Politiche di controllo dell'immigrazione
FAVOREVOLE O CONTRARIO?
Il modello europeo di integrazione pacifica fra Stati è messo drammaticamente alla prova dal fenomeno delle migrazioni di massa: la crisi economica europea non ha indebolito l'immagine di un continente ricco e con alti livelli di benessere, mentre sulla sponda opposta del Mediterraneo, in Africa come nel Medio Oriente, gravissimi rivolgimenti politici hanno gettato interi paesi nel caos, spingendo grandi masse di profughi a cercare salvezza in Europa. La pressione migratoria ha portato la politica e la società europea a polarizzarsi in almeno due opposti modi di intendere l'immigrazione: l'approccio securitario, che sottolinea la connessione fra immigrazione, insicurezza sociale e aumento della criminalità, terrorismo di stampo religioso compreso; e quello dell'accoglienza, che sottolinea l'imprescindibilità del valore della solidarietà e della difesa dei diritti umani. Sul piano simbolico, l'approccio identitario insiste sull'inconciliabilità fra opposte culture e religioni, quello dell'interculturalità sottolinea il valore della differenza. La Chiesa invita alla solidarietà. Le difficoltà dell'Unione nel misurarsi col problema delle migrazioni di massa si misurano nella tensione fra le due anime dell'Europa: sarà la sfida tra “populisti xenofobi” e “buonisti di sinistra” a far prevalere quella isolazionista e politicamente autoritaria degli specifici interessi nazionali e della “fortezza Europa”, o quella di un'Europa solidale, democratica, capace di unire.
MEDIATECA
IL DIBATTITO IN 2 MINUTI:
Il modello europeo di integrazione è messo alla prova dalle migrazioni di massa. Gli eventi politici dell’altra sponda del Mediterraneo spingono masse di profughi a cercare salvezza in Europa. Ciò ha portato al polarizzarsi di due posizioni: quella securitaria, che evidenzia il nesso fra immigrazione, criminalità e terrorismo, e quella dell'accoglienza, che sottolinea il valore della solidarietà.
Lo stress dei sistemi di accoglienza di paesi “di confine”, richiedono il superamento degli accordi di Dublino. Le istituzioni europee e i paesi dell'Europa mediterranea insistono per l’obbligatorietà della ripartizione dei migranti in tutti i paesi dell'Unione. Si pensa all’introduzione di sanzioni economiche per i paesi che rifiutino la propria quota di migranti.
Alcuni paesi hanno intrapreso misure unilaterali di controllo dei migranti irregolari a causa delle carenze delle politiche UE. Sanzionare gli Stati che si oppongono ai ricollocamenti dei rifugiati in esubero è un “ricatto” che contraddice lo spirito comunitario. Gli accordi di Dublino vanno mantenuti o deve essere adottato un meccanismo diverso, che non preveda obbligatorietà né sanzioni.
La destra anti-immigrati identifica i migranti con i terroristi: fra di loro si nascondono criminali e fiancheggiatori delle reti del terrore. Mentre l'Europa attua progetti di accoglienza, fanatici religiosi si infiltrano nella società europea. Le fallimentari politiche dell'integrazione producono generazioni di non-integrati che rifiutano la civiltà occidentale pur appartenendovi.
Il ripristino delle frontiere interne all'area Schengen avrebbe ricadute sul sistema economico. La reintroduzione delle frontiere interne causerebbe la perdita fino a 1.400 miliardi di euro nei prossimi dieci anni. Anche il ripristino temporaneo dei controlli avrebbe una ricaduta economica: gli spostamenti dei lavoratori transfrontalieri sarebbero più difficili e si perderebbero posti di lavoro.
L'integrità culturale è invocata in chiave anti-immigrazione: l'immissione di elementi culturali estranei è una grave minaccia ai valori fondativi della società, che andrebbero difesi. L'Europa sabota tali valori, sia con le politiche di accoglienza, che non distingue chi ha diritto all’asilo da chi non ce l’ha, sia con politiche di inclusione nell’Unione di paesi non europei, come la Turchia.
L'Italia rivendica il proprio ruolo di contrasto dell'immigrazione clandestina, pur avendo evitato la raccolta di impronte digitali e l’immissione nel sistema EURODAC di numerosi migranti, permettendo loro di dirigersi verso la Germania e i paesi scandinavi. L'Italia, però, non avrebbe potuto fare altrimenti, vista la mancanza di solidarietà da parte del resto d'Europa.
Gli accordi di Dublino prevedono che l'asilo sia dato dallo Stato di primo ingresso. Ciò causa il sovraccarico di paesi perlopiù di transito, come Grecia, Italia, Malta. Un possibile superamento di tale meccanismo è l'istituzione degli hotspot per l'identificazione e la formulazione della richiesta di asilo in mare, che non vincolerebbe il richiedente a uno specifico territorio.
Il superamento degli accordi di Dublino deve portare a una distribuzione equa sul territorio dell'Unione: bisogna evitare un sistema che favorisca flussi verso mete preferenziali. Non deve essere introdotta la “scelta” del paese. Le identificazioni in mare, inoltre, potrebbero trasformarsi in processi sommari sfocianti in respingimenti e rimpatri illegali.
Gli attori politici europei convergono sulla necessità d’implementare le misure di controllo della frontiera comunitaria, soprattutto del Mediterraneo. L'istituzione di una Guardia Costiera e di Frontiera Europa sarebbe una spinta verso una maggiore integrazione europea. Le carenze dei singoli Stati – soprattutto di fondi – verrebbero così superate a favore di una gestione unificata.
L'Unione affida già il pattugliamento delle frontiere ad un'agenzia terza: Frontex. La creazione di una Guardia di Frontiera comune tocca il tema della sovranità territoriale: l'Unione Europea è un organismo sovranazionale, e ciò solleverebbe questioni di competenza sulla gestione dei confini.
Le politiche “del muro” si sono rivelate inefficaci. Per fermare i flussi migratori irregolari bisogna intervenire nei paesi di provenienza, perché le persone non emigrino, e nei paesi di transito, affinché non collaborino con il traffico illegale. Progetti concreti sono l'incremento di un fondo per l'Africa e l'accordo fra Europa e Turchia sulla gestione dei rifugiati siriani.
Per il fronte anti-immigrazione le somme date a paesi terzi per la gestione dei migranti potrebbero finanziare progetti di sviluppo in Europa. Dubbi sorgono nei confronti dei paesi coi quali si stipulano gli accordi, poiché le garanzie di rispetto dei diritti umani nella gestione dei rifugiati sono non in linea con gli standard europei. In alcuni casi si rischia di finanziare dittature brutali.
La crisi dei migranti ha portato i paesi dell'UE a prendere provvedimenti per arginare i flussi di migranti. L’Ungheria ha annunciato la costruzione di un muro al confine con la Serbia e diversi altri paesi hanno ripreso i controlli doganali. La reintroduzione per periodi limitati dei controlli di frontiera è prevista dagli accordi di Schengen, quindi, dal diritto europeo.
Le azioni unilaterali delle nazioni dell'UE sono respinte nel metodo e nella sostanza. Si è membri di un'Unione politica, con regole comuni non eludibili per esigenze dei singoli Stati. Sono, poi, criticati i singoli provvedimenti: il limite giornaliero alle richieste di asilo introdotto da alcuni paesi sono un escamotage per aggirare i vincoli, in contraddizione con la convenzione di Ginevra.
Non c’è un’emergenza migranti
Il tema dell’immigrazione è stato protagonista delle campagne elettorali dei due partiti di governo, soprattutto di quella della Lega guidata da Matteo Salvini, che ne ha fatto un vero e proprio cavallo di battaglia. Il contratto di governo stipulato da M5S e Lega ha poi sancito la centralità del problema per la squadra giallo-verde. Hanno parlato di una presunta emergenza migranti in Italia il leader polito del M5S, Luigi Di Maio, e il primo ministro Giuseppe Conte. Matteo Salvini, invece, una volta insediatosi al Viminale in qualità di ministro dell’Interno, ha continuato la sua battaglia, scagliandosi contro ONG straniere e Unione Europea.
Per i detrattori della politica messa in atto dal governo M5S-Lega sul tema del controllo dell’immigrazione, in Italia attualmente non si registra nessuna emergenza migratoria. Eugenio Ambrosi, direttore regionale per l'Europa dell'Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (IOM), ha sostenuto questa tesi, presentando dati precisi a riguardo. Carlotta Sami, portavoce dell’Unhcr – Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati – (Cfr., Global Compact for Migration) ha spiegato che le vere crisi migratorie non sono in Europa, ma riguardano Paesi lontani. Enzo Bianco, presidente Liberal Pd ed ex sindaco di Catania, ha attaccato l’operato del ministro degli Interni Salvini nella gestione del caso della nave Diciotti e, più in generale, su tutta la politica messa in atto dal governo in materia di immigrazione.
La riforma del regolamento di Dublino è necessaria per coinvolgere tutti gli Stati membri nella gestione delle politiche migratorie
I sostenitori della riforma del regolamento di Dublino sull’asilo credono nella necessità di redistribuire in modo più equo le responsabilità nella gestione delle richieste tra i vari Stati membri dell’Unione Europea. Fino a ora, infatti, ha prevalso il principio del primo paese d’arrivo, che affidava di fatto a sei Stati più dell’80% delle domande. Per Elly Shlein, europarlamentare di Possibile, è giunto il momento di superare questo criterio ingiusto. La Shlein, dopo il voto favorevole della Commissione Libertà Civili, ha definito la riforma una vera e propria svolta per le politiche migratorie europee. Soddisfatti del primo passo verso la riforma del regolamento di Dublino anche Antonio Tajani, presidente del Parlamento europeo dal gennaio 2017, e Cécile Kyenge, membro della Commissione Libertà Civili, Giustizia e Affari Interni.
Contro la riforma del regolamento di Dublino si sono schierati l’Austria e gli Stati del gruppo di Visegrád (Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia e Ungheria). Viktor Orbán, primo ministro ungherese, l’ha definita un vero e proprio attacco alla sovranità del proprio paese. Sebastian Kurz, politico conservatore austriaco vincitore delle elezioni legislative del 15 ottobre 2017, si è posto su posizioni simili, sostenendo la propria opposizione al sistema di ricollocamento dei migranti proposto nel testo di riforma. In Italia, l’unico partito che ha votato contro è stato il Movimento 5 Stelle, mentre la Lega si è astenuta. L’eurodeputata pentastellata Laura Ferrara ha ben riassunto la posizione del partito in un’intervista rilasciata subito dopo lo svolgimento delle votazioni al Parlamento europeo.
È necessario un meccanismo di sanzioni che disincentivi il rifiuto alla ripartizione dei rifugiati
I paesi che hanno intrapreso misure unilaterali per fermare l'ingresso di migranti irregolari all'interno dei loro territori sostengono che la loro scelta sia motivata dalle carenze delle politiche comunitarie di contrasto all'immigrazione clandestina. Paventare misure sanzionatorie nei confronti degli Stati che si oppongono ai ricollocamenti dei rifugiati (ai quali è stato riconosciuto il diritto alla protezione internazionale) in esubero rispetto alla capacità di presa in carico da parte di una singola nazione (una volta superata del 150% la soglia ottimale di gestione delle presenze, scatterebbe il meccanismo automatico di redistribuzione delle quote, che al momento funziona su base volontaria) rappresenta un “ricatto inaccettabile” che contraddice lo spirito comunitario. Gli accordi di Dublino vanno dunque mantenuti immutati, o deve essere messo allo studio un meccanismo diverso di redistribuzione, che non preveda obbligatorietà e tanto meno multe e sanzioni per chi si sottrae alla condivisione delle quote di migranti.
Il forte stress al quale sono sottoposti i sistemi di accoglienza di paesi “di confine” dell'Unione Europea, quali in primis Grecia e Italia, ma anche Spagna, Malta, e altri interessati dalla cosiddetta “rotta balcanica” richiedono il superamento degli accordi di Dublino sulla gestione dei rifugiati (il rifugiato dovrà essere accolto nel primo paese di ingresso dell'Unione). Di fronte all'inconsistenza dei meccanismi di ripartizione delle quote su base volontaria, ai quali si sono fortemente opposti nel 2015 le repubbliche dell'Europa centro-Orientale come Slovacchia, Ungheria, Austria, le istituzioni europee e i paesi dell'Europa mediterranea insistono per un meccanismo che renda obbligatoria (automatica, una volta superata di una volta e mezza la quantità massima di rifugiati di cui una singola nazione può prendersi cura) la ripartizione dei migranti in tutti i paesi dell'Unione. Per rendere effettivo questo meccanismo, è allo studio la proposta di introduzione di sanzioni economiche per i paesi che rifiutino di accettare la propria quota, che ad un tempo disincentivino i paesi a rifiutare nuovi migranti e finanzino le attività comunitarie di accoglienza con nuovi fondi.
La politica delle “porte aperte” è complice del terrorismo
Uno dei cavalli di battaglia della destra anti-immigrati è quella dell'identificazione dei migranti (in particolar modo, quelli di fede islamica) con le reti del terrorismo internazionale. Se anche non sono tutti terroristi, fra i migranti si nascondono, con la complicità involontaria dei “buonisti” della “sinistra delle porte aperte”, criminali e fiancheggiatori delle reti del terrore. In altre parole, mentre l'Europa si spende in progetti di accoglienza, fanatici religiosi e criminali senza scrupoli si infiltrano nella società europea e finiscono per poter agire indisturbati, pianificando e compiendo attacchi nei vari territori nazionali. Le fallimentari politiche dell'integrazione hanno prodotto, nei fatti, generazioni di non-integrati che rifiutano la civiltà occidentale pur appartenendovi, costituendo un grave pericolo per l'unità della nostra civiltà e un concreto rischio di attacchi e attentati.
La chiusura delle frontiere rappresenta un danno economico enorme
Oltre al valore “simbolico” della chiusura di valichi e frontiere come quella del Brennero, “ponte” tra l'Europa mediterranea e quella settentrionale, le politiche di ripristino delle frontiere interne all'area Schengen mettono a rischio tutt'altro genere di “valori”: quelli economici e produttivi. Secondo alcuni studi, la reintroduzione permanente delle frontiere interne potrebbe portare le economie europee a perdere fino a 1.400 miliardi di euro nei prossimi dieci anni, con cospicui aumenti sul prezzo dei prodotti di consumo, che vedrebbero, col solo rallentamento delle tempistiche di trasporto, un danno paragonabile a un innalzamento del 3% dell'IVA. Anche il solo ripristino temporaneo dei controlli di frontiera avrà la sua ricaduta economica: gli spostamenti dei lavoratori transfrontalieri sono messi in grave difficoltà e il loro volume si è già fortemente ridotto; sono a rischio numerosi posti di lavoro e interi settori produttivi.
L'immigrazione incontrollata porterà all'islamizzazione dell'Europa e al suo crollo
Storico argomento delle destre è quello della difesa dell'identità della nazione e del popolo. L'integrità culturale viene brandita in chiave euro-scettica ed anti-immigrazione: l'immissione di elementi culturali estranei (in particolar modo è avvertita la minaccia della “islamizzazione”, così distante dalle confessioni cristiane europee) è vista come una grave minaccia ai valori fondativi della società, che necessitano una strenua difesa. Difesa alla quale l'Europa non solo rinuncia, ma partecipa attivamente a sabotare, sia con le politiche di accoglienza che non riescono a distinguere efficacemente tra chi ha diritto all'asilo politico e chi non ce l'ha (i cosiddetti “migranti economici”) sia con politiche di espansione dell'Unione che finiscono per includere elementi non-europei, prima fra tutte la Turchia. Le istituzioni europee, identificate in tutto e per tutto con politiche che non tutelano l'identità e l'integrità nazionale dei singoli paesi, sono considerate complici del processo di disgregamento della società europea nel suo complesso e di quelle dei singoli paesi.
Di fronte alle accuse di non fare abbastanza per controllare i flussi migratori che passano sul proprio territorio, l'Italia rivendica il proprio ruolo di contrasto attivo dell'immigrazione clandestina. In questo senso l'Italia riceve importanti riconoscimenti da parte delle istituzioni europee, e in particolar modo da quelle incaricate di monitorare i confini comunitari. La competenza e l'importanza dell'Italia e delle sue istituzioni non elimina comunque il fatto che si sia coscientemente evitato di procedere all'identificazione tramite la presa delle impronte digitali e immissione nel sistema EURODAC di numerosi migranti, cosa che secondo le regole del sistema di Dublino avrebbe dovuto vincolare il richiedente asilo politico alla permanenza nel primo paese d'ingresso sul suolo europeo. Ciò ha permesso a numerosi migranti irregolari di intraprendere la rotta del Nord verso la Germania e i paesi scandinavi, dove le condizioni di accoglienza e di lavoro sono migliori rispetto all'Europa mediterranea, in gravissima crisi occupazionale. L'Italia, viene riconosciuto, non avrebbe potuto comportarsi diversamente, nella completa mancanza di solidarietà da parte del resto d'Europa.
Bisogna superare il sistema di Dublino: bisogna identificare direttamente in mare i richiedenti asilo e distribuirli in tutta l'Europa
Il meccanismo previsto dagli accordi di Dublino sulle politiche di protezione internazionale prevedono che l'asilo debba essere erogato dallo Stato di primo ingresso sul suolo europeo. Questo sistema ha comportato il sovraccarico dei sistemi di accoglienza dei paesi più esposti ai flussi migratori, quali in particolare Grecia, Italia, Malta, che per giunta non sono considerate “mete finali” ma solo territori di transito da parte dei migranti, che puntano a stabilirsi in regioni economicamente più floride, come i paesi scandinavi e la Germania. Una proposta di possibile superamento di questo meccanismo è quella formulata dal ministro dell'Interno italiano Angelino Alfano (Ncd), che prevede l'istituzione degli hotspot per l'identificazione del migrante e per la formulazione dell'eventuale richiesta di asilo direttamente in mare, sulle navi utilizzate per il soccorso marittimo; in questo modo, il richiedente asilo non sarebbe vincolato alla permanenza su un territorio specifico, e scatterebbe più facilmente la redistribuzione dei migranti su tutto il territorio europeo.
Il superamento degli accordi di Dublino deve portare a una distribuzione equa e automatica sul territorio dell'intera Unione di quanti esprimono domanda di asilo: bisogna scongiurare in ogni modo l'ipotesi che possa essere sostituito da un sistema che favorisca flussi verso mete preferenziali, è la preoccupazione dei governi del Nord Europa, caratterizzati da sistemi di welfare che assicurano ai rifugiati alti livelli di benessere. Non sarà introdotta alcuna possibilità di “scelta” relativa al paese in cui ottenere la protezione internazionale, rassicurano i Commissari europei al lavoro per superare il sistema di assegnazione di Dublino.La strategia delle identificazioni in mare porta però con sé un rischio diametralmente opposto: stando alle preoccupazioni di funzionari dell'UNHCR, l'Alto Commissariato ONU per i Rifugiati, i procedimenti di identificazione in mare potrebbero trasformarsi, nei fatti, in processi sommari sfocianti in respingimenti e rimpatri illegali attraverso cui “sbarazzarsi” del peso di troppi richiedenti asilo.
È necessario rafforzare le frontiere esterne dell'Unione Europea
Il punto che mette d'accordo quasi tutti gli attori politici europei intorno al problema della gestione dei flussi migratori è quello dell'implementazione di misure di controllo della frontiera comunitaria. Avanza sempre più la coscienza di come il mediterraneo rappresenti la frontiera di tutta l'Unione, non solo dei singoli paesi che su quel mare si affacciano, e si fa strada l'idea di una gestione unificata della sicurezza di tale “confine d'Europa”. L'istituzione di una Guardia Costiera e di Frontiera Europea, che superi l'agenzia Frontex e i suoi poteri limitati, rappresenterebbe la reazione a politiche di disgregazione, che puntano all'isolamento dei singoli Stati, procedendo nella direzione di una maggior integrazione a livello europeo. Le carenze dei singoli Stati verrebbero così superate a favore di una gestione unificata anche e soprattutto a livello di fondi: le carenze di bilancio di paesi come la Grecia non sarebbero più determinanti nel governo dei flussi migratori provenienti dall'Asia, e i paesi che più spendono per l'accoglienza riceverebbero un concreto aiuto da parte di tutta l'Europa.
Il problema della creazione di una Guardia Costiera e di Frontiera Europea investe direttamente le istituzioni dell'Unione nella sua interezza. L'Unione affida già il pattugliamento delle frontiere e la sicurezza dei confini ad un'agenzia terza, denominata Frontex, incaricata di numerose missioni specifiche e ordinarie nel mar Mediterraneo e nel mar Egeo, come Triton, che subentrò alla operazione Mare Nostrum, messa in atto per tutto il 2014 dalla sola Marina italiana. La gestione comunitaria delle frontiere implica anche la gestione congiunta dei costi delle operazioni, oltre a una maggior spesa per gli Stati non direttamente investiti dai flussi migratori e un alleggerimento del carico per quelli che non possono fare a meno di gestire le situazioni di emergenza, come appunto l'Italia e la Grecia, il cui sistema istituzionale è duramente messo alla prova da una gravissima crisi finanziaria e sociale. La questione della creazione di una Guardia di Frontiera comune non può non toccare il tema della sovranità territoriale: l'Unione Europea è un organismo sovranazionale, e ciò potrebbe sollevare ampie questioni di competenza intorno alla gestione dei confini.
Per fermare l'ondata migratoria bisogna stringere accordi economici con i paesi di provenienza
Le politiche “del muro” si sono in questi anni rivelate inefficaci, andando addirittura a peggiorare il problema che dovrebbero risolvere. Per fermare i flussi migratori irregolari bisogna intervenire nei paesi di provenienza, creando le condizioni perché le persone non emigrino (investimenti e progetti di sviluppo economico-sociale in cambio di garanzie di rispetto dei diritti umani fondamentali), e con i paesi di transito, affinché questi collaborino ad impedire il traffico illegale di esseri umani. Progetti concreti in questo senso sono l'incremento di un fondo per l'Africa – e, in particolare, che contribuisca a stabilizzare la Libia – e l'accordo fra Europa e Turchia sulla gestione dei rifugiati siriani. In cambio di un cospicuo finanziamento, la Turchia si è impegnata, a partire dal 2016, in una corposa ricollocazione dei rifugiati transitati sul proprio territorio e giunti illegalmente in Grecia. Alla chiusura della “rotta balcanica” è seguito l'accordo per la chiusura di quella “mediterranea”: l'Unione Europea si è impegnata a rafforzare le istituzioni che operano per una Libia unitaria, capace di controllare le proprie coste e i propri confini meridionali.
La stipulazione di accordi economici con i paesi di provenienza dei migranti irregolari offre il fianco a due differenti critiche, poste da schieramenti politici opposti. Da un lato, gli euroscettici e i partiti anti-immigrazione sostengono che le ingenti somme offerte a paesi extraeuropei potrebbero essere utilizzate per finanziare progetti di sviluppo che risolvano le difficoltà economiche dei cittadini europei, non di quelli stranieri. Dal fronte opposto, numerosi dubbi sono sollevati nei confronti dei paesi coi quali vengono stipulati gli accordi: nei casi migliori le garanzie di rispetto dei diritti umani nella gestione dei rifugiati sono troppo labili, non in linea con gli standard europei. Nei casi peggiori, invece, si rischia di finanziare direttamente dittature brutali, ai quali l'Europa democratica affiderebbe così il “lavoro sporco” da svolgere lontano dall'attenzione dell'opinione pubblica, come già successo in passato con la gestione congiunta della rotta migratoria italo-libica con il regime di Mu'ammar Gheddafi. Gheddafi, se non altro, offriva almeno la garanzia del saldo controllo della Libia, mentre oggi al-Serraj non governa che una piccola porzione del paese.
L'Europa non fa abbastanza, il ripristino delle frontiere interne è una necessità
L'imponente crisi dei migranti ha costretto numerosi paesi dell'Unione Europea a prendere provvedimenti per arginare i flussi incontrollati di migranti che attraversano i propri territori. Fra i primi ad annunciare la costruzione di un muro al confine con la Serbia fu l'Ungheria, guidata dal partito nazionalista Fidész di Viktor Orbàn, mentre sono ripresi temporaneamente i controlli doganali alle frontiere francesi, tedesche, austriache, danesi, svedesi, norvegesi. La possibilità di reintrodurre per periodi limitati di tempo i controlli di frontiera è prevista dagli accordi di Schengen sulla libera circolazione delle persone, e si trovano dunque all'interno del quadro del diritto europeo.
Se ogni paese fa di testa propria, l'Unione Europea perde di senso: le azioni unilaterali da parte delle singole nazioni facenti parte dell'Unione sono deprecate e respinte per ragioni di metodo e di sostanza. Da una parte, ci si appella all'essere membri di un'Unione politica, con delle regole comuni che devono essere osservate da tutti, e non possono essere scavalcate in nome delle esigenze particolari dei singoli Stati. Dall'altra, vengono avanzate critiche mirate ai singoli provvedimenti: le misure che pongono un limite numerico giornaliero alle richieste di asilo politico introdotte da paesi come l'Austria non sono ritenute rispettose della convenzione di Ginevra sui rifugiati, e sono ritenute essere solo un escamotage per poter aggirare questi vincoli.