Indipendenza del Kurdistan
FAVOREVOLE O CONTRARIO?
Il popolo curdo è un popolo senza Stato: per il Kurdistan le potenze Occidentali non hanno trovato posto nell'equilibrio nato dal crollo dell'Impero Ottomano. Divisi principalmente fra Turchia e Iraq, i curdi hanno subito decenni di repressione: parzialmente riconosciuti in Iraq e Siria, dagli anni '80 sono coinvolti in una guerra “a bassa intensità” con la Turchia, che ha prodotto circa 30.000 vittime. Nella Turchia del “Sultano” Erdogan, la repressione politica ha preso un nuovo slancio, con l'arresto, a fine 2016, dei vertici della formazione filo-curda HDP, e l'istituzione dello “stato d'emergenza”. Con operazioni volte ufficialmente a debellare i separatisti del PKK, polizia ed esercito violano ripetutamente i diritti umani, con detenzioni extragiudiziali, torture, pratiche di pulizia etnica; pur di spazzar via i curdi dalle vicine Siria e Iraq, Erdogan ha armato, secondo PYD e HDP, i salafiti dello Stato Islamico. Nel caos del “Siraq”, le YPG curde rappresentano l'unico baluardo della popolazione civile e il solo alleato affidabile degli USA: questi potrebbero sostenere un Kurdistan indipendente, ma solo per minare l'influenza dell'Iran nella regione. Intanto, i curdi in Iraq e Siria sono già, di fatto, autonomi: il KRG controlla le forniture petrolifere irachene; in Siria è sorta – nel totale isolamento diplomatico – la Confederazione del Rojava, esperimento di democrazia radicale unico quanto a difesa delle differenze etniche, religiose, e dell'eguaglianza di genere.
IL DIBATTITO IN 2 MINUTI:
I curdi sono un popolo senza Stato. Divisi fra Turchia e Iraq, i curdi hanno subito decenni di repressione: parzialmente riconosciuti in Iraq e Siria, dagli anni '80 sono coinvolti in una guerra “a bassa intensità” con la Turchia. Nel caos del “Siraq”, le YPG curde rappresentano l'unico baluardo della popolazione civile e il solo alleato affidabile degli USA.
L'ascesa al potere, in Turchia, del movimento filo-confessionale Giustizia e Sviluppo (AKP), ha dovuto misurarsi con la forza dell'esercito, posto dalla Costituzione a difesa della laicità della Repubblica. Per ottenerne l'appoggio, Erdogan non ha esitato ad entrare in aperto conflitto con la sinistra e con i movimenti che vedono con occhio favorevole una pacificazione con la minoranza curda.
Il destino politico del popolo curdo è stato condizionato dagli interessi di grandi potenze. Al termine della Grande Guerra, la ripartizione dello sconfitto Impero Ottomano prevedeva l'istituzione di uno Stato curdo. In seguito alla rivoluzione kemalista furono Francia, Impero Britannico e i “Giovani Turchi” ad escludere il Kurdistan dal novero delle nazioni indipendenti.
Nonostante gli alleati più affidabili degli Stati Uniti nell'area mediorientale siano proprio i curdi ci sono pochissime possibilità che gli USA abbraccino la causa indipendentista curda. Non ne hanno alcun interesse: la necessità di non infastidire Ankara prevarrà senza dubbio su qualsiasi considerazione di carattere idealistico.
L'ideologia del “confederalismo democratico” elaborata da Ocalan, messa in pratica nell'autogoverno del Rojava, e presa a modello dall'HDP, rappresenta probabilmente una delle formulazioni di democrazia radicale fra le più avanzate al mondo.
I governi centrali degli Stati con rilevanti minoranze curde, accusano i movimenti curdi che rivendicano il riconoscimento di diritti civili di mirare all'indipendenza del Kurdistan. Sul fronte interno, la Turchia ritiene che il Partito Democratico dei Popoli (HDP) sia la facciata politica del Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK).
Per il governo turco le organizzazioni politiche curde sono emanazioni del Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK), un'entità politico-militare che lotta per l'indipendenza del “Grande Kurdistan” ed è accusato di numerosi attacchi terroristici contro lo Stato turco. Il leader del PKK, Abdullah Öcalan, è stato arrestato nel 1999 con l'accusa di lotta separatista armata.
I membri del Partito Democratico dei Popoli (HDP), l'organizzazione politica dei curdi di Turchia guidata da Selahattin Demirtas e Figen Yuksekdag, pur non rinnegando l'eredità ideologica di Apo, “lo zio” dei curdi, respingono l'accusa di compartecipazione ad attività di terrorismo finalizzate al conseguimento dell'indipendenza nazionale per il Kurdistan.
Siria e Iraq hanno subito, dal 2014, la pressione militare dello Stato Islamico. Le organizzazioni militari curde, come YPG, delle quali è divenuta famosa la divisione costituita da sole milizie femminili, le YPJ, sono state l'unica speranza della popolazione civile curda, araba, e delle diverse minoranze etniche e religiose del nord della Siria e di gran parte dell'Iraq.
La Turchia ritiene che le organizzazioni curde della Siria vogliano sfruttare la crisi politica siriana ed estendere le operazioni militari al sud-est della Turchia, regione a maggioranza curda, provocando una guerra civile. Per scongiurare tentativi di questo tipo, la Turchia ha ritenuto legittimo intervenire militarmente con una serie di pesanti bombardamenti sulle postazioni curde.
Il popolo curdo ha subito feroci politiche di assimilazione culturale e di deportazione, spesso sfocianti in episodi di inusitata violenza, al limite del genocidio. Mentre la situazione in Iraq è migliorata dopo la deposizione di Saddam Hussein, nella Turchia neo-Ottomana di Erdogan la repressione politica nei confronti dei 20 milioni di curdi residenti nel Paese ha subito un'escalation.
Secondo le autorità turche non esiste alcuna questione curda. I nazionalisti più estremisti arrivano persino a non riconoscere i curdi come un popolo a sé stante, definendoli “turchi di montagna”, mentre la linea ufficiale del Governo turco è quella di annoverare i curdi fra le tante minoranze etniche che popolano il Paese, che non subisce alcuna pressione politica particolare.
Erdogan cerca in Turchia lo scontro violento con i curdi per ragioni di consenso politico interno
L'ascesa al potere, in Turchia, del movimento filo-confessionale Giustizia e Sviluppo (AKP), legato a livello internazionale all'Islam politico della Fratellanza Musulmana, ha dovuto misurarsi con la forza dell'esercito, posto dalla Costituzione a difesa della laicità della Repubblica.
Per ottenerne l'appoggio, Erdogan non ha esitato ad entrare in aperto conflitto con la sinistra e con i movimenti che vedono con occhio favorevole una pacificazione con la minoranza curda. In questo modo, il “Sultano” ha nello stesso tempo garantito – inaugurando una nuova stagione di “stato emergenziale” nel Sud-Est del Paese – che i militari mantenessero intatto il loro potere, e strizzato l'occhio all'opinione pubblica nazionalista, che vede come fumo negli occhi ogni riconoscimento di diritti civili ai curdi, nel timore che possano essere il preludio al ritorno di rivendicazioni separatiste e una minaccia all'unità nazionale. L'alleanza politica con il Partito per il Movimento Nazionalista (MHP) aprirà così la strada per la modifica della Costituzione in senso presidenzialista, da sempre obiettivo dell'AKP.
Il destino del Kurdistan è stato, ed è ancora, in mano a potenze straniere
Il destino politico del popolo curdo è stato storicamente condizionato dagli interessi di grandi potenze militari che non hanno avuto alcun riguardo per esso. Al termine della Grande Guerra, la ripartizione dello sconfitto Impero Ottomano, da attuarsi secondo il principio della nazionalità, prevedeva inizialmente (trattato di Sévres, 1920) l'istituzione di uno Stato curdo, oltre che di quello armeno. In seguito alla rivoluzione kemalista furono Francia, Impero Britannico e i “Giovani Turchi” ad escludere, con l'intesa di Losanna (1926), il Kurdistan dal novero delle nazioni indipendenti, ripartendone il territorio fra Stati a carattere marcatamente etnicizzato, come la Turchia, o creati arbitrariamente, come l'Iraq. Oggi un possibile sostegno all'indipendenza del Kurdistan da parte degli Stati Uniti d'America sarebbe subordinato alla ricerca di un vantaggio geopolitico contro Russia ed Iran: interrompere la continuità del “corridoio sciita” Teheran-Baghdad-Damasco potrebbe rappresentare una scelta strategica per gli USA guidati da Donald Trump, che dopo gli anni del progressivo disimpegno mediorientale dell'era Obama ha promesso un più deciso sostegno allo Stato di Israele.
Nonostante gli alleati più affidabili degli Stati Uniti nell'area mediorientale siano proprio i curdi – dalla guerra contro Saddam Hussein del 2003 i Peshmerga e il Governo Regionale Curdo (KRG) di Mas'ud Barzani in Iraq; dal 2011, contro lo Stato Islamico (IS) le Unità di Protezione del Popolo (YPG) e il Partito dell'Unione Democratica (PYD) in Siria – ci sono pochissime possibilità che gli USA abbraccino la causa indipendentista curda. Non ne hanno alcun interesse: la necessità di non infastidire Ankara prevarrà senza dubbio su qualsiasi considerazione di carattere idealistico, e quella per il rispetto dei diritti umani nelle regioni a maggioranza curda controllate dalla Turchia non ha alcuna possibilità di essere combattuta da Donald Trump, il Presidente della “priorità americana”. Il sostegno degli USA alla nascita di uno Stato curdo potrebbe rappresentare un'opzione nel quadro di una rinnovata politica di aggressività verso l'Iran, potenza regionale sul cui suolo risiede una minoranza curda (fra le meno attive a livello politico) e che non ha mai nascosto l’interesse ad estendere la sua influenza nell'area mesopotamica e levantina.
I curdi non sono indipendentisti, mirano all'autonomia nel quadro di un nuovo modello sociale
Le organizzazioni che rivendicano l'autonomia del popolo curdo vengono accusate, da Stati come la Turchia, di voler ottenere l'indipendenza. L'accusa è quella di essere movimenti separatisti che attentano all'unità nazionale. Dal canto loro, movimenti come il Partito Democratico dei Popoli (HDP, Halkların Demokratik Partisi, o in lingua curda, Partiya Demokratîk a Gelan), che alle elezioni amministrative del 2015 è riuscito per la prima volta ad entrare in Parlamento, divenendo, con 81 seggi, la terza forza politica dell'arco costituzionale, respingono le accuse di separatismo e sostengono di voler perseguire un “nuovo modello di convivenza fra i popoli”. L'HDP, non connotato esclusivamente dal punto di vista etnico, è il punto di riferimento in Turchia per il mondo progressista, battendosi per eguaglianza di genere, democrazia partecipativa, convivenza interetnica e interreligiosa, libertà d'espressione, e per un'economia ecologica. L'ideologia del “confederalismo democratico” elaborata da Ocalan, messa in pratica nell'autogoverno del Rojava, e presa a modello dall'HDP, rappresenta probabilmente una delle formulazioni di democrazia radicale fra le più avanzate al mondo.
I governi centrali degli Stati con rilevanti minoranze curde, accusano i movimenti curdi che rivendicano il riconoscimento di diritti civili di mirare all'indipendenza del Kurdistan. Sul fronte interno, la Turchia ritiene che il Partito Democratico dei Popoli (HDP) sia la facciata politica del Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK), un'organizzazione riconosciuta come responsabile di numerosi attacchi terroristici; mentre sul fronte internazionale teme che i successi militari conseguiti contro lo Stato Islamico dalle Unità di Protezione del Popolo (YPG) nella regione settentrionale della Siria, il Rojava, possano portare al tentativo di sfondare il confine turco e provocare la sollevazione della minoranza curda. È questo un timore condiviso dal Governo Regionale Curdo (KRG), l'amministrazione de facto autonoma dell'Iraq Settentrionale. Anche la potenza sciita dell'Iran, impegnata per altri versi contro lo Stato Islamico, non vede di buon occhio il sostegno statunitense ai curdi siriani: il suo timore è che gli USA, abbandonato in malo modo il pantano iracheno, cerchino di frapporre una nuova testa di ponte in Medio Oriente sfruttando il desiderio indipendentista dei curdi.
I movimenti per l'indipendenza del Kurdistan sono movimenti terroristici
I membri del Partito Democratico dei Popoli (HDP), l'organizzazione politica dei curdi di Turchia guidata da Selahattin Demirtas e Figen Yuksekdag, pur non rinnegando l'eredità ideologica di Apo, “lo zio” dei curdi (come è noto il leader del Partito dei Lavoratori del Kurdistan, il PKK, organizzazione riconosciuta come responsabile di atti di terrorismo da parte di Turchia, Stati Uniti e Unione Europea) respingono l'accusa di compartecipazione ad attività di terrorismo finalizzate al conseguimento dell'indipendenza nazionale per il Kurdistan. Viene anzi denunciata, dai membri dell'HDP, la politica di “terrorismo di Stato” messa in atto dalla Turchia nelsud-est del Paese, dove vige lo “stato d'emergenza”.
Secondo l'HDP le forze di sicurezza turche sono inoltre corresponsabili di numerosi attacchi terroristici condotti contro la popolazione curda e contro le loro organizzazioni invise al governo, come sindacati e centri culturali. La connivenza della Turchia con organizzazioni quali ISIS, al-Nusra e al-Qaeda in Siria rappresenta una delle denunce più dure – e sicuramente la meno tollerata – fra quelle mosse da Demirtaş al “Sultano” Erdogan.
Per il governo turco, le organizzazioni politiche dei curdi, come il Partito Democratico dei Popoli (HDP), con base in Turchia – dove costituiva, fino al ritiro dei suoi delegati seguiti all'arresto dei vertici del partito, nel Novembre 2016, la terza forza parlamentare – e il Partito dell'Unione Democratica (PYD), con base in Siria, sono emanazioni del Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK), un'entità politico-militare che lotta per l'indipendenza del “Grande Kurdistan” ed è accusato di numerosi attacchi terroristici contro lo Stato turco. Il leader del PKK, Abdullah Öcalan, è stato arrestato nel 1999 con l'accusa di lotta separatista armata e dal 2002 – anno in cui la pena di morte in Turchia è stata abolita e commutata in carcere a vita – è l'unico detenuto dell'isola-prigione di Imrali. La linea politica ufficiale del governo turco per quanto concerne la crisi siriana è quella di annoverare le organizzazioni curde fra i gruppi terroristici che operano a livello internazionale, come lo Stato Islamico (IS), nel timore che esse possano estendere la lotta armata dai territori siriani e iracheni a quello turco, trascinando il paese nella guerra civile.
Il popolo curdo è l'unica forza che combatte realmente l'ISIS
Siria e Iraq hanno subito, dal 2014, la pressione militare dello Stato Islamico (IS). Le organizzazioni militari curde, come le Unità di Protezione del Popolo (YPG), delle quali è divenuta famosa la divisione costituita da sole milizie femminili, le YPJ (Unità di Protezione delle Donne), sono state – con la dissoluzione precipitosa dell'esercito sunnita iracheno – l'unica speranza della popolazione civile curda, araba, e delle diverse minoranze etniche e religiose del nord della Siria e di gran parte dell'Iraq. Portando de facto all'autonomia dai governi di Damasco e Baghdad, i successi militari delle YPG hanno riportato la questione curda all'attenzione dell'opinione pubblica internazionale, ma hanno anche aggravato la situazione dei curdi di Turchia, contro i quali il governo del “Sultano” Erdogan ha avviato una nuova stagione di repressione politica, sfociata in una campagna militare nel Rojava e nell'appoggio segreto alle milizie dell'IS. Il veto alla partecipazione del PYD (Partito dell'Unione Democratica) ai colloqui di pace di Astana per la soluzione della crisi siriana riflette la posizione della Turchia, che non è intenzionata a dare alcun riconoscimento ai curdi.
La Turchia ritiene che le organizzazioni curde della Siria, come il Partito dell'Unione Democratica (PYD) e il suo braccio armato, le Unità di Protezione del Popolo (YPG), vogliano sfruttare la crisi politica siriana ed estendere le operazioni militari al sud-est della Turchia, regione a maggioranza curda, provocando una guerra civile. Per scongiurare tentativi di questo tipo, la Turchia ha ritenuto legittimo intervenire militarmente all'infuori dei propri confini, con una serie di pesanti bombardamenti sulle postazioni curde, nonostante l'impegno delle YPG contro lo Stato Islamico, organizzazione terroristica costituitasi a Stato contro il quale, almeno formalmente, la Turchia è in guerra a fianco di una coalizione internazionale che vede, su diversi fronti e con diversi obiettivi, la partecipazione di Stati Uniti d'America, Russia, Iran. In risposta alle critiche seguite agli attacchi, Ahmet Davutoglu, il Primo Ministro turco, ha chiarito che anche le regioni oltreconfine di Latakia, Aleppo, Mosul e Sulaimanya, vanno comunque considerate “area di sicurezza della Turchia” e che se necessario verranno condotti altri attacchi in quelle zone.
Il popolo Curdo è vittima di un tentativo di assimilazione forzata
Il popolo curdo ha subito, fin dai tempi dello smembramento dell'Impero Ottomano (1920), feroci politiche di assimilazione culturale e di deportazione, spesso sfocianti in episodi di inusitata violenza, al limite del genocidio – famosa è la strage del 1988 a Halabja, nella quale vennero usati gas al cianuro. Mentre la situazione per i curdi dell'Iraq è migliorata dopo la deposizione di Saddam Hussein, nella Turchia neo-Ottomana di Erdogan la repressione politica nei confronti dei 20 milioni di curdi residenti nel Paese ha subito un'escalation, culminata nell'estromissione dalla vita politica del terzo partito turco, il Partito Democratico dei Popoli (HDP), e in ripetuti attacchi condotti dall'aviazione contro i curdi di là dal confine siriano, dove le Unità di Protezione del Popolo (YPG) sono impegnate fin dal 2011 nella lotta allo Stato Islamico, spalleggiato segretamente dai turchi proprio in funzione anti-curda fino a tutto il 2016. La Turchia, riportano alcune ONG, attua ancora oggi politiche di turchificazione delle zone a maggioranza curda, con repressione del dissenso per mano della polizia e con la costante militarizzazione della regione sud-orientale del Paese.
Secondo le autorità turche non esiste alcuna questione curda. I nazionalisti più estremisti arrivano persino a non riconoscere i curdi come un popolo a sé stante, definendoli “turchi di montagna”, mentre la linea ufficiale del Governo turco è quella di annoverare i curdi fra le tante minoranze etniche che popolano il Paese, che non subisce alcuna pressione politica particolare. Per il Governo, le operazioni di polizia culminate nell'arresto, nel novembre 2016 dei vertici del Partito Democratico del Popolo, terza forza politica dell'arco costituzionale, e la militarizzazione dell'area sud-orientale del Paese, con il regolare intervento delle forze di sicurezza di ogni manifestazione di protesta organizzata dai partiti della sinistra filo-curda, rappresentano la messa in atto di legittime politiche anti-terroristiche, nell'ottica del contrasto ad organizzazioni separatiste, come il Partito dei Lavoratori del Kurdistan e i Falchi per la Liberazione del Kurdistan. A partire dal 1926 in Turchia è vietato l'utilizzo del termine Kurdistan, mentre fino al 2013 era vietato l'uso della lingua curda, tanto in pubblico quanto nelle comunicazioni private.