realtà dei fatti. Quando l’anonimato diventa una muraglia impenetrabile anche per le autorità, il prezzo pagato dalla collettività – in termini di salute pubblica, sicurezza, perdita di fiducia – è altissimo.
La sfida, allora, è progettare sistemi flessibili di anonimato condizionato: dove la riservatezza sia garantita finché non viene abusata. Strumenti come la tracciabilità crittografata, l’identità decentralizzata e la cooperazione tra piattaforme e forze dell’ordine possono rappresentare alternative valide alla dicotomia tra “anonimato assoluto” e “sorveglianza totale”.
Nina Celli, 10 giugno 2025