Movimenti indipendentisti e secessionisti europei
FAVOREVOLE O CONTRARIO?
I movimenti indipendentisti sono organizzazioni che si battono per il diritto all’autodeterminazione dei popoli, la cui matrice è solitamente ideologica, di stampo religioso, culturale o politico, e il cui principale fattore di aggregazione risiede nell’affermazione della comune radice identitaria. Il diritto di autodeterminazione dei popoli è quel principio fondamentale del diritto internazionale, in virtù del quale tutti i popoli hanno diritto a decidere autonomamente del proprio assetto politico, economico e sociale. Tale diritto è solennemente affermato in alcune delle principali carte internazionali, tra le quali la Carta delle Nazioni Unite.
In Italia si sono affermati diversi movimenti indipendentisti, il più noto è la Lega Nord, che riconosceva tra i suoi obiettivi politici la secessione dell’Italia del Nord. In Europa i movimenti indipendentisti sono presenti in quasi tutti gli Stati; alcuni hanno sviluppato una relazione particolare con alcune regioni, la Scozia e la Catalogna sono le più note.
IL DIBATTITO IN 2 MINUTI:
Il diritto di autodeterminazione dei popoli è un principio fondamentale del diritto internazionale in virtù del quale i popoli hanno diritto a decidere autonomamente del proprio assetto politico, economico e sociale. Presenti in quasi tutti gli Stati europei, i movimenti indipendentisti sono particolarmente attivi in regioni come la Scozia e la Catalogna. In Italia il più noto è la Lega Nord.
I referendum per l’indipendenza rafforzano la democrazia, riaccendono il dibattito sulla legittimità dello Stato e sul consenso dei governati. La richiesta dei movimenti indipendentisti tutelano le identità nazionali non solo rispetto allo Stato di appartenenza, ma anche con l’Europa. Il futuro di quest’ultima è quello di una riconfigurazione di un’Europa dei popoli.
L’Europa è destinata a rimanere un’unione di Stati. Innanzitutto perché l’evoluzione dei movimenti indipendentisti non è irreversibile e perché l’idea di fondare una nazione è pericolosa. È necessaria la riconfigurazione dell’Europa in senso federalista, non per disgregazione statale, ma a partire da interventi dell’Europa per una perequazione delle risorse per aiutare le regioni più povere.
Gli studiosi ritengono che il primo motivo per cui viene chiesta l’indipendenza è di natura economica, principalmente legato al fisco. Nelle nazioni povere la crisi economica aggrava la percezione di disinteresse dello Stato centrale nei confronti delle Regioni che chiedono l’indipendenza.
Non esiste una correlazione tra crisi economica e rivendicazione indipendentista, poiché il sentimento separatista emerge proprio nelle regioni che hanno un alto grado di prosperità economica. Il benessere è visto infatti come prova di una “superiorità” etnica. Esistono dei rimedi alternativi alla secessione tra i quali la differenziazione dei livelli di autonomia e la lotta agli sprechi.
I movimenti indipendentisti si basano su un populismo che offre soluzioni semplici con l’illusione di risolvere problemi che potrebbero invece aggravarsi. Tale populismo, semplice e attraente, potrebbe avere conseguenze negative: non vi è infatti alcuno dei problemi della vita dei cittadini delle regioni che chiedono di separarsi che troverebbe miglioramento con l’indipendenza.
È un errore giudicare i movimenti indipendentisti come populisti. Alcuni segnalano la relazione tra crisi dello Stato e movimenti indipendentisti, evidenziando, però, la differenza tra questi movimenti e altri che nascono per insoddisfazione verso lo Stato: mentre i primi formulano proposte sostenibili sul piano istituzionale, i movimenti populisti si limitano a demolire l’esistente.
I movimenti indipendentisti sono contrari all’integrazione europea. Col secessionismo molti Stati possono cadere sotto il controllo del malaffare e perdere attrattiva per gli investimenti. Qualcuno sostiene addirittura che la frammentazione dell’Europa è obiettivo delle più grandi potenze per farne un centro di potere delle oligarchie finanziarie.
I movimenti indipendentisti non sono disgregativi, ma rafforzano il processo di unificazione europeo attraverso l’affermazione della cittadinanza europea e dei suoi diritti. Si rafforza la legittimità della stessa UE quale garante di tali diritti e s’indebolisce la visione di un’Unione come associazione di Stati. Il riconoscimento dell’indipendenza produce, quindi, un rafforzamento dell’Europa.
L’autodeterminazione è il primo diritto di ogni popolo e comunità politica. La possibilità di stare con chi si vuole stimolerebbe gli europei ad accostarsi con maggiore partecipazione alle questioni riguardanti l’autodeterminazione e incentiverebbe la concorrenza istituzionale, permettendo all’Europa di riscoprire le proprie radici in un localismo aperto al mercato e alla globalizzazione.
Per richiamare l’autodeterminazione devono sussistere due presupposti: il soggetto deve essere effettivamente un popolo e il governo al potere deve essere non rappresentativo e discriminante del popolo che aspira all’autodeterminazione. Le due condizioni non si realizzano nel caso della Padania, che è mera espressione geografica: non esiste un popolo padano distinto dal popolo italiano.
La rivendicazione dell’indipendenza contrasta con l’art. 5 della Costituzione, che proclama l’unità e indivisibilità della Repubblica. Nel diritto internazionale, l’autodeterminazione esterna dei popoli non è una regola, ma un’eccezione. Inoltre, con la nozione di popolo s’intende un “gruppo nazionale coeso”, condizione che manca in molti casi di rivendicazione dell’indipendenza.
I movimenti indipendentisti esprimono il diritto dei popoli ad autodeterminarsi. Dal punto di vista del diritto internazionale una dichiarazione d’indipendenza non è in contrasto con il principio dell’integrità territoriale e d’indipendenza politica. La revisione del diritto di autodeterminazione nega che la nozione di “popolo” sia necessaria per ottenere l’indipendenza.
Indipendenza della Catalogna
I sostenitori dell’indipendentismo catalano fanno leva sulle specificità linguistiche e culturali della Catalogna, mantenutesi negli anni nonostante i tentativi del governo di Madrid, soprattutto durante la dittatura di Francisco Franco, di reprimere ogni espressione localista di tipo politico, sociale e culturale. Francesc Marc Alvaro, editorialista del quotidiano “La Vanguardia” e professore dell’Università “Ramon Llull”, ritiene che le rivendicazioni indipendentiste del popolo catalano si siano risvegliate e inasprite a causa dello svuotamento dello Statuto di Autonomia, approvato dal Parlamento catalano nel 2006, da parte del Tribunale Costituzionale della Spagna.
Oriol Junqueras, ex vice di Puigdemont e presidente del partito di sinistra Esquerra Republicana de Catalunya, al termine del referendum del I ottobre 2017 ha spiegato le proprie posizioni, definendosi secessionista ed europeista. Anche Carmen Forcadell, presidente dal 2015 del Parlamento della Catalogna e incarcerata per sedizione dopo la dichiarazione di indipendenza dell’ottobre 2017, collega la crescita dell’indipendentismo catalano alla sentenza negativa del Tribunale Costituzionale sullo Statuto di Autonomia.
I detrattori dell’indipendentismo catalano cercano di ridimensionare la consistenza del movimento e la sua storia. Il quotidiano spagnolo “El País” ha condotto negli anni una vera e propria campagna denigratoria contro i movimenti indipendentisti della Catalogna.
“Il Post” ha tradotto e commentato un articolo pubblicato dal quotidiano di Madrid il 24 settembre 2017, pochi giorni prima del referendum, nel quale gli autori elencano dieci falsi miti legati all’indipendentismo catalano. Anche il presidente di “El País”, Juan Luis Cebrián, ha scritto un eloquente articolo, tradotto e pubblicato in Italia da “La Stampa” con il titolo Una ridicola carnevalata che minaccia l’Europa e crea altre fratture in Spagna. Nella stessa Catalogna c’è un fronte contrario all’indipendentismo, rappresentato in maggior misura dal partito Ciudadanos. Alle elezioni del 21 dicembre 2017, grazie alla campagna elettorale del giovane leader Albert Rivera, è risultato il primo partito di Catalogna, riuscendo a conquistare da solo 36 seggi.
Il dibattito sull’indipendentismo dimostra la necessità di una evoluzione verso l’Europa delle nazioni
I referendum per l’indipendenza rafforzano la democrazia in quanto riaccendono il dibattito sulla legittimità del potere statale e il consenso dei governati. Queste occasioni evidenziano l’importanza centrale della partecipazione democratica come parte integrante del linguaggio e processo di autodeterminazione moderna nell’ambito di uno Stato. La richiesta dei movimenti indipendentisti si concentra nella tutela della propria identità nazionale nell’ambito non solo delle relazioni con lo Stato di appartenenza, ma anche con l’Europa. L’obiettivo finale è quindi in primo luogo quello di chiarire quali sono le condizioni di sostenibilità degli Stati plurinazionali in Europa che meglio garantiscono le entità nazionali presenti al loro interno. Anche l’Europa, dal canto suo, è chiamata ad una attenta riflessione su un’evoluzione della sua configurazione che consideri scozzesi, catalani, baschi, fiamminghi e ogni altra identità nazionale come cittadini europei a tutti gli effetti, senza intermediazione degli Stati nazionali. Il futuro dell’Europa è quindi quello di una riconfigurazione verso l’Europa dei popoli.
Nonostante l’esistenza di movimenti europei che rivendicano l’indipendenza, l’Europa è destinata a rimanere un’unione di Stati. Infatti, in primo luogo l’evoluzione dei movimenti indipendentisti non è irreversibile, come dimostrano le oscillazioni del dibattito sull’indipendenza che possono riscontrarsi sia in Scozia (dove, a ulteriore prova, il relativo referendum ha avuto esito negativo) sia in Spagna. Sotto altro profilo, l’idea di fondare una nazione (e quindi ipotizzare un’Europa delle nazioni su presupposti di uniformità culturale, linguistica e religiosa) è pericolosa, come dimostrano alcune esperienze storiche del passato, quale quella tedesca. Per questi motivi è necessaria la riconfigurazione dell’Europa in senso federalista. Questo processo, tuttavia, deve avvenire non attraverso percorsi di disgregazione statale, ma a partire dalla considerazione delle principali critiche che le vengono mosse e che riguardano la necessità di un intervento diretto dell’Europa di perequazione delle risorse che consenta di aiutare le regioni più povere a recuperare la distanza accumulata.
Le rivendicazioni indipendentiste sono indotte dagli effetti della crisi economica
Benché spesso alla base dei movimenti indipendentisti vi sia la rivendicazione di un riconoscimento della identità culturale, gli studiosi ritengono che il primo motivo per cui viene chiesta l’indipendenza è di natura economica. In questo senso uno dei temi fondamentali è quello del fisco, che viene redistribuito nella cornice di uno Stato nazionale. La crisi economica produce due spinte convergenti: la prima è quella che agisce nelle nazioni ricche, la seconda è quella che agisce in quelle più povere. Nelle nazioni ricche c’è la spinta a dimostrare che a causa della crisi economica gli Stati opprimono l’economia della nazione che richiede l’indipendenza. Nelle nazioni povere la crisi economica aggrava la percezione di disinteresse dello Stato centrale nei confronti delle Regioni che chiedono l’indipendenza. Per cui questa spinta, in tale duplice connotazione, riesce a trasformare il sentimento di malessere in voti.
In generale non esiste una correlazione tra condizioni di crisi economica e rivendicazione indipendentista. Infatti, è stato evidenziato come il sentimento separatista emerga proprio nelle regioni che hanno raggiunto un certo grado di prosperità economica e non la vogliono condividere con altre meno sviluppate o cadute in disgrazia. Il benessere è interpretato infatti come dimostrazione di una “superiorità” etnica. Peraltro, alcuni studiosi hanno comunque rilevato che la rivendicazione dell’indipendenza in ogni caso non produce effetti positivi sulla condizione economica delle regioni interessate. Ad esempio, nel caso della Scozia, l’economista Daniel Altman (Cosa gli economisti non hanno capito dell’indipendenza della Scozia, “lindipendentismonelmondo.wordpress.com”, 17 settembre 2014) ritiene che l’indipendenza produrrebbe “la più grande instabilità economica di tutti i tempi”. Sarebbero altri i motivi per i quali la Scozia potrebbe volere l’indipendenza, quali ad esempio la volontà di trasformare la forma di Stato o di rivendicare l’identità culturale dal Regno Unito. Per altro verso esistono dei rimedi alternativi alla secessione tra i quali la differenziazione dei livelli di autonomia e l’introduzione di meccanismi che consentano davvero di combattere gli sprechi.
I movimenti indipendentisti sono espressione di forme di populismo
Per alcuni studiosi rappresenta un errore dare un giudizio semplicemente negativo dei movimenti indipendentisti, sostenendo che siano espressione di forme populiste, organizzate per ottenere facilmente il consenso popolare. Sotto altro profilo, alcuni autori fanno emergere la possibile relazione tra la crisi dello Stato e l’emergere dei movimenti indipendentisti. Tuttavia, evidenziano anche la differenza tra questi movimenti e altri che si sviluppano per la stessa ragione di insoddisfazione nei confronti dello Stato (come quello italiano del Movimento Cinque Stelle). Infatti, secondo tali autori, mentre i primi formulano una proposta sostenibile sul piano istituzionale, i movimenti populisti si limitano a demolire l’esistente. Inoltre, rispetto ai populisti, i movimenti di indipendenza rappresentano una libera espressione del popolo e hanno come obiettivo la nascita di istituzioni autonome dal centro, che vengono così liberate dal peso dei costi pubblici, dipendenti dall’appartenenza al contesto dello Stato nazionale. I movimenti indipendentisti hanno come obiettivo la creazione di istituzioni del tutto libere e autonome.
I movimenti indipendentisti producono un effetto disgregatore, sulla base di un populismo istituzionale che offre soluzioni semplici con l’illusione di risolvere problemi che potrebbero aggravarsi ulteriormente, se avessero esito positivo i processi da loro avviati.
Come nel caso di altri movimenti populisti, anche quelli indipendentisti tentano di trovare e additare colpevoli ben visibili e indistinti per coprire i problemi veri. La risposta populista semplice e attraente nei comizi e nei dibattiti pubblici, quando si trasforma in percorsi istituzionali concreti, finisce invece per avere conseguenze negative sulla vita degli europei. Non vi è infatti alcuno dei problemi della vita dei cittadini delle regioni che chiedono di separarsi dal centro che troverebbe miglioramento con l’indipendenza. Dunque, è necessario resistere al populismo rilanciando un’integrazione che si concentri su risposte comuni, concrete e innovative ai problemi della crescita e del lavoro.
I movimenti indipendentisti producono effetti disgregativi
La presenza e valorizzazione dei movimenti indipendentisti, lungi dal produrre effetti disgregativi, rafforza il processo di unificazione europeo attraverso l’affermazione della cittadinanza europea e dei suoi diritti, fruiti individualmente dai cittadini europei. Si rafforza in particolare la legittimità della stessa Unione Europea quale garante di tali diritti. Per converso, grazie ai movimenti indipendentisti si indebolisce la visione che vede nella Unione Europea un’associazione di Stati, visione che dipende dalla gelosia accentratrice degli Stati stessi. Occorre, infatti, evidenziare che gli Stati non controllano più i confini, la politica estera, la moneta e neppure integralmente i conti e il proprio bilancio. Tutte le decisioni più importanti sono prese a livello europeo. Di conseguenza, il riconoscimento dell’indipendenza a regioni autonome non produce una disgregazione ma un rafforzamento dell’Europa. Il processo di riconoscimento dell’indipendenza quindi va valutato in una prospettiva liberale. Esiste, infatti, un legame tra diritto di autodeterminarsi e liberalismo, tra i referendum per l’indipendenza e la speranza di dare un futuro all’Europa.
I movimenti indipendentisti sostengono processi con effetti disgregatori e contrari al principio di integrazione europea. Questo principio, insieme a quello della sussidiarietà, contenuti entrambi nei trattati europei, hanno alla base l’idea forte dell’autonomia, ben diversa sia dalla semplificazione populista del separatismo sia dall’inerzia centralistica. L’idea dell’autonomia non comprende le piccole patrie, bensì l’avvicinamento dei cittadini al potere decisionale. Il potere va diffuso orizzontalmente, non attraverso la separazione dagli Stati. Tra l’altro il processo disgregativo avrebbe molte ulteriori conseguenze negative. Col secessionismo molti di questi aspiranti “Stati” possono subire il controllo del malaffare ed inoltre possono perdere in termini di attrazione delle imprese e degli investimenti. Qualcuno sostiene addirittura che la frammentazione dell’Europa come entità politica, istituzionale, economica, è da tempo un obiettivo delle più grandi potenze che manovrano per minare il progetto di un’Europa dei popoli e trasformarla in un centro di potere delle oligarchie finanziarie e multinazionali.
I movimenti indipendentisti garantiscono l’autodeterminazione
L’autodeterminazione è il primo diritto di ogni popolo e di ogni comunità politica. Riconoscere l’autodeterminazione significa consentire a ognuno il diritto di stare “con chi vuole” e “con chi lo vuole” (secondo la nota formula coniata da Gianfranco Miglio). Si tratterebbe di riconoscere uno Stato determinato dalla volontà dei suoi residenti, privilegiando la comune appartenenza a organizzazioni internazionali “significative”. Questo stimolerebbe gli europei ad accostarsi con maggiore interesse, partecipazione e creatività alle questioni riguardanti l’“autodeterminazione dei popoli” senza confidare nel caso e nei rapporti di forza.
Avrebbe, inoltre, l’ulteriore vantaggio di incentivare una concorrenza istituzionale crescente. Secondo alcuni studiosi, infatti, valorizzare i processi di autodeterminazione assicura che l’Europa possa riscoprire le proprie vere radici in un localismo aperto al mercato e alla globalizzazione, scommettendo su piccoli governi in modo da poter avere mercati sempre più interconnessi e sottratti allo strapotere dei governi. L’obiettivo finale sarebbe un’Europa fatta non solo di Stati ma anche di Regioni.
Alcuni studiosi ritengono che nel caso specifico degli attuali movimenti per l’indipendenza manchino le condizioni essenziali per l’applicazione del principio dell’autodeterminazione dei popoli. Affinché sia possibile richiamare l’autodeterminazione devono sussistere due presupposti: il soggetto che aspira all’autodeterminazione deve essere effettivamente un popolo e il governo al potere deve essere un governo non rappresentativo e che discrimina il popolo che aspira all’autodeterminazione. Tali requisiti spesso mancano. Infatti, la maggior parte dei movimenti attribuisce solo questa nozione a gruppi non identificabili come tali. Inoltre, l’autodeterminazione talvolta non è applicabile perché manca anche la condizione di oppressione politica delle minoranze. Ad esempio, le due condizioni non si realizzano nel caso della Padania. Si tratta tutt’al più di una mera espressione geografica e non esiste un popolo padano distinto dal popolo italiano, come non esistono più popoli che coesistano nello Stato italiano.
L’indipendentismo non è conforme alla Costituzione italiana e ai princìpi del diritto internazionale
La rivendicazione da parte dei movimenti indipendentisti può essere considerata una forma di espressione del pensiero e del diritto dei popoli ad autodeterminarsi. Riconoscere a tali movimenti la possibilità di esprimersi attraverso un referendum che non avrebbe ad oggetto modifiche della Costituzione, consente di verificare la volontà popolare in merito al principio di autodeterminazione. Dal punto di vista del diritto internazionale, inoltre, una dichiarazione d’indipendenza (come gli atti prodromici alla medesima, quali la propaganda indipendentista e i referendum) può essere considerata conforme perché non è in contrasto con il principio dell’integrità territoriale e dell’indipendenza politica che è applicabile solamente nelle relazioni internazionali tra gli Stati. La rivendicazione dell’indipendenza è conforme anche alle condizioni del diritto di autodeterminazione. Infatti, la loro revisione ha escluso che la stessa nozione di “popolo” fosse necessaria per ottenere l’indipendenza di nuove formazioni statali e, difatti, hanno ottenuto l’indipendenza e il riconoscimento internazionale paesi totalmente privi di omogeneità etnica.
Dal punto di vista del diritto costituzionale la rivendicazione dell’indipendenza contrasta con i princìpi espressi nella Costituzione, che garantisce l’unità e di conseguenza esclude l’idea di secessione. Il contrasto riguarda l’articolo 5 della Costituzione, che proclama l’unità e indivisibilità della Repubblica. L’indivisibilità della nazione è uno dei princìpi fondamentali della nostra Costituzione.
Per superare questo vincolo è necessaria una forza politica che rompa l’equilibrio costituzionale preesistente. Dal punto di vista del diritto internazionale l’ordinamento prevede il diritto all’autodeterminazione esterna dei popoli, non come regola, ma come eccezione alla regola della stabilità delle frontiere. Il diritto di autodeterminazione esterna è previsto in casi limitati e precisi. Sebbene gli strumenti internazionali (risoluzioni e trattati) che si occupano di autodeterminazione non definiscono la nozione di popolo, questa è intesa dalla pratica internazionale come “gruppo nazionale coeso”. Si tratta di una condizione che manca in molti casi di rivendicazione dell’indipendenza e che, di conseguenza, la rende non conforme a livello costituzionale e internazionale.