Finanziamento pubblico all'editoria
FAVOREVOLE O CONTRARIO?
La questione italiana legata ai finanziamenti pubblici diretti e indiretti all’editoria rappresenta da sempre un punto centrale nel dibattito pubblico del nostro paese.
Da un lato, in molti sostengono l'importanza del contributo pubblico per sostenere le grandi e piccole realtà editoriali, per tutelare la libertà di stampa e favorire l'innovazione e l'occupazione giovanile. D'altro canto, in molti chiedono l'abrogazione dei finanziamenti, considerati come uno spreco di soldi pubblici e una forma di controllo da parte del governo sulla libertà di stampa.
IL DIBATTITO IN 2 MINUTI:
Sui finanziamenti pubblici diretti e indiretti all’editoria c’è da sempre un dibattito aperto. Da un lato chi ne sostiene l'importanza, a supporto delle grandi e piccole realtà editoriali, della libertà di stampa e dell'occupazione giovanile; dall’altro, chi chiede l'abrogazione di tali finanziamenti, considerati uno spreco di soldi pubblici e una forma di controllo del governo sulla stampa.
I finanziamenti pubblici all'editoria riguardano solo il 10% della stampa italiana. Il restante 90% non riceve contributi diretti. Per quanto riguarda i contributi indiretti (agevolazioni telefoniche, spedizioni postali, rimborsi per la carta o spedizione degli abbonamenti), essi sono invece cessati dal marzo del 2010.
I contributi pubblici all'editoria rappresentano non solo uno spreco di denaro per le casse dello Stato ma anche una forma di controllo che il potere esercita ingiustamente a discapito di un campo in cui dovrebbe prevalere la libertà d'informazione e d'opinione. Ciò ricorda quanto avveniva in epoca fascista, quando il regime esercitava la censura sugli organi di stampa.
Il contributo pubblico all'editoria è necessario per tutelare la difesa della pluralità delle informazioni e per salvaguardare le piccole realtà editoriali
I finanziamenti pubblici all'editoria riguardano solo il 10% della stampa italiana, composto dai giornali organi dei partiti politici, delle cooperative di giornalisti, delle minoranze linguistiche, per le comunità italiane all'estero, più i giornali pubblicati da enti di tipo religioso. Il restante 90% non riceve contributi diretti.
Per quanto riguarda i contributi indiretti (agevolazioni telefoniche, spedizioni postali, rimborsi per la carta o spedizione degli abbonamenti), essi sono invece cessati dal marzo del 2010.
Dunque, qualora gli attuali contributi all'editoria fossero eliminati questa decisione non impatterebbe in alcun modo sul 90% dei giornali.
Al contrario, iniziative come il Fondo per il pluralismo e l’innovazione, istituito presso il Ministero dell’Economia (legge n. 198/16 del 26 ottobre 2016, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 255 del 31 ottobre 2016) e finanziato da risorse statali, rappresenta un sostegno importante per il rilancio dell'editoria.
I contributi pubblici all'editoria rappresentano non solo uno spreco di denaro per le casse dello Stato ma anche una forma di controllo che il potere esercita ingiustamente a discapito di un campo in cui dovrebbe prevalere la libertà d'informazione e d'opinione. Ciò ricorda quanto avveniva in epoca fascista, quando il regime esercitava la censura sugli organi di stampa. Finché è il potere a controllare il giornalismo, non accadrà mai il contrario.
Finanziare in modo pubblico l'editoria non rappresenta un veicolo per la tutela della libertà di stampa, ma al contrario un modo per gestire il paese attraverso il controllo dell'informazione.
Nel corso degli anni e delle diverse legislature, il rapporto non è cambiato: il governo utilizza l'editoria attraverso i soldi pubblici per farsi propaganda. Anche questi sono costi della politica che devono essere eliminati.