Referendum abrogativo sulla giustizia
FAVOREVOLE O CONTRARIO?
Un referendum abrogativo interroga i cittadini sull’opportunità di abrogare (cioè sopprimere, cancellare) leggi già in vigore. Votando “sì” a un referendum abrogativo, affermiamo di essere favorevoli all'abrogazione, mentre votare “no” equivale a sostenere che si è soddisfatti dello status quo.
IL DIBATTITO IN 2 MINUTI:
La raccolta firme per la candidatura al CSM fomenta una logica di favoritismo e intacca la neutralità della magistratura.
Il quesito è fazioso: la raccolta firme ha la funzione di evitare candidature completamente individuali al CSM e non rappresenta affatto la panacea delle degenerazioni correntiste della magistratura.
L'esclusione di avvocati e docenti universitari dalla funzione di valutazione della professionalità dei magistrati è contrario allo spirito di controllo del potere giudiziario sancito dalla Costituzione.
Includere gli avvocati nell’attività di valutazione sarebbe problematico: l’interazione quotidiana tra magistrati e avvocati potrebbe deviare il giudizio di questi ultimi.
Separare le funzioni della magistratura, p.m. e giudice, garantirebbe un processo più equo rispettando il principio di terzietà del giudice: avvocato della difesa e p.m. dovrebbero essere due parti realmente pari.
Non è necessario impedire a p.m. e giudice di poter cambiare percorso durante la loro carriera, le due funzioni sono contigue perché entrambe interessate a garantire la verità processuale.
In Italia si ricorre troppo spesso alla custodia cautelare per possibile reiterazione di reato: ciò è contrario al principio di presunzione di innocenza enunciato in Costituzione e costituisce una voce di spesa non irrilevante per il bilancio dello stato. La custodia cautelare per possibile reiterazione di reato andrebbe mantenuta solo per i reati più gravi.
La custodia cautelare assicura la sicurezza dei cittadini nell’attesa che i sospettati vengano processati. Questa tutela va garantita anche per reati meno gravi ma frequenti quali furto in abitazione, furto con scippo, rapina, estorsione, spaccio di stupefacenti e favoreggiamento dell’immigrazione clandestina.
La legge Severino disturba la vita politica del paese, scavalcando il volere popolare, creando vuoti di potere temporanei e danneggiando la credibilità degli amministratori locali.
La legge Severino è in linea con i principi di legalità e proporzionalità sanciti dalla Costituzione e con la giurisprudenza dettata dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. Anche concedendo che sia necessario modificare alcuni aspetti, la discussione parlamentare è uno strumento più consono rispetto al referendum abrogativo.
Sì allo stop al minimo di firme per la candidatura al CSM
Il Consiglio Superiore della Magistratura è un organo di autogoverno della magistratura, presieduto dal Presidente della Repubblica. La magistratura è l’insieme degli organi istituzionali del potere giudiziario. Nel CSM siedono 24 magistrati in totale: 16 eletti dagli altri magistrati, 8 eletti dal Parlamento in seduta comune.
La legge che si vuole abrogare è la L. 24 marzo 1958, n. 195, che richiede ai magistrati che vogliono candidarsi al CSM la presentazione di almeno 25 e al massimo 50 firme tra i loro pari.
Secondo i promotori del referendum, questa prassi comporta un rafforzamento delle “correnti” interne, che avrebbero carattere politico, e minerebbe quindi la neutralità della magistratura. Questi raggruppamenti sono pericolosi perché rischiano di promuovere una logica di favoritismo e di dipendenza nei confronti dei membri del gruppo. (Riforma del CSM, Referendum Giustizia Giusta, Comitato promotore, consultato il 30 maggio 2022).
Angela Zanoni, 4 giugno 2022
No allo stop al minimo di firme per la candidatura al CSM
Secondo Gaetano Azzariti, il quesito è irrilevante. Infatti, l’obbligo di raccolta firme ha la funzione di evitare candidature completamente individuali al CSM e non rappresenta affatto la panacea delle degenerazioni correntiste della magistratura (Referendum giustizia del 12 giugno: la posta in gioco, “micromega.net”, 18 maggio 2022).
Nello Rossi, direttore di “Questione Giustizia”, conviene nel dichiarare il quesito irrilevante, ma vi imputa anche una componente ingannevole. Immaginare che un gruppo di supporto di massimo 50 magistrati sia all’origine di un qualche correntismo significa, secondo Rossi, “non capire nulla di elezioni (non solo di quelle dei membri togati del CSM ma di qualunque elezione, che è fenomeno di per sé eminentemente collettivo), né di candidature e meccanismi elettorali” (Nello Rossi, Referendum sulla giustizia. E' possibile parlarne nel “merito”? , ”questionegiustizia.it”, 9 giugno 2021).
Angela Zanoni, 4 giugno 2022
Sì all’abrogazione del decreto che preclude la valutazione dell’operato dei magistrati agli avvocati
Il decreto legislativo del 27 gennaio 2006, n. 25 che il quesito propone di abrogare, prescrive che solo i membri magistrati dei consigli giudiziari siano autorizzati a esprimere valutazioni sulla professionalità e sull’operato dei magistrati del distretto. Il quesito referendario punta ad eliminare questa riforma per ritornare allo stato precedente, in cui anche i membri laici avevano la facoltà di dare una valutazione.
I consigli giudiziari sono organi giudiziari territoriali, determinati sulla base dei distretti di Corte d’Appello, composti da magistrati e membri laici, ovvero avvocati e docenti universitari.
La Costituzione prevedeva originariamente che nei Consigli sedessero sia magistrati che membri non togati (ovvero avvocati e professori universitari), e che entrambi venissero investiti di eguali poteri. Secondo il comitato promotore del referendum, il fatto che i membri laici, che occupano un terzo dei Consigli giudiziari, siano privati della facoltà di svolgere anche la funzione di valutazione della professionalità dei magistrati è contrario allo spirito di controllo del potere giudiziario previsto dalla Costituzione (Equa valutazione dei magistrati, Referendum Giustizia Giusta, Comitato promotore, consultato il 30 maggio 2022).
Angela Zanoni, 4 giugno 2022
No all’abrogazione del decreto che preclude la valutazione dell’operato dei magistrati agli avvocati
Il comitato per il no ai referendum sulla giustizia ha affermato in una nota, riportata dall’“ANSA”, che il quesito è tutt’altro che cruciale nell’ottica di un miglioramento strutturale del sistema giudiziario. Anzi, si tratterebbe piuttosto di un proclama politico che non fa che instillare diffidenza presso i cittadini rispetto all’operato della magistratura (Referendum: nasce il comitato NO a quelli su giustizia, “ansa.it”, 17 maggio 2022).
Secondo Nello Rossi, direttore della rivista “Questione Giustizia”, l’abrogazione del d.lgs 25/2006 non è desiderabile. Infatti, la valutazione rischierebbe di essere viziata dal fatto che gli avvocati, in particolare, a motivo del loro coinvolgimento quotidiano con i magistrati, potrebbero essere sottoposti a “ostilità preconcette e indebite compiacenze”, dunque il loro giudizio non sarebbe obiettivo. Anziché perseguire questa strada, quindi, sarebbe più opportuno restare sulla via indicata dal disegno di legge delega di riforma del Ministro Bonafede (AC n. 2681, presentato il 20 settembre 2020), che suggeriva, invece, di accordare ai membri non togati dei consigli giudiziari di “partecipare alle discussioni e di assistere alle deliberazioni delle pratiche relative alla progressione in carriera trattate dal consiglio giudiziario”. In questo caso, i membri laici avrebbero più che altro la funzione di “parlare dalla tribuna”, ovvero di fornire un “fattivo contributo di conoscenza e di giudizio ai fini della redazione dei pareri”, lontani da possibili conflitti di interessi (Nello Rossi, Referendum sulla giustizia. E' possibile parlarne nel “merito”?, “questionegiustizia.it”, 9 giugno 2021).
Angela Zanoni, 4 giugno 2022
Sì all’abolizione delle “porte girevoli”
Il secondo quesito del referendum chiede di esprimersi in merito alla separazione delle funzioni di pubblico ministero e giudice. La magistratura costituisce il potere giudiziario dello Stato italiano e ha piena autonomia e indipendenza (art. 104 della Costituzione), in virtù del principio della separazione dei poteri. All’ordine giudiziario appartiene sia la funzione di magistrato requirente (p.m.) sia quella di magistrato giudicante. Il pubblico ministero (p.m.) esercita l’azione penale e si occupa delle indagini preliminari per trovare prove d’accusa verso chi commette azioni illegali. Il giudice, invece, ha il compito di giudicare imparzialmente applicando le norme giuridiche vigenti. La Costituzione dispone che il processo debba avvenire al cospetto di un giudice che sia terzo e imparziale (art. 111, 2o comma): non deve essere parte del processo e deve mantenersi equidistante dalle parti, difesa e accusa (Separazione delle carriere: è la volta buona?, “Ius in Itinere”, 16 maggio 2019). Allo stato attuale l’esame di magistratura permette, se superato, di scegliere se diventare giudice o pubblico ministero. Inoltre, è possibile, durante la propria carriera, passare da un ruolo all’altro un numero limitato di volte (precisamente non più di quattro e mai all’interno dello stesso distretto (Legge 30 luglio 2007, n. 111, “Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana”). Un primo punto problematico che evidenzia chi sostiene la necessità di separare nettamente le due funzioni è che un magistrato può decidere di svolgere sia il ruolo di giudice terzo e imparziale sia quello della parte accusatoria. La proposta è quella di impedire ai giudici di diventare p.m., e viceversa: chi giudica non dovrebbe accusare e chi accusa non dovrebbe giudicare.
Il principale argomento a favore dell’abrogazione delle “porte girevoli” è che l’articolo 111 della Costituzione italiana stabilisce il diritto a un giusto processo in cui accusa e difesa siano pari davanti a un giudice imparziale (Francesco Paolo Sisto, Bollettino delle Giunte e delle Commissioni Parlamentari, Affari costituzionali della Presidenza del Consiglio e Interni, 20 febbraio 2019). La vicinanza delle due professioni rischia di mettere in dubbio la reale equidistanza che il giudice dovrebbe avere rispetto ad accusa e difesa. Non distinguendo in maniera chiara tra funzioni giudicanti e requirenti si mette in dubbio la reale imparzialità del giudice, o quantomeno si rischia di non farla apparire credibile Separazione delle carriere: è la volta buona?, cit.). Alcuni sostengono che la contiguità di funzione possa portare i giudici a prestare maggiore attenzione all’accusa, preferendo di fatto il p.m. rispetto all’avvocato della difesa (Giulia Merlo, Separazione delle carriere dei magistrati? Lo scontro dura da 20 anni, “editorialedomani.it”, 21 maggio 2021). Secondo altri, invece, non è tanto in dubbio l’imparzialità del magistrato giudicante, ma piuttosto la terzietà del ruolo istituzionale del giudice. Sul sito che promuove il referendum si legge: “Con un sì chiediamo la separazione delle carriere per garantire a tutti un giudice che sia veramente “terzo” e trasparenza nei ruoli” (Separazione delle carriere dei magistrati sulla base della distinzione tra funzioni giudicanti e requirenti, “referendumgiustiziagiusta.it”, consultato il 30 maggio 2022). Se il ruolo del giudice e del pubblico ministero sono equiparabili nel garantire un giusto processo e l’emersione della verità giudiziaria, allora il magistrato giudicante non è mai davvero “terzo” rispetto alle parti a processo. Il rischio che alcuni avvocati penalisti autorevoli sollevano (Armando Spataro, La separazione delle carriere dei magistrati? Una riforma da evitare, “Giustizia Insieme”, 28 luglio 2016) è che il giudice possa condividere, a causa della contiguità di funzione, l’obiettivo di contrastare la criminalità, influenzando il processo a sfavore dell’imputato.
Un secondo argomento che viene sollevato a favore del referendum abrogativo è che il sistema giudiziario italiano è uno dei pochi sistemi accusatori in cui il ruolo dell’avvocato della difesa e dell’accusa non sono davvero pari. A differenza di paesi come Stati Uniti e Regno Unito, infatti, il pubblico ministero, essendo un magistrato, gode di maggiori privilegi rispetto all’avvocato della difesa, ad esempio il non dover tenere conto di una responsabilità “elettorale” come nel caso dei procuratori americani (Riccardo Mazzoni, Giustizia, il referendum può ridare credibilità ai magistrati, “iltempo.it”, 15 maggio 2022). L’ex magistrato Carlo Nordio scrive: “L’Italia è l’unico Paese al mondo dove il p.m. ha le garanzie del giudice e i poteri del superpoliziotto, senza dover mai rispondere a nessuno” (Anna Maria Greco, Carlo Nordio, La giustizia si sgretola: niente appello se assolti e separare le carriere, “ilGiornale.it”, 13 settembre 2021).
Margherita Grassi, 4 giugno 2022
No all’abolizione delle “porte girevoli”
Come specificato nell’argomento a favore dell’abolizione delle “porte girevoli”, il referendum vuole interrogare gli italiani in merito alla separazione delle funzioni di giudice e pubblico ministero. Una prima premessa fondamentale alle ragioni del “no” è che il passaggio di funzioni non è facile (Cfr. legge n. 111/2007): da un lato, non è possibile compiere questo passaggio all’interno dello stesso distretto, della stessa regione o del distretto della corte di appello atta a determinare la responsabilità penale dei magistrati del distretto in cui il magistrato presta servizio; dall’altro, per compiere il cambiamento di funzioni si chiede la partecipazione a un corso di qualificazione professionale e l’approvazione dell’idoneità da parte del Consiglio Superiore della Magistratura. Inoltre, è opportuno sottolineare che i dati che ci trasmette il Consiglio Superiore della Magistratura mostrano che il passaggio di funzione avviene in un numero esiguo di casi: i dati relativi al periodo tra gennaio 2011 e giugno 2016 indicano che rispetto ai magistrati in servizio in una delle due funzioni si è trasferito lo 0,83% dei magistrati requirenti e lo 0,21% dei magistrati giudicanti (Armando Spataro, La separazione delle carriere dei magistrati? Una riforma da evitare, “Giustizia Insieme”, 28 luglio 2016).
Per chi sostiene il “no” è importante sottolineare il motivo per cui queste due funzioni sono contigue: sia il p.m. sia il giudice hanno il compito di rappresentare lo Stato italiano con lo scopo di far emergere la verità processuale, al di là delle parti a processo (Giulia Merlo, Separazione delle carriere dei magistrati? Lo scontro dura da 20 anni, “editorialedomani.it”, 21 maggio 2021). Secondo chi sostiene la necessità di mantenere l’attuale possibilità dei magistrati di modificare le proprie funzioni è importante rilevare che la Costituzione, difendendo la parità tra le parti a processo e l’imparzialità del giudice, non impedisce né auspica a separare nettamente le due funzioni di magistrato. La Costituzione (art. 104 1° comma e art. 107 ultimo comma) prevede che il p.m. sia, come il giudice, totalmente indipendente e autonomo rispetto al potere esecutivo, e che abbia le stesse garanzie del giudice. Il rischio è che, separando le due funzioni, si possa creare un potere inedito (del magistrato requirente come separato da quello giudicante) che possa venire attratto dal potere esecutivo, perdendo la propria indipendenza. Infatti, spesso nei paesi in cui la carriera del p.m. è separata da quella da giudice avviene che il suo ruolo dipenda dal potere esecutivo (in merito si veda la disamina fatta da Armando Spataro, La separazione delle carriere dei magistrati? Una riforma da evitare, cit.). Nello Rossi, direttore di “Questione Giustizia”, aggiunge che: “Appare incomprensibile il desiderio degli avvocati di avere di fronte non più il pubblico ministero tenuto ad agire come parte imparziale nelle indagini e primo garante dei diritti dell’imputato ma un accusatore ‘puro’ interessato, anche per ragioni di carriera, a vincere il processo” (Nello Rossi, Referendum sulla giustizia. E’ possibile parlarne nel “merito”?, “questionegiustizia.it”, 9 giugno 2021). Difensore e p.m. hanno, infatti, ruoli diversi e non pari tra loro, per quanto a processo e davanti a un giudice vengano considerati tali: il pubblico ministero ricerca la verità processuale, per questo ha il potere anche di far cadere le accuse e il dovere di fare “accertamenti su fatti e circostanze a favore della persona sottoposta ad indagini” (art. 358 del Codice di Procedura Penale), mentre l’avvocato della difesa ha come fine quello di assolvere il proprio imputato “a prescindere dal dato sostanziale della colpevolezza o innocenza” (Armando Spataro, Separazione delle carriere, un boomerang da evitare, “La Stampa”, 4 giugno 2021).
Margherita Grassi, 4 giugno 2022
Sì allo stop della custodia cautelare per possibile reiterazione di reato
La custodia cautelare è una misura coercitiva, prevista da un magistrato, che decide che un sospettato per un reato grave sia recluso in attesa di processo.
In Italia, è possibile adottare questa misura per scongiurare il pericolo che il sospettato commetta “delitti della stessa specie di quello per cui si procede”. Secondo i promotori del referendum, tuttavia, la prassi è abusata. Infatti, quasi un terzo dei detenuti italiani si trova in carcere per custodia cautelare, così che si può sostenere che questa pratica ha finito per passare da “strumento di emergenza” a “vera e propria forma anticipatoria della pena”. Ciò è contrario al principio di presunzione di innocenza espresso nella Costituzione.
Inoltre, la custodia cautelare di sospetti poi dichiarati innocenti comporta una spesa ingente per il bilancio del paese: i 750 casi di ingiusta detenzione nel 2020 sono costati allo Stato quasi 37 milioni di euro in indennizzi.
Se il quesito ricevesse la maggioranza di “sì”, la custodia cautelare potrebbe ancora essere disposta per i reati più gravi, ma cadrebbe la possibilità di invocare la reiterazione per le rimanenti tipologie di reato (Limiti agli abusi della custodia cautelare, Referendum Giustizia Giusta, Comitato promotore, consultato il 30 maggio 2022).
Secondo Nicola Quatrano, avvocato penalista e autore per l’Osservatorio internazionale per i diritti, il ricorso spropositato alla custodia cautelare è sintomatico dell’incapacità della magistratura di “assolvere alla sua funzione istituzionale: fare i processi in tempi ragionevoli, assolvere gli innocenti e punire i colpevoli con sentenze definitive. In cambio arresta molto, e la custodia cautelare serve ad occultare una incapacità punitiva che sarebbe insostenibile per l’ordine sociale”. La responsabilità, però, non è da scaricarsi interamente sui magistrati. Anzi, l’abuso della custodia cautelare è sintomatico del malessere generale del sistema giudiziario italiano.
Inoltre, per come è ad oggi regolamentata, la custodia cautelare non è lo strumento adatto ad impedire la reiterazione del reato. Infatti, la detenzione è in molti contesti meno efficace di altre misure di prevenzione, quali ad esempio la sospensione o il licenziamento dalla funzione in caso di corruzione.
Se vincesse il sì al referendum, si abrogherebbe la possibilità di custodia cautelare motivata dal pericolo di commettere “delitti della stessa specie di quello per cui si procede”, che non siano né violenti, né mafiosi, né di terrorismo, né con uso di armi (Nicola Quatrano, Referendum sulla custodia cautelare, “ossin.org”, 4 settembre 2021).
Angela Zanoni, 4 giugno 2022
No allo stop della custodia cautelare per possibile reiterazione di reato
Secondo Pietro Dubolino, presidente emerito di sezione della Corte di Cassazione, abrogare la legge sulla custodia cautelare per reiterazione di reato perché se ne abusa equivale a “gettare il bambino insieme all’acqua sporca”. La norma, infatti, ha un’importanza cruciale nel garantire la sicurezza dei cittadini nell’attesa che i sospettati vengano processati. In questo senso, è pur vero che vengono escluse dall’abrogazione diverse fattispecie di reati gravi, ma verrebbero comunque coperti crimini frequenti e importanti quali furto in abitazione, furto con scippo, rapina, estorsione, spaccio di stupefacenti e favoreggiamento dell’immigrazione clandestina.
Inoltre, alcuni dei reati per cui non verrebbe più permessa la custodia cautelare rimarrebbero comunque compresi tra le fattispecie dell’art. 380 del Codice di procedura penale, che regola l’arresto obbligatorio in flagranza. Il risultato sarebbe che gli arresti effettuati dalla polizia giudiziaria non potrebbero più essere convalidati e che, quindi, i sospettati andrebbero rilasciati entro 96 ore. Questa inefficienza comporterebbe oltretutto rischi per l’incolumità del personale di polizia giudiziaria. (Pietro Dubolino, Referendum sulla custodia cautelare lasciapassare per l'impunità, “centrostudilivatino.it”, 18 luglio 2021).
Angela Zanoni, 4 giugno 2022
Sì all’abrogazione della legge Severino
Il decreto legislativo 235/2012 (noto come legge Severino, dal nome dell’allora ministro della Giustizia Paola Severino) regola l’incandidabilità, l’ineleggibilità e la decadenza dai pubblici uffici in caso di condanna in via definitiva a una pena superiore a due anni per delitti non colposi. Il d.lgs prevede anche la sospensione, per un massimo di 18 mesi, dei funzionari degli enti territoriali (regioni, province, comuni, città metropolitane) condannati in primo grado, quindi non in via definitiva (Decreto legislativo 31 dicembre 2012, n. 235, “Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana”).
La norma è parte dell’attuazione di un più ampio progetto legislativo anticorruzione sancito dalla legge 190/2012 (Legge 6 novembre 2012, n. 190, “Normattiva”, 6 novembre 2012).
Secondo i promotori del referendum, il decreto è doppiamente problematico (Abolizione del decreto Severino, Referendum Giustizia Giusta, Comitato promotore, consultato il 30 maggio 2022). In primo luogo, la norma sull’incandidabilità ha carattere retroattivo. Questo significa che anche un funzionario regolarmente eletto o nominato, che nel corso del suo mandato viene condannato in via definitiva, è destinato ad essere rimosso dalla sua carica.
La seconda criticità riguarda la sospensione dagli uffici per le cariche territoriali a seguito di una sentenza di primo grado: essendo la condanna non definitiva, c’è il rischio di sospendere dalla carica amministratori che verranno poi assolti.
In sostanza, gli automatismi dettati dalla normativa disturberebbero la vita politica del paese, scavalcando il volere popolare, creando vuoti di potere temporanei e danneggiando la credibilità degli amministratori locali.
A tal proposito, il presidente di Anci, Antonio Decaro, spiega come, spesso, la sospensione ex lege Severino finisca per venire ritirata o scadere al termine dei diciotto mesi, senza che ci siano gli estremi per un’interdizione definitiva. Infatti, la maggioranza dei provvedimenti di questo tipo riguarda reati non gravi, quali l’abuso d’ufficio, e amministratori che si rivelano poi innocenti, ma che riporteranno un danno d’immagine permanente. Secondo Decaro, una riforma della legge Severino è essenziale per restituire credibilità e stabilità alle amministrazioni locali (Decaro: Parlamento o referendum, i Sindaci chiedono di modificare la legge Severino, “anci.it”, 22 febbraio 2022).
Votando sì al referendum si lascerebbe la decisione riguardo l’interdizione dai pubblici uffici nelle mani del giudice, che avrebbe discrezionalità di prescriverla a seconda del caso specifico (Abolizione del decreto Severino, Referendum Giustizia Giusta, Comitato promotore, consultato il 30 maggio 2022).
Angela Zanoni, 4 giugno 2022
No all’abrogazione della legge Severino
L’opposizione all’abrogazione della legge Severino si articola in due correnti. C’è chi pensa che la legge vada bene così. Questa visione si basa su una recente sentenza della Corte Costituzionale (Corte Costituzionale, Sentenza n° 35 2021, “cortecostituzionale.it”, 9 febbraio 2021), che ha dichiarato la legge Severino in linea con i principi di legalità e proporzionalità sanciti dalla Costituzione e in accordo con la giurisprudenza dettata dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ("Legge Severino": la sospensione automatica del consigliere regionale condannato in via non definitiva non contrasta con la convenzione EDU, “cortecostituzionale.it”, 11 marzo 2021).
Il procuratore di Perugia Raffaele Cantone, che dieci anni fa è stato consigliere nella stesura della legge Severino, ammette che l’abrogazione del decreto sull’incandidabilità non stravolgerebbe l’intera disciplina della normativa anticorruzione, ma darebbe pur sempre un “segnale oggettivamente pericoloso”: la cancellazione del decreto significherebbe rendere ammissibile la candidabilità anche di condannati per reati gravi, come quelli per mafia, corruzione, evasione fiscale. Secondo Cantone, abrogare la Severino corrisponde a rinnegare l’art. 54 della Costituzione: “Tutti i cittadini hanno il dovere di essere fedeli alla Repubblica e di osservarne la Costituzione e le leggi. I cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore, prestando giuramento nei casi stabiliti dalla legge” (Liana Miella, Cantone e l'allarme sul referendum giustizia: "Senza la legge Severino i mafiosi nelle istituzioni", “repubblica.it”, 17 febbraio 2022).
La seconda corrente comprende chi pensa che la legge sia da modificare, ma non attraverso l’istituto referendario. Secondo Anna Rossomando, senatrice PD, l’abrogazione così proposta investirebbe indiscriminatamente tutta la disciplina sull’incandidabilità e decadenza dai pubblici uffici. Meglio sarebbe lasciare che sia il Parlamento ad occuparsi della riforma della legge Severino, così da affrontare direttamente le singole questioni controverse, prima fra tutte quella della sospensione dai pubblici uffici degli amministratori locali condannati in primo grado (Valentina Stella, La Severino va modificata in Parlamento, ecco perché diciamo no al referendum, “ildubbio.news”, 21 marzo 2022).
Angelo Zanoni, 4 giugno 2022