Riforma costituzionale
Alfredo D'Attorre
L’on. Alfredo D’Attorre, deputato di Sinistra Italiana, in un’intervista rilasciata alla Redazione Pro\Versi, mette in luce le principali criticità della nuova Riforma costituzionale, oggetto del referendum previsto per l’autunno prossimo.
Non sono certo i principi di fondo che hanno condotto alla revisione della seconda parte della Costituzione a suscitare l’opposizione dell’on. D’Attore, sui quali è sostanzialmente d’accordo: dalla necessità di una riforma del bicameralismo a quella di riformare il “cattivo intervento sulla Costituzione che c’è stato nel 2001”. Sono, invece, le modalità di elaborazione di tale riforma: “fatta in maniera frettolosa, arrogante e scritta anche molto male”, e le conseguenze indirette, che evidenziano interventi poco meditati, soprattutto in relazione alla nuova legge elettorale.
In riferimento alla questione se sia accettabile o no un Senato non eletto direttamente dai cittadini, l’on. D’Attore afferma: “Io penso che la non elezione diretta del Senato sia inaccettabile nel quadro complessivo che delineano la riforma costituzionale Renzi-Boschi e la nuova legge elettorale. Le due cose sono strettamente collegate […] Questa nuova riforma elettorale, nel momento in cui si congiunge a un nuovo Senato, molto pasticciato, peraltro, nella sua composizione e nelle sue funzioni, che non sarà eletto direttamente dai cittadini, crea un problema democratico serio”. “Sarebbe stato preferibile davvero andare verso un sistema monocamerale, anziché mantenere in vita un Senato […] che servirà semplicemente a un po’ di consiglieri regionali e sindaci, scelti non dai cittadini ma dai partiti, di godere dell’immunità parlamentare”.
Alla domanda se questa riforma riconduca il Senato al ruolo di rappresentanza degli enti locali e delle Regioni, l’on. D’Attorre afferma: “sarei stato favorevole a una vera riforma del bicameralismo che creasse un’autentica Camera delle Autonomie, in cui gli Enti locali principali, le Regioni, le città metropolitane, fossero direttamente rappresentate, sul modello […] del Bundesrat tedesco”, ma le proposte di modifica in questo senso sono state respinte dalla stessa ministra Boschi, poiché “l’accordo del Nazareno, l’accordo con Berlusconi […]prevedeva una diversa modalità di elezione dei senatori”. Ora ci troviamo di fronte a un “ibrido di nuovo Senato”, che “alla fine non è stata neppure votata da Forza Italia”, e che non aiuta ad avere una vera rappresentanza delle autonomie territoriali.
Alla tesi secondo la quale il fatto che il Senato non possa revocare la fiducia al governo rafforzi pericolosamente il potere dell’esecutivo, l’on. D’Attorre risponde: “non sono affatto contrario a un sistema in cui sia soltanto la Camera dei deputati a dare la fiducia a un governo: il confronto, qui, non e tra sostenitori e avversari del bicameralismo”, il problema sta nella natura del nuovo Senato e della nuova legge elettorale, con il suo “abnorme” premio di maggioranza: “con l’Italicum il rischio è che un solo partito che magari al primo turno ottiene meno del 20% dei voti, al ballottaggio […] potrebbe tranquillamente vincere le elezioni, e quel suo 18/20% di voti si trasforma in un 54% di seggi alla Camera”. “Quindi, un partito che non ha neppure un quinto della rappresentanza degli elettori che votano […] avrebbe da solo la maggioranza assoluta alla Camera e il controllo totale sul governo, con la possibilità di potersi eleggere quasi da solo anche gli organi di garanzia. È un sistema che garantisce una vera rappresentanza democratica? Io credo di no”.
In riferimento all’art. V della Costituzione, alla domanda se sia giusto ricondurre in capo allo Stato una serie di competenze al fine di arginare la cattiva gestione di alcune amministrazioni locali, il deputato di Sinistra Italiana afferma: “l’obiettivo di questa parte della riforma, quella sul Titolo V, era gusto e condivisibile, ma il modo in cui è stato portato avanti tradisce un tratto di fondo di tutta la riforma Renzi-Boschi, fatta in maniera frettolosa, arrogante e scritta anche molto male”. “Il modo in cui questa riforma è stata scritta, non solo contiene in sé il rischio di un eccesso di centralismo, opposto speculare rispetto all’errore fatto nel 2001, ma […] rischia di riaprire di fronte alla Corte Costituzionale un conflitto di attribuzione tra Stato e Regioni che, nel corso di questi 15 anni […] la Corte Costituzionale, attraverso una serie di sentenze, era riuscita a dirimere”.