L'ONU deve essere radicalmente riformata

FAVOREVOLE O CONTRARIO?

Le Nazioni Unite (ONU), fondate nel 1945 con l'obiettivo di mantenere la pace e la sicurezza internazionale, rappresentano uno dei pilastri fondamentali della governance globale. L’organizzazione, nata sulle ceneri della Seconda Guerra Mondiale, ha promosso negli anni iniziative cruciali in ambito diplomatico, umanitario e ambientale. Tuttavia, a quasi ottant'anni dalla sua istituzione, il suo ruolo e la sua struttura sono oggetto di un acceso dibattito internazionale. La comunità globale si trova oggi di fronte a una serie di sfide inedite: conflitti persistenti, minacce emergenti come il cambiamento climatico, la crescente disuguaglianza economica, il rischio di nuove pandemie e l’uso delle nuove tecnologie come l’intelligenza artificiale nella sicurezza internazionale. In questo contesto, molti ritengono che l’ONU non sia più adeguata a rispondere efficacemente alle esigenze del XXI secolo.


IL DIBATTITO IN 2 MINUTI:

01 - Il Consiglio di Sicurezza è obsoleto e non rappresentativo

Il Consiglio di Sicurezza dell'ONU riflette l'assetto geopolitico del 1945. Paesi emergenti chiedono una maggiore rappresentanza, affermando che l'attuale composizione esclude intere regioni del mondo.

02 - Le grandi potenze non accetteranno mai di perdere potere

Uno degli ostacoli più significativi a una riforma radicale dell'ONU è l'opposizione delle grandi potenze che detengono il diritto di veto sulle decisioni globali. Una modifica che riduca il loro potere rischierebbe di destabilizzare il sistema.

03 - L'ONU è inefficace nel prevenire e risolvere conflitti

L'incapacità dell'ONU di agire rapidamente in situazioni di emergenza mina la sua credibilità e spinge sempre più nazioni a cercare soluzioni alternative, come alleanze regionali o interventi unilaterali.

04 - Rischio di paralisi politica e indebolimento dell'ONU

Il Consiglio di Sicurezza fatica a prendere decisioni rapide a causa dei veti delle grandi potenze. Se il numero di membri permanenti aumentasse e nuovi paesi ottenessero il diritto di veto e il processo diventerebbe ancora più lento.

05 - All’ONU mancano gli strumenti per affrontare le crisi globali moderne

L'ONU, con le sue attuali strutture burocratiche e i suoi limiti istituzionali, non è in grado di rispondere adeguatamente alle minacce emergenti, come cambiamento climatico, cybersecurity o pandemie.

06 - I costi economici e logistici di una riforma su larga scala sarebbero troppo alti

Un'espansione del Consiglio di Sicurezza per includere nuovi membri permanenti richiederebbe una riorganizzazione completa delle strutture amministrative dell'ONU, con un aumento del budget fino al 20-30%.

07 - È necessario un riequilibrio di potere tra Nord e Sud globale

Il sistema delle Nazioni Unite riflette un equilibrio prodotto del periodo post-bellico del 1945, ignorando la crescita economica e politica di molte nazioni emergenti.

08 - L'ONU ha ancora un ruolo insostituibile nel coordinamento globale

L'ONU svolge un ruolo insostituibile nella gestione di crisi umanitarie, nelle missioni di peacekeeping e nella promozione degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile.

 
01

Il Consiglio di Sicurezza è obsoleto e non rappresentativo

FAVOREVOLE

Il Consiglio di Sicurezza dell'ONU, con i suoi cinque membri permanenti dotati di diritto di veto (Stati Uniti, Russia, Cina, Regno Unito e Francia), riflette l'assetto geopolitico del 1945 e non la realtà odierna. Paesi come India, Brasile, Sudafrica e Nigeria chiedono una maggiore rappresentanza, affermando che l'attuale composizione esclude ingiustamente intere regioni del mondo. Attualmente, più del 60% della popolazione mondiale non ha alcuna voce nelle decisioni chiave dell'organizzazione.
Questa situazione è particolarmente evidente nel caso dell'Africa, continente che ospita più di un miliardo di persone ma che non ha alcun membro permanente nel Consiglio. La richiesta di due seggi permanenti per i paesi africani, avanzata dai leader dell'Unione Africana, si basa sulla necessità di correggere un'ingiustizia storica e di garantire che il continente possa contribuire attivamente alle decisioni di sicurezza globale. Secondo il rapporto pubblicato da “UN News” nel settembre 2024, i leader africani sostengono che l'attuale esclusione di questo continente non solo limita la loro influenza politica, ma perpetua uno squilibrio coloniale che non riflette le reali dinamiche geopolitiche. Il presidente del Kenya, William Ruto, ha definito il Consiglio di Sicurezza "disfunzionale, antidemocratico, non inclusivo e opaco", evidenziando come l'attuale sistema favorisca esclusivamente le grandi potenze.
L'India, con una popolazione di oltre 1,4 miliardi di abitanti e un'economia in costante crescita, ha avanzato richieste simili. Il paese è il più grande contributore alle missioni di peacekeeping delle Nazioni Unite, avendo fornito oltre 250.000 truppe a operazioni in tutto il mondo dal 1948, ma non ha alcun potere decisionale permanente nel Consiglio. Anche il Brasile, il più grande paese dell'America Latina, e il Giappone, la terza economia mondiale, chiedono da decenni una riforma che permetta loro di ottenere un seggio permanente, riflettendo il loro contributo finanziario e politico all'organizzazione.
Un'analisi condotta dal Global Governance Forum ha sottolineato che l'assenza di rappresentanza per intere regioni mina la legittimità delle decisioni del Consiglio di Sicurezza. Un esempio emblematico è stato il veto imposto da Stati Uniti, Russia e Cina su diverse risoluzioni relative ai conflitti in Medio Oriente e Ucraina, impedendo azioni decisive per risolvere le crisi. Se il Consiglio fosse più rappresentativo e meno dipendente dal potere di pochi stati, sarebbe possibile evitare situazioni di stallo che hanno reso l'ONU inefficace in molte crisi globali.
Secondo un rapporto della Carnegie Endowment for International Peace, la composizione del Consiglio di Sicurezza è talmente sbilanciata che alcuni stati membri non permanenti faticano ad avere voce nelle discussioni chiave. Questo squilibrio ha portato all'emarginazione di importanti attori geopolitici e ha favorito la creazione di nuove alleanze regionali come il BRICS (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica), che cerca di contrastare il dominio occidentale nelle istituzioni globali.
Anche le Nazioni Unite stesse riconoscono la necessità di riforme. Il Segretario Generale António Guterres, durante il Summit of the Future del 2024, ha dichiarato che "il sistema multilaterale deve adattarsi ai cambiamenti geopolitici ed economici del nostro tempo", sottolineando come l'attuale assetto non sia più sostenibile nel lungo termine. Il cosiddetto "Pact for the Future", adottato durante il summit, rappresenta un primo passo verso l'inclusione di più paesi nel processo decisionale, ma gli stati emergenti chiedono misure più incisive.
La necessità di riformare il Consiglio di Sicurezza non riguarda solo una questione di equità, ma anche di efficacia. Un Consiglio più rappresentativo potrebbe prendere decisioni più bilanciate, considerando una gamma più ampia di interessi geopolitici e sociali. La proposta più condivisa da esperti e analisti prevede l'ampliamento del numero dei membri permanenti senza diritto di veto, oppure la creazione di un meccanismo per limitare l'abuso del veto stesso.
La composizione del Consiglio di Sicurezza, quindi, non rispecchia più il mondo moderno, e l'attuale sistema continua a creare disuguaglianze strutturali nella governance globale. Senza una riforma significativa, l'ONU rischia di perdere la sua legittimità e di essere sempre più marginalizzata nelle decisioni geopolitiche cruciali. L'urgenza di un cambiamento è evidente, e la comunità internazionale deve affrontare questa sfida per garantire un sistema multilaterale più equo ed efficace.

Nina Celli, 25 febbraio 2025

 
02

Le grandi potenze non accetteranno mai di perdere potere

CONTRARIO

Uno degli ostacoli più significativi a una riforma radicale dell'ONU è l'opposizione delle grandi potenze. I cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza (Stati Uniti, Russia, Cina, Regno Unito e Francia) detengono il diritto di veto, una prerogativa che garantisce loro un'influenza diretta sulle decisioni globali. Una modifica che riduca il loro potere o introduca nuovi membri permanenti rischierebbe di destabilizzare l'intero sistema internazionale, generando forti resistenze politiche e diplomatiche.
Gli Stati Uniti, ad esempio, si sono sempre opposti a qualsiasi riduzione della loro influenza, sostenendo che il loro ruolo di leadership globale sia essenziale per garantire stabilità e sicurezza. Washington ha utilizzato il veto più di 80 volte dal 1946, principalmente per proteggere i propri alleati, in particolare Israele. Secondo il Council on Foreign Relations, gli Stati Uniti ritengono che una modifica del diritto di veto potrebbe compromettere la loro capacità di difendere i propri interessi geopolitici e strategici, limitando la loro libertà d'azione nelle questioni internazionali.
La Cina, d'altro canto, è contraria all'ingresso di nuovi membri permanenti come l'India o il Giappone, per timore di un riequilibrio di potere nella regione asiatica. Secondo un rapporto pubblicato da Carnegie Endowment for International Peace, Pechino vede qualsiasi tentativo di espansione del Consiglio di Sicurezza come una minaccia al proprio status di superpotenza e teme che paesi con orientamenti politici filo-occidentali possano limitare la sua influenza all'interno delle Nazioni Unite.
Anche la Russia ha bloccato ripetute proposte di riforma, affermando che un allargamento del Consiglio di Sicurezza potrebbe indebolire la sua capacità di difendere i propri interessi strategici. Mosca ha usato il veto oltre 140 volte, più di qualsiasi altro membro permanente, spesso per proteggere il regime siriano o per bloccare risoluzioni contrarie ai propri interessi. La posizione russa rispecchia la volontà di mantenere un sistema di governance internazionale che favorisca il bilanciamento di potere piuttosto che la democratizzazione delle decisioni globali.
Oltre alle dinamiche geopolitiche, vi sono anche questioni di natura giuridica. Per modificare la Carta delle Nazioni Unite e riformare il Consiglio di Sicurezza, sarebbe necessaria l'approvazione di almeno due terzi dei 193 Stati membri dell'ONU, oltre alla ratifica da parte dei cinque membri permanenti. Questo processo complesso rende estremamente improbabile una riforma radicale nel breve termine. Secondo l'International Crisis Group, una modifica così profonda potrebbe richiedere decenni di negoziati e non garantirebbe comunque risultati soddisfacenti per tutte le parti coinvolte.
Le grandi potenze temono che un'eventuale perdita di potere all'interno dell'ONU possa rafforzare altri organismi multilaterali, come il G20 o le organizzazioni regionali (ASEAN, Unione Africana), spingendo gli stati a cercare alternative più flessibili e funzionali. L'eventuale declino dell'influenza delle Nazioni Unite potrebbe quindi portare a un aumento dell'unilateralismo nelle relazioni internazionali, minando ulteriormente il multilateralismo e la diplomazia globale. La resistenza delle grandi potenze alla riforma dell'ONU rappresenta un ostacolo quasi insormontabile. Gli interessi geopolitici e strategici di Stati Uniti, Cina e Russia rendono improbabile qualsiasi cambiamento sostanziale dell'attuale struttura, e il rischio di destabilizzare gli equilibri internazionali è troppo alto per garantire un consenso su larga scala. L'ONU, quindi, rimane ancorata a un sistema di governance che, sebbene criticato, continua a essere difeso da coloro che detengono il potere decisionale più rilevante.

Nina Celli, 25 febbraio 2025

 
03

L'ONU è inefficace nel prevenire e risolvere conflitti

FAVOREVOLE

Negli ultimi anni, il Consiglio di Sicurezza è stato paralizzato dal veto incrociato delle grandi potenze, impedendo interventi decisivi in crisi come quelle in Siria, Ucraina e Gaza. L'incapacità dell'ONU di agire rapidamente in situazioni di emergenza mina la sua credibilità e spinge sempre più nazioni a cercare soluzioni alternative, come alleanze regionali o interventi unilaterali.
Un caso emblematico è stato il conflitto siriano. Dal 2011, più di 500.000 persone hanno perso la vita a causa della guerra civile in Siria, e l'ONU si è dimostrata incapace di attuare una risposta efficace. Tra il 2011 e il 2020, Russia e Cina hanno esercitato il loro veto almeno 16 volte per bloccare risoluzioni che miravano a sanzionare il governo siriano per l'uso di armi chimiche o per garantire accessi umanitari sicuri. Questo ha reso impossibile un intervento internazionale coordinato per fermare le atrocità commesse nel paese.
Anche la guerra in Ucraina ha mostrato i limiti dell'ONU. Nel febbraio 2022, quando la Russia ha invaso il paese, il Consiglio di Sicurezza si è trovato nuovamente paralizzato dal veto di Mosca, impedendo una condanna ufficiale dell'aggressione. L'Assemblea Generale ha poi adottato una risoluzione con 141 voti favorevoli, condannando l'invasione e chiedendo il ritiro immediato delle truppe russe, ma senza alcun potere esecutivo. Questo episodio ha dimostrato ancora una volta che il Consiglio di Sicurezza non è in grado di svolgere il suo compito principale: mantenere la pace e la sicurezza internazionale.
Un altro esempio di inefficacia dell'ONU riguarda il conflitto israelo-palestinese. Il Consiglio di Sicurezza ha adottato più di 50 risoluzioni dal 1948 sulla questione, ma nessuna ha portato a una soluzione duratura. Gli Stati Uniti hanno sistematicamente posto il veto su qualsiasi risoluzione che potesse nuocere agli interessi di Israele, impedendo progressi concreti nel processo di pace. Secondo un rapporto dell'International Crisis Group, l'assenza di un meccanismo di risoluzione efficace all'interno dell'ONU ha contribuito a perpetuare l'instabilità nella regione.
Anche il conflitto in Sudan, scoppiato nel 2023 tra le forze armate sudanesi e il gruppo paramilitare Rapid Support Forces, ha evidenziato i limiti dell'ONU. Nonostante i ripetuti appelli del Segretario Generale António Guterres per un cessate il fuoco e per aiuti umanitari, il Consiglio di Sicurezza non è riuscito a imporre alcuna misura vincolante per risolvere la crisi. Nel frattempo, oltre 5 milioni di persone sono state sfollate e la situazione umanitaria continua a deteriorarsi.
Il problema principale risiede nel diritto di veto, che consente a uno dei cinque membri permanenti di bloccare qualsiasi risoluzione anche se sostenuta dalla maggioranza degli Stati membri. Questo meccanismo, ideato per garantire stabilità nel dopoguerra, è oggi fonte di paralisi politica. Alcuni esperti, come il professore Richard Gowan del Council on Foreign Relations, sostengono che una possibile riforma potrebbe essere la limitazione dell'uso del veto nei casi di crimini contro l'umanità e genocidi, come proposto dall'iniziativa francese Code of Conduct del 2015, che ha raccolto il sostegno di più di 120 Stati.
Un'altra proposta è quella di rafforzare il ruolo dell'Assemblea Generale dell'ONU, l'unico organo in cui tutti gli Stati membri hanno uguale diritto di voto. Attualmente, le risoluzioni adottate dall'Assemblea non hanno carattere vincolante, ma molti esperti suggeriscono di concederle poteri più ampi per aggirare le impasse del Consiglio di Sicurezza. Nel 2022, la risoluzione Uniting for Peace è stata attivata per superare il veto russo sulla guerra in Ucraina, dimostrando che esistono strumenti per limitare l'influenza delle grandi potenze, sebbene ancora poco utilizzati.
Infine, l'incapacità dell'ONU di intervenire rapidamente in situazioni di emergenza ha portato alla proliferazione di iniziative parallele. Organizzazioni come la NATO, l'Unione Africana e il G20 stanno assumendo ruoli sempre più rilevanti nel gestire crisi internazionali, riducendo progressivamente l'importanza dell'ONU. Il rischio, secondo alcuni analisti, è che se l'organizzazione non verrà riformata, perderà gradualmente la sua centralità nella politica globale.
Questa crescente inefficacia dell'ONU nella gestione dei conflitti dimostra la necessità di una riforma profonda. Il diritto di veto è diventato un ostacolo alla sicurezza globale, e le alternative esistenti non riescono a colmare il vuoto lasciato dall'organizzazione. Se l'ONU vuole continuare a essere rilevante, deve adattarsi alle sfide del XXI secolo e dotarsi di strumenti più efficaci per prevenire e risolvere le crisi internazionali.

Nina Celli, 25 febbraio 2025

 
04

Rischio di paralisi politica e indebolimento dell'ONU

CONTRARIO

Uno degli argomenti principali contro una riforma drastica dell'ONU è il rischio di una maggiore paralisi decisionale. Attualmente, il Consiglio di Sicurezza già fatica a prendere decisioni rapide ed efficaci a causa dei veti incrociati tra le grandi potenze. Se il numero di membri permanenti venisse aumentato e nuovi paesi ottenessero il diritto di veto, il processo decisionale diventerebbe ancora più complesso e lento.
Un esempio concreto di questa problematica è il fallimento dell'ONU nel gestire la crisi siriana. Tra il 2011 e il 2020, più di 16 veti sono stati posti da Russia e Cina su risoluzioni riguardanti la guerra civile siriana, impedendo un'azione efficace. Se nuovi attori con interessi divergenti entrassero nel Consiglio con poteri simili, si moltiplicherebbero le occasioni di blocco, rendendo l'ONU ancora meno funzionale.
Un ulteriore problema sarebbe l'armonizzazione delle politiche internazionali. Se venissero introdotti nuovi membri permanenti, ciascuno con il proprio quadro strategico e alleanze regionali, il rischio di divergenze insanabili aumenterebbe. Questo scenario potrebbe trasformare l'ONU in un'arena di scontro geopolitico piuttosto che un organismo in grado di risolvere problemi globali.
Attualmente, il Consiglio di Sicurezza è composto da 15 membri, di cui 10 a rotazione con mandati biennali e 5 permanenti con diritto di veto. Un’espansione del numero di membri permanenti porterebbe a un aumento del numero di negoziati necessari per raggiungere un consenso, rallentando ulteriormente la capacità di risposta dell’ONU. Secondo uno studio della Brookings Institution, un Consiglio con più di 20 membri avrebbe enormi difficoltà a prendere decisioni rapide in situazioni di crisi.
Un altro aspetto critico riguarda le divergenze tra le nazioni emergenti. Se paesi come India, Brasile e Sudafrica ottenessero seggi permanenti, potrebbero svilupparsi nuove fratture all'interno del Consiglio. L’India e la Cina, ad esempio, hanno forti tensioni territoriali, mentre il Brasile potrebbe non allinearsi con le politiche degli Stati Uniti o dell’Unione Europea. Questa frammentazione potrebbe portare a un Consiglio di Sicurezza più diviso e incapace di agire con coesione.
Un ulteriore elemento di preoccupazione riguarda il rischio di politicizzazione delle decisioni. Un Consiglio di Sicurezza più ampio e con più membri con diritto di veto potrebbe tradursi in una maggiore influenza delle alleanze regionali e ideologiche. Ad esempio, paesi come l’Arabia Saudita o la Turchia potrebbero usare il loro potere per promuovere interessi regionali specifici a discapito di un'azione multilaterale equilibrata.
Infine, il ritmo della diplomazia internazionale non si adatta a processi decisionali ancora più lenti e macchinosi. Già oggi, alcune risoluzioni critiche impiegano mesi per essere discusse e approvate, come dimostrato dai negoziati sulle sanzioni alla Corea del Nord o sulle missioni di peacekeeping. Con un Consiglio più grande, questo ritardo potrebbe diventare insostenibile, minando ulteriormente la credibilità dell’ONU. Una riforma radicale del Consiglio di Sicurezza potrebbe generare più problemi di quanti ne risolva. Il rischio di paralisi politica, la difficoltà di trovare un consenso tra un numero maggiore di attori e l’aumento delle rivalità geopolitiche rendono questa proposta estremamente problematica. Piuttosto che ampliare drasticamente il Consiglio di Sicurezza, una riforma più prudente potrebbe consistere in misure per limitare l’uso del diritto di veto o in un rafforzamento del ruolo dell’Assemblea Generale come strumento di bilanciamento delle decisioni globali.

Nina Celli, 25 febbraio 2025

 
05

All’ONU mancano gli strumenti per affrontare le crisi globali moderne

FAVOREVOLE

Le sfide globali odierne vanno ben oltre i conflitti armati e le questioni geopolitiche tradizionali. Problemi come il cambiamento climatico, la regolamentazione dell'intelligenza artificiale, la cybersecurity e la gestione delle pandemie richiedono una governance internazionale efficace e flessibile. Tuttavia, l'ONU, con le sue attuali strutture burocratiche e i suoi limiti istituzionali, non è in grado di rispondere con tempestività e determinazione a queste minacce emergenti.
Un esempio emblematico è rappresentato dalla lotta contro il cambiamento climatico. L'Accordo di Parigi del 2015, promosso dall'ONU, ha stabilito obiettivi ambiziosi per la riduzione delle emissioni di gas serra, ma manca di un meccanismo vincolante che costringa gli Stati a rispettare i propri impegni. Paesi industrializzati come Stati Uniti, Cina e India, responsabili della maggior parte delle emissioni globali, possono ritirarsi dagli accordi o modificarli senza incorrere in sanzioni reali. Secondo un rapporto dell'Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC), senza un sistema di monitoraggio più stringente e strumenti per far rispettare gli impegni, l'obiettivo di contenere il riscaldamento globale sotto i 1,5°C rischia di diventare irrealizzabile entro il 2030.
Anche la pandemia di COVID-19 ha messo in luce le gravi lacune dell'ONU e delle sue agenzie specializzate, in particolare l'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS). Sebbene l'OMS abbia avuto un ruolo chiave nella raccolta di dati e nella definizione delle linee guida sanitarie internazionali, la mancanza di poteri esecutivi e la dipendenza dai finanziamenti volontari degli Stati membri hanno reso inefficace il coordinamento globale nella gestione della pandemia. Secondo un'analisi della Johns Hopkins University, l'assenza di una risposta unitaria e vincolante ha contribuito alla diffusione del virus e ha ritardato lo sviluppo e la distribuzione equa dei vaccini, con gravi conseguenze per i paesi in via di sviluppo.
Un altro ambito in cui l'ONU risulta carente è la regolamentazione delle nuove tecnologie. L'intelligenza artificiale e la cybersecurity sono ormai questioni cruciali per la stabilità internazionale, ma non esiste un quadro giuridico globale vincolante per affrontare minacce come l'uso illecito dell'IA o gli attacchi informatici tra Stati. Durante il Summit del Futuro 2024, il Segretario Generale dell'ONU, António Guterres, ha proposto la creazione di un Global Digital Compact, un accordo internazionale per stabilire principi comuni sulla governance del digitale. Tuttavia, senza strumenti per monitorare e far rispettare tali principi, l'iniziativa rischia di restare una mera dichiarazione di intenti.
Anche la gestione delle crisi economiche globali è un settore in cui l'ONU non dispone di strumenti adeguati. Le decisioni sulle politiche finanziarie e monetarie internazionali sono attualmente dominate dal Fondo Monetario Internazionale (FMI) e dalla Banca Mondiale, istituzioni che riflettono ancora l'egemonia economica delle potenze occidentali. Questo ha generato un crescente malcontento tra i paesi in via di sviluppo, che chiedono una maggiore rappresentanza nei processi decisionali globali. Secondo un report della Carnegie Endowment for International Peace, un'ONU riformata dovrebbe avere un ruolo più incisivo nel coordinamento della governance economica globale, includendo voci più diversificate e garantendo una distribuzione più equa delle risorse.
La crescente interdipendenza delle economie globali, unita alla fragilità del sistema finanziario internazionale, rende necessaria una maggiore cooperazione multilaterale per prevenire crisi future. Senza una riforma che rafforzi le capacità dell'ONU nel gestire queste problematiche, l'organizzazione rischia di perdere ulteriormente la sua rilevanza e di lasciare spazio ad accordi bilaterali o a blocchi regionali, riducendo l'efficacia della governance globale.
L'ONU è nata in un'epoca in cui le principali sfide internazionali erano i conflitti militari e le questioni di sicurezza. Oggi, il mondo è confrontato con nuove minacce, che richiedono una riforma profonda dell'organizzazione per dotarla di strumenti più moderni ed efficaci. Senza una revisione delle sue funzioni e delle sue capacità di intervento, l'ONU rischia di diventare irrilevante e di perdere la sua legittimità come principale organo di governance globale.

Nina Celli, 25 febbraio 2025

 
06

I costi economici e logistici di una riforma su larga scala sarebbero troppo alti

CONTRARIO

Una riforma radicale dell’ONU comporterebbe costi economici e logistici enormi, che potrebbero gravare sugli Stati membri e rendere il processo di cambiamento estremamente oneroso. Attualmente, il bilancio annuale dell’ONU è di circa 3 miliardi di dollari, finanziato attraverso contributi obbligatori e volontari. Stati come gli Stati Uniti (che coprono circa il 22% del bilancio ONU), la Cina (12%) e il Giappone (8%) sarebbero chiamati a sostenere ulteriori oneri economici per riformare l’intero apparato dell’organizzazione, un costo che potrebbe non essere accettabile in un contesto globale di crescente incertezza economica.
Secondo uno studio della Brookings Institution, un'eventuale espansione del Consiglio di Sicurezza per includere nuovi membri permanenti richiederebbe una riorganizzazione completa delle strutture amministrative dell'ONU, con un incremento del budget dell'organizzazione fino al 20-30%. Questo significherebbe un aumento delle spese operative, comprese le missioni di peacekeeping, il personale diplomatico e gli uffici regionali. Molti paesi sviluppati stanno già affrontando difficoltà economiche legate alla crisi post-pandemica e all'inflazione globale, rendendo difficile giustificare un simile investimento in una riforma istituzionale.
Un altro aspetto da considerare è la logistica. L'ONU opera attraverso numerose agenzie specializzate (OMS, UNICEF, UNHCR, FAO), ognuna con sedi distribuite in tutto il mondo. Una riforma strutturale implicherebbe la necessità di armonizzare nuovi membri all’interno di queste strutture, aumentando le complessità amministrative. Alcuni esperti ritengono che un'espansione della governance ONU potrebbe rendere più difficile il coordinamento tra le agenzie, riducendo l'efficienza complessiva dell'organizzazione.
Dal punto di vista politico, alcuni paesi membri potrebbero ritenere ingiusto dover contribuire finanziariamente a una riforma che avvantaggerebbe soprattutto le nazioni emergenti. I contributi ai bilanci delle Nazioni Unite sono calcolati in base al PIL e alla capacità economica di ciascun paese, il che significa che le economie più avanzate dovrebbero assumersi gran parte dei costi della riforma. Questo potrebbe alimentare tensioni diplomatiche e ridurre la volontà di cooperazione.
Un ulteriore elemento critico riguarda la gestione del personale. Attualmente, il Segretariato dell’ONU impiega oltre 37.000 persone, un numero che aumenterebbe considerevolmente con una riforma su larga scala. Nuove strutture amministrative richiederebbero processi di assunzione e formazione per migliaia di nuovi funzionari, il che comporterebbe ritardi e inefficienze nel breve termine. Inoltre, la necessità di garantire una rappresentanza equa tra i nuovi membri permanenti potrebbe creare squilibri all'interno dell'organizzazione, portando a conflitti interni e a una maggiore burocrazia.
C’è il rischio che una riforma radicale porti a un disimpegno da parte dei principali finanziatori dell’ONU. Gli Stati Uniti, ad esempio, hanno già ridotto i loro contributi a diverse agenzie ONU negli ultimi anni, e potrebbero considerare una riforma come un pretesto per tagliare ulteriormente i fondi. Se le potenze economiche dovessero ridurre il loro sostegno finanziario, l'ONU potrebbe trovarsi in una crisi di bilancio ancora più grave, compromettendo la sua capacità di operare efficacemente.
I costi economici e logistici di una riforma radicale dell'ONU, quindi, potrebbero superare i benefici potenziali. L’espansione della governance richiederebbe ingenti investimenti, un coordinamento amministrativo complesso e un consenso politico difficile da ottenere. Invece di un cambiamento drastico, alcuni esperti suggeriscono che l'ONU potrebbe concentrarsi su riforme più graduali, come il miglioramento dell'efficienza delle operazioni esistenti e il potenziamento delle agenzie specializzate per affrontare le sfide globali senza stravolgere l’intera struttura istituzionale.

Nina Celli, 25 febbraio 2025

 
07

È necessario un riequilibrio di potere tra Nord e Sud globale

FAVOREVOLE

Le nazioni del Sud del mondo, in particolare in Africa, America Latina e Asia, chiedono da decenni una maggiore influenza nelle decisioni globali. Attualmente, il sistema delle Nazioni Unite riflette un equilibrio di potere ancorato all'ordine post-bellico del 1945, ignorando la crescita economica e politica di molte nazioni emergenti. Questo divario mina la legittimità dell'ONU e genera insoddisfazione tra i paesi che si sentono esclusi dai processi decisionali internazionali.
Secondo un rapporto delle Nazioni Unite, più del 70% della popolazione mondiale vive in paesi che non hanno rappresentanza permanente nel Consiglio di Sicurezza, una disparità che crea frustrazione e sfiducia nei confronti dell'ONU. La crescita di potenze economiche come India, Brasile, Nigeria e Sudafrica ha rafforzato le richieste per una riforma che conceda loro maggiore voce in capitolo. L'India, ad esempio, rappresenta il secondo paese più popoloso al mondo con oltre 1,4 miliardi di abitanti ed è una delle economie a più rapida crescita, ma non ha ancora un seggio permanente nel Consiglio di Sicurezza.
Anche l'Africa, con 54 Stati membri nell'ONU, continua a essere l'unico continente senza rappresentanza permanente nel Consiglio. L'Ezulwini Consensus, un documento ufficiale dell'Unione Africana, chiede almeno due seggi permanenti per il continente africano e una maggiore equità nella distribuzione del potere decisionale. Tuttavia, le potenze attuali, tra cui gli Stati Uniti e la Cina, hanno mostrato riluttanza a modificare lo status quo, temendo di perdere il loro controllo sulle dinamiche internazionali.
Un altro fattore di squilibrio riguarda il controllo delle istituzioni economiche internazionali, come il Fondo Monetario Internazionale (FMI) e la Banca Mondiale. Attualmente, i paesi del G7 (Stati Uniti, Canada, Francia, Germania, Italia, Giappone e Regno Unito) detengono una quota sproporzionata di influenza nelle decisioni economiche globali. Un recente studio pubblicato dalla Carnegie Endowment for International Peace evidenzia come i paesi in via di sviluppo ricevano prestiti con condizioni svantaggiose e abbiano scarso potere nelle riforme finanziarie globali. Una riforma dell'ONU potrebbe includere una revisione di questi meccanismi, garantendo una maggiore equità nella governance economica mondiale.
Un altro elemento cruciale è il ruolo delle alleanze regionali. L'Unione Africana (UA), l'ASEAN e la Comunità degli Stati Latinoamericani e Caraibici (CELAC) stanno acquisendo un'importanza crescente nella gestione delle relazioni internazionali. Tuttavia, l'ONU non ha ancora sviluppato un quadro istituzionale efficace per integrare queste organizzazioni nel processo decisionale globale. Secondo alcuni analisti, una soluzione potrebbe essere la creazione di un Consiglio delle Nazioni Emergenti, che permetta alle nuove potenze economiche di avere un peso maggiore senza stravolgere l'intero sistema delle Nazioni Unite.
La mancata rappresentanza delle nazioni emergenti nell'ONU ha portato anche alla nascita di alternative multilaterali. Organizzazioni come i BRICS (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica) e il G20 stanno assumendo ruoli sempre più rilevanti nella politica internazionale, sfidando l'egemonia dell'ONU. Se l'organizzazione non riuscirà a riformarsi per adattarsi alle nuove realtà geopolitiche, rischia di essere progressivamente marginalizzata e sostituita da forum multilaterali più flessibili ed efficaci.
Inoltre, la crescente disuguaglianza tra Nord e Sud globale si riflette anche nella gestione delle crisi umanitarie. Secondo l'ONU, oltre 70% degli aiuti umanitari sono gestiti dai paesi sviluppati, mentre le nazioni che ne hanno maggiormente bisogno spesso non hanno un peso significativo nelle decisioni sulle modalità di distribuzione. Il presidente di Barbados, Mia Amor Mottley, ha recentemente chiesto una riforma delle istituzioni finanziarie e umanitarie per garantire una maggiore equità nella gestione degli aiuti e dei finanziamenti ai paesi in via di sviluppo.
Un riequilibrio del potere tra Nord e Sud globale non solo migliorerebbe la legittimità dell'ONU, ma potrebbe anche ridurre le tensioni geopolitiche e favorire una cooperazione internazionale più efficace. Un Consiglio di Sicurezza più inclusivo e un maggiore ruolo delle economie emergenti nelle istituzioni globali potrebbero rafforzare il multilateralismo e prevenire conflitti derivanti da ingiustizie economiche e politiche.
La necessità di una riforma dell'ONU per riequilibrare il potere globale è sempre più evidente. L'attuale struttura non rappresenta più la realtà geopolitica del XXI secolo e rischia di compromettere la credibilità dell'organizzazione. Un cambiamento significativo non solo migliorerebbe l'efficacia dell'ONU, ma garantirebbe anche una maggiore stabilità e cooperazione internazionale in un mondo sempre più interconnesso.

Nina Celli, 25 febbraio 2025

 
08

L'ONU ha ancora un ruolo insostituibile nel coordinamento globale

CONTRARIO

Nonostante le sue imperfezioni, le Nazioni Unite rappresentano ancora il principale forum internazionale per la diplomazia e il coordinamento globale. L'ONU svolge un ruolo centrale nella gestione di crisi umanitarie, nelle missioni di peacekeeping e nella promozione degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (SDG). Secondo un rapporto della UNDP (United Nations Development Programme), nel solo 2023 l'ONU ha fornito assistenza umanitaria a più di 230 milioni di persone in oltre 90 paesi, coordinando risposte alle emergenze causate da conflitti, disastri naturali e crisi economiche.
Le missioni di peacekeeping, nonostante le critiche, continuano a rappresentare un meccanismo essenziale per il mantenimento della stabilità in aree di conflitto. Attualmente, sono in corso 12 operazioni di peacekeeping ONU in Africa, Medio Oriente, Europa e Asia, con oltre 87.000 caschi blu dispiegati. Secondo il Dipartimento per le Operazioni di Peacekeeping delle Nazioni Unite (DPKO), queste missioni hanno contribuito a ridurre la violenza in paesi come la Liberia, il Libano e la Repubblica Democratica del Congo, garantendo la protezione delle popolazioni civili e facilitando il processo di transizione politica.
Un altro aspetto fondamentale è il ruolo dell'ONU nel promuovere trattati internazionali e accordi multilaterali. L'Accordo di Parigi sul clima, adottato nel 2015 sotto l'egida dell'ONU, rappresenta un esempio concreto dell'efficacia della cooperazione internazionale nel rispondere a sfide globali. L'ONU ha inoltre facilitato l'adozione del Trattato sulla Proibizione delle Armi Nucleari (TPNW) e del Trattato sul Commercio delle Armi (ATT), dimostrando la sua capacità di mediare e promuovere normative globali condivise.
Il rischio di una riforma radicale dell'ONU è che possa indebolire proprio queste funzioni chiave. Se le modifiche strutturali fossero gestite male o se il processo di negoziazione si prolungasse per anni, esiste la possibilità che l'ONU perda parte della sua legittimità e autorevolezza. Alcuni esperti temono che un processo di riforma divisivo possa portare alla frammentazione della cooperazione internazionale, con la proliferazione di blocchi regionali e organizzazioni alternative, come il G20, l'ASEAN o i BRICS, che potrebbero cercare di sostituire il ruolo dell'ONU in alcuni ambiti.
Bisogna quindi considerare che una riforma radicale dell'ONU potrebbe avere un impatto negativo sulla sua capacità di mediazione nei conflitti internazionali. Attualmente, il Segretario Generale delle Nazioni Unite agisce come mediatore in diverse crisi globali, offrendo una piattaforma neutrale per negoziati diplomatici. Con un'ONU riorganizzata e frammentata, il rischio sarebbe la perdita di questo ruolo di equilibrio, lasciando spazio a politiche unilaterali da parte delle grandi potenze.
Sebbene vi siano critiche legittime al funzionamento dell'ONU, una riforma radicale potrebbe compromettere le sue capacità operative e la sua funzione di coordinamento globale. Piuttosto che un cambiamento drastico, una strategia più efficace potrebbe essere quella di rafforzare gradualmente i meccanismi esistenti, migliorando l’efficienza delle agenzie specializzate e rafforzando il ruolo dell’Assemblea Generale come strumento di bilanciamento delle decisioni globali. L'ONU, pur con i suoi limiti, rimane una struttura insostituibile per la governance internazionale, e qualsiasi riforma deve garantire che il suo ruolo centrale non venga eroso da un processo di trasformazione troppo radicale e potenzialmente destabilizzante.

Nina Celli, 25 febbraio 2025

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