Chiusura dell’Ilva
FAVOREVOLE O CONTRARIO?
L’Ilva è un’azienda italiana siderurgica, nata nel 1905 a Genova, con diverse unità produttive. Nel 1949 viene costituito lo stabilimento di Taranto, inaugurato nel 1965, anno nel quale entra in esercizio l’industria di Stato Italsider.
Dal 1989 l’Ilva viene acquistata dall’imprenditore Emilio Riva. Tra il 2002 e il 2005 l’azienda è coinvolta nell’avvio di indagini giudiziarie riguardanti l’impatto sulla salute e l’ambiente delle emissioni fuori norma degli impianti siti a Genova, che vengono di conseguenza chiusi. Tali indagini coinvolgono nel 2009 anche lo stabilimento di Taranto, che viene parimenti commissariato. La vicenda interseca gli accertamenti giudiziari, che riscontrano la sussistenza di illeciti ambientali da parte dei proprietari dell’Ilva e il loro impatto sulla sopravvivenza di un’azienda italiana leader a livello nazionale ed europeo nel settore, nonché la connessa questione dei diritti dei dipendenti a mantenere il proprio lavoro. Nel dibattito sulla questione della chiusura dell’Ilva si inserisce il ruolo del governo italiano, che è intervenuto nel tempo con diversi provvedimenti denominati “Salva Ilva” e da ultimo ha approvato il decreto n. 1 del 2015 con il quale la nazionalizza, con l’obiettivo dichiarato di garantirne la sopravvivenza. Contraria a tale soluzione è la Commissione europea, che il 26 settembre 2013 ha avviato una procedura di infrazione contro l’Italia a causa dell’Ilva, avendo accertato il mancato rispetto delle direttive europee di settore.
MEDIATECA
IL DIBATTITO IN 2 MINUTI:
Nel 2009 lo stabilimento Ilva di Taranto viene commissariato a seguito di indagini giudiziarie riguardanti l’impatto sulla salute e sull’ambiente delle emissioni fuori norma degli impianti. Il dibattito si articola considerando sia gli illeciti ambientali e i relativi pericoli, sia la ricaduta economica e occupazionale della chiusura di un'azienda italiana leader nel settore.
La Commissione europea ha avviato, nel 2013, una procedura di infrazione contro l’Italia per l’Ilva di Taranto, poiché lo Stato italiano non garantirebbe il rispetto delle prescrizioni. L’Associazione ambientalistica PeaceLink condivide l’orientamento europeo circa la necessaria chiusura delle stabilimento di Taranto, che rappresenta una minaccia per l’ambiente e la salute dei cittadini.
In Europa questioni come quelle dell’Ilva sono state risolte, mantenendo le acciaierie vicine alle città. Nessuno Stato vuole chiudere stabilimenti efficienti e produttivi. La salvezza del comparto siderurgico italiano deve essere una priorità anche a livello europeo. Il problema dell’Ilva può essere risolto con investimenti adeguati che possano garantire una produzione senza impatto ambientale.
Molti ritengono che sia inammissibile che un’industria italiana così importante debba essere chiusa senza alternative per un problema di compatibilità ambientale. Da parte politica ciò si è tradotto in un accordo firmato, che mira a individuare soluzioni che tutelino insieme occupazione e sostenibilità produttiva.
La chiusura dell’Ilva apre un contrasto tra produzione, diritto al lavoro e tutela ambientale. L’ambiente è prioritario rispetto allo sviluppo economico, non solo per la sua importanza, ma anche perché l'iniziativa economica privata non può contrastare con l'utilità sociale, la sicurezza, la dignità umana. Bisogna adottare misure che eliminino ogni tipo di rischio per l’ambiente e la salute.
La chiusura dell'Ilva ha un impatto non solo a livello locale, ma anche nazionale. La sua trasformazione in società pubblica è strategica. Quella creatasi a Taranto è un’emergenza sociale, visti i numeri dei lavoratori, e l’intervento pubblico è l’unico in grado di salvaguardare i diritti dei lavoratori coinvolti e la residua capacità produttiva dell’azienda.
I contrari alla nazionalizzazione dell’Ilva la vedono un esproprio senza indennizzo, che avrebbe un impatto negativo sui crediti vantati nei confronti dell’Ilva, la cui solvibilità sarebbe messa a rischio. Sarebbe stata preferibile la soluzione privata. Per le associazioni ambientaliste la nazionalizzazione rischia di lasciare irrisolto il tema delle responsabilità per i reati ambientali.
La scelta del governo giallo-verde di non chiudere l’acciaieria Ilva è dettata dalla volontà di tutelare migliaia di posti di lavoro
Dopo le decisioni del governo sull’Ilva, a Taranto è iniziato l’esodo dei consiglieri comunali del Movimento 5 Stelle. Alcuni si sono dimessi, altri hanno abbandonato il gruppo pentastellato passando a quello Misto. Come Massimo Battista, operaio del siderurgico con passato da attivista nel comitato “Cittadini e lavoratori liberi e pensanti”. Francesco Nevoli, invece, è stato l’ultimo consigliere a lasciare il movimento, tirandosi fuori dalla politica comunale. Anche Alessandro Marescotti, tarantino fondatore di Peacelink, una delle associazioni più impegnate contro l’inquinamento delle acciaierie Ilva, ha duramente criticato il Movimento 5 Stelle per le promesse non mantenute.
Tra i primi a esultare per la chiusura dell’accordo con Arcelor Mittal è stato l’ex ministro dello Sviluppo Economico e padre della gara per l’accordo, Carlo Calenda. Anche l’ex premier Matteo Renzi si è dichiarato soddisfatto dell’operazione, ma non ha perso l’occasione per attaccare politicamente il Movimento 5 Stelle che ha tradito le promesse di riconversione fatte in campagna elettorale. A festeggiare anche l’alleato di governo del M5S, Matteo Salvini, convinto della necessità di tutelare il lavoro degli operai su ogni altra cosa. Il premier Giuseppe Conte e il ministro del Lavoro Luigi Di Maio hanno invece spiegato le difficoltà incontrate per l’annullamento della gara.
La chiusura dell’Ilva rappresenta l’unica misura risolutiva per rispettare la normativa europea in materia ambientale
In relazione alla vicenda Ilva, la Commissione europea ha avviato, il 26 settembre 2013, una procedura di infrazione contro l’Italia per l’Ilva di Taranto, avendo accertato che lo Stato italiano non garantisce il rispetto delle prescrizioni. La procedura è proseguita con due successive interlocuzioni tra la Commissione e lo Stato, il 16 aprile e il 16 ottobre 2014, con scambio di lettere e osservazioni, dalle quali è emersa la preferenza dell’Esecutivo europeo per una soluzione di chiusura dello stabilimento che, nonostante le misure nel frattempo adottate per il suo adeguamento alle direttive in materia di emissioni, continua a non rispettare gli standard richiesti. L’Associazione ambientalistica PeaceLink, in particolare, condivide l’orientamento europeo in merito alla necessaria chiusura delle stabilimento siderurgico Ilva di Taranto, il cui protratto funzionamento rappresenta una minaccia per l’ambiente e la salute dei cittadini, in totale contrasto con le normative europee.
In Europa e in particolare in Austria e Germania, paesi che hanno un’alta sensibilità ambientale, questioni simili a quelle dell’Ilva sono state affrontate e risolte, mantenendo le acciaierie vicine alle città. Soprattutto in Europa nessuno Stato membro ha intenzione di chiudere stabilimenti che, come quello dell’Ilva di Taranto, sono efficienti e hanno un elevato livelli di produttività, pur in considerazione dei vincoli contenuti nelle direttive europee e delle possibili procedure di infrazione.
La salvezza del comparto siderurgico italiano deve essere una priorità anche a livello europeo e in tal senso la questione della sopravvivenza dell’Ilva di Taranto è una partita di rilievo nazionale ed europeo. Se l’Italia vuole restare il secondo paese manifatturiero della Ue non potrà mai consentire che il sito dell’Ilva venga dismesso. Questo anche perché il problema dell’Ilva, che non è solo economico, ma anche di tutela della salute e dell’ambiente, può essere risolto mettendo a disposizione quegli investimenti adeguati che nella gestione Ilva dei Riva sono mancate e che possono garantire una produzione senza esternalità ambientali negative.
Non è sostenibile l’esclusiva prevalenza della tutela ambientale per giustificare la chiusura dell’Ilva
La chiusura dell’Ilva di Taranto apre un contrasto tra le esigenze della produzione, compresa quella specifica del diritto al lavoro, e la tutela dell’ambiente, intesa anche come salute degli uomini. Esiste in ogni caso una priorità fondamentale che è quella della tutela dell’ambiente, alla quale va subordinato lo sviluppo economico. Questo non soltanto perché l’ambiente è un bene di natura tale da non ammettere compressioni e contemperamenti di alcun genere, ma altresì per la stessa previsione – contenuta nell'art. 41 della Costituzione – che l'iniziativa economica privata non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. Per questo motivo bisogna creare le condizioni per una produzione che assicuri l'occupazione, ma anche che sia ecosostenibile. Questo significa adottare delle misure specifiche che eliminino totalmente qualsiasi tipo di rischio per l’ambiente e la salute umana. Questa direzione peraltro è coerente con le conclusioni delle perizie giudiziali e della conseguente ordinanza del Gip di Taranto del 26 luglio 2012 sul caso Ilva, che ne hanno disposto il sequestro.
Totalmente contraria ad una prevalenza tout court della tutela dell’ambiente è la posizione dei sindacati, i quali sostengono che il diritto al lavoro non può essere inciso da provvedimenti giudiziali, tenuto in considerazione l’esistenza di una profonda crisi economica della zona e del Paese. Anche da parte politica questa preoccupazione si è tradotta in un accordo firmato dai ministeri dell'Ambiente, dello Sviluppo economico, della Coesione Territoriale e dalla Presidenza del Consiglio con la Regione Puglia e le istituzioni locali il 26 luglio 2012, che ha come obiettivo quello di individuare soluzioni che tutelino insieme occupazione e sostenibilità produttiva. In generale, si ritiene inammissibile che un insediamento così importante per l’industria italiana, per l’economia della Puglia debba essere chiuso senza alternative di sopravvivenza secondo condizioni di compatibilità ambientali. Per questo motivo a livello politico si ritiene essenziale adottare ogni necessario intervento per garantire la produttività dell’Ilva e i posti di lavoro ai suoi dipendenti. Ciò significa anche, indirettamente, tutelare la produzione d’acciaio della Nazione, non solo di Taranto.
La soluzione dell’intervento pubblico per salvare dalla chiusura rappresenta una soluzione strategica vista l'importanza della produzione siderurgica
La chiusura dell'Ilva ha un impatto non solo a livello locale, ma anche a livello nazionale, motivo per il quale viene considerata soluzione strategica proprio quella dell’intervento dello Stato attraverso la sua trasformazione in società pubblica. Quella creatasi a Taranto è una questione nazionale molto rilevante che ha coinvolto un’azienda che mantiene una certa importanza nell’ambito della produzione siderurgica italiana e europea e nel contempo una emergenza sociale, considerati i numeri dei lavoratori coinvolti nell’attività dell’acciaieria. Per questo motivo si ritiene che l’intervento pubblico sia l’unico in grado di salvaguardare i diritti dei lavoratori coinvolti e la residua capacità produttiva dell’azienda. In tal senso la posizione dei deputati SEL, Duranti e Ferrara (Ilva, Sel: basta annunci. Si alla nazionalizzazione e ambientalizzazione dell’azienda, “sinistraecologiaelibertà.it”, 18 dicembre 2014), secondo i quali lo Stato è "l’unico soggetto che può garantire che l’Ilva di Taranto non chiuda”. In linea con questa idea il Governo che, con il d.l. n. 1 del 2015, ha previsto la costituzione di una società pubblica per la gestione dell’Ilva.
Contrari alla nazionalizzazione dell’Ilva, considerata come un vero e proprio esproprio senza indennizzo, sono in primo luogo le associazioni imprenditoriali di settore (come Confindustria e Federacciai). Questo processo, inoltre, potrebbe produrre un impatto negativo notevole sui crediti vantati nei confronti dell’Ilva, la cui solvibilità è messa a rischio. Secondo i contrari sarebbe comunque stato preferibile lasciare aperta l’opzione alternativa della soluzione privata, anche considerando che la gestione pubblica, rappresentata dal disposto commissariamento, ha inciso negativamente sulla crisi aziendale. Per le associazioni ambientaliste invece la soluzione della nazionalizzazione rischia di lasciare irrisolto il tema dell’effettiva imputazione (e relative conseguenze) di responsabilità sui reati ambientali. Critiche sono state avanzate anche dall’opposizione. M5S, che contesta la scarsa trasparenza dell’operazione dietro la quale si celerebbe una svendita in favore di ambienti vicini al Governo. Anche la Lega Nord ritiene che il percorso della nazionalizzazione dell’Ilva sia una soluzione pericolosa per l'attività economica privata.