Il crocifisso non ha solo un significato religioso, esso rappresenta la cultura e la tradizione italiana

Per Natalia Ginzburg quella croce rappresenta tutti

Natalia Ginzburg, scrittrice e deputata della Camera come indipendente nelle liste del PCI, nel 1988, sul giornale “l’Unità”, scriveva: “Il crocifisso non genera nessuna discriminazione. Tace. È l’immagine della rivoluzione cristiana, che ha sparso per il mondo l’idea di uguaglianza fra gli uomini fino ad allora assente. La rivoluzione cristiana ha cambiato il mondo. Vogliamo forse negare che ha cambiato il mondo? Sono quasi duemila anni che diciamo 'prima di Cristo' e 'dopo Cristo'. O vogliamo smettere di dire così? Il crocifisso è simbolo del dolore umano. La corona di spine, i chiodi evocano le sue sofferenze. La croce che pensiamo alta in cima al monte, è il segno della solitudine nella morte. Non conosco altri segni che diano con tanta forza il senso del nostro umano destino. Il crocifisso fa parte della storia del mondo. Per i cattolici, Gesù Cristo è il Figlio di Dio. Per i non cattolici, può essere semplicemente l’immagine di uno che è stato venduto, tradito, martoriato ed è morto sulla croce per amore di Dio e del prossimo. Chi è ateo cancella l’idea di Dio, ma conserva l’idea del prossimo. Si dirà che molti sono stati venduti, traditi e martoriati per la propria fede, per il prossimo, per le generazioni future, e di loro sui muri delle scuole non c’è immagine. È vero, ma il crocifisso li rappresenta tutti. Come mai li rappresenta tutti? Perché prima di Cristo nessuno aveva mai detto che gli uomini sono uguali e fratelli tutti, ricchi e poveri, credenti e non credenti, ebrei e non ebrei, neri e bianchi, e nessuno prima di lui aveva detto che nel centro della nostra esistenza dobbiamo situare la solidarietà tra gli uomini. Gesù Cristo ha portato la croce. A tutti noi è accaduto di portare sulle spalle il peso di una grande sventura. A questa sventura diamo il nome di croce, anche se non siamo cattolici, perché troppo forte e da troppi secoli è impressa l’idea della croce nel nostro pensiero. Alcune parole di Cristo le pensiamo sempre, e possiamo essere laici, atei o quello che si vuole, ma fluttuano sempre nel nostro pensiero ugualmente. Ha detto 'ama il prossimo come te stesso'. Erano parole già scritte nell’Antico Testamento, ma sono diventate il fondamento della rivoluzione cristiana. Sono la chiave di tutto. Il crocifisso fa parte della storia del mondo” (Natalia Ginzburg, Quella croce rappresenta tutti, “l'Unità", 22 marzo 1988, consultato in “2reggionet.it”).
L’importanza culturale della figura storica di Gesù Cristo supera i confini del cattolicesimo: egli è per tutti (credenti e non) un personaggio storico, morto dopo per aver predicato un messaggio di amore e tolleranza. Molte religioni, pur non riconoscendolo come unigenito figlio di Dio, lo riconoscono come profeta.

Claudio Magris: un’immagine che non può nuocere a nessuno

Anche Claudio Magris, editorialista e scrittore del “Corriere della Sera”, si è espresso in favore del crocifisso, considerato da parte sua l’immagine della sofferenza che non può nuocere a nessuno: “Quella figura rappresenta per alcuni ciò che rappresentava per Dostoevskij, il figlio di Dio morto per gli uomini; come tale non offende nessuno, purché ovviamente non si voglia inculcare a forza o subdolamente questa fede a chi non la condivide. Per altri, per molti, potenzialmente per tutti, esso rappresenta ciò che esso rappresentava per Tolstoj o per Gandhi, che non credevano alla sua divinità ma lo consideravano un simbolo, un volto universale dell’umanità, della sofferenza e della carità che la riscatta”. Per Magris “quell’uomo in croce che ha proferito il rivoluzionario discorso delle Beatitudini non può essere cancellato dalla coscienza, neanche da quella di chi non lo crede figlio di Dio” (Claudio Magris, Il crocifisso, simbolo di sofferenza che non può offendere nessuno, “corriere.it”, 7 novembre 2009).
In favore di questa tesi si sono espressi anche personalità non cristiane, come ad esempio il Dalai Lama, massima autorità del buddhismo, che si è dichiarato favorevole alla presenza del crocifisso nei luoghi pubblici italiani: “È di fondamentale importanza mantenere le proprie tradizioni e l’Italia ha un retroterra cristiano e cattolico” (come riportato nell’articolo di Massimo Zambelli, Dalai Lama e Crocifisso, “orarel.com”, 19 novembre 2009).
Anche Hamza Roberto Piccardo, fondatore dell’Unità delle comunità ed organizzazioni islamiche in Italia, ha dichiarato: “La rimozione del crocifisso dalla scuola di Ofena è una di quelle decisioni che sembra destinata ad andare lontano, a produrre effetti perversi e indesiderati e certamente negativi per quel dialogo cristiano-musulmano che tanto faticosamente si sta cercando di avviare e, più in generale per la qualità della convivenza in questo nostro paese” (come riportato nell’articolo Hamza Roberto Piccardo, Oggi il crocifisso, domani il foulard?, “ildialogo.org”, 28 ottobre 2003). Potrebbe quindi il crocifisso essere una presenza universale che supera le barriere della religione ed ogni dogma? Se così fosse, ciò comporterebbe l’accettazione di esso da parte di ogni alunno, insegnante e genitore. Ma restano ancora dei dubbi sulla sua capacità di influenzare le menti dei giovani scolari. Il crocifisso potrebbe quindi influenzare in qualche modo? La sua presenza in aula è da ritenersi inopportuna? E quali sono le persone che si sentono a disagio in sua presenza? Non hanno ragione coloro che puntano il dito contro i musulmani e gli stranieri: molti loro esponenti, come il già citato Hamza Roberto Piccardo e Souad Sbai, presidente dell’Associazione delle Donne Marocchine e membro della Consulta Islamica in Italia, si sono dichiarati non contrari alla presenza del crocifisso nelle scuole: “Prima che essere un simbolo religioso, il crocifisso rappresenta la cultura, la memoria e l’identità dell’Italia e dell’Occidente. E quando si arretra su questo terreno vi possono essere due pericolose derive: il laicismo e l’estremismo. L’Italia è si uno stato laico, ma il principio di laicità dello stato non deve diventare la bandiera di un laicismo sprezzante della cultura di tutta una civiltà”. (Souad Sbai, Ecco perché l'Europa cancella se stessa, “ilsussidiario.net”, consultato il 23 novembre 2016).
È necessario stabilire cosa s’intende con “laicismo sprezzante”: può la laicità arrivare ad essere estrema e quindi pericolosa ai danni della cultura italiana? Secondo il direttore del “Fatto Quotidiano”, Marco Travaglio, no, in quanto il crocifisso non rappresenta una tradizione o una cultura, ma è portatore di significati ben più profondi: “Se dobbiamo difendere il crocifisso come 'arredo', tanto vale staccarlo subito. Gesù in croce non è nemmeno il simbolo di una 'tradizione' (come Santa Klaus o la zucca di Halloween) o della presunta 'civiltà ebraico-cristiana'. Gesù Cristo è un fatto storico e una persona reale, morta ammazzata dopo indicibili torture, pur potendosi agevolmente salvare con qualche parola ambigua, accomodante, politichese, paracula. È, da duemila anni, uno 'scandalo' sia per chi crede alla resurrezione, sia per chi si ferma al dato storico della crocifissione. L’immagine vivente di libertà e umanità, di sofferenza e speranza, di resistenza inerme all’ingiustizia, ma soprattutto di laicità ('date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio') e gratuità ('Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno'). Gratuità: la parola più scandalosa per questi tempi dominati dagli interessi, dove tutto è in vendita e troppi sono all’asta. Gesù Cristo è riconosciuto non solo dai cristiani, ma anche dagli ebrei e dai musulmani, come un grande profeta. Infatti fu proprio l’ideologia più pagana della storia, il nazismo – l’ha ricordato Antonio Socci – a scatenare la guerra ai crocifissi. È significativo che oggi nessun politico né la Chiesa riescano a trovare le parole giuste per raccontarlo” (Marco Travaglio, Ma io difendo quella croce, “Il Fatto Quotidiano”, 5 novembre 2009).
L’opinione di Marco Travaglio, pur essendo favorevole alla presenza del crocifisso nelle aule scolastiche, risulta essere alquanto originale e fuori dal coro: per lui Gesù Cristo non deve essere trattato come “simbolo tradizionale”, ma come uomo e fatto storico, emblema della sofferenza, della speranza, ma soprattutto di laicità e gratuità. Essendo egli riconosciuto da tutte le religioni (anche se da punti di vista diversi), non v’è motivo di rimuoverlo. Ha citato inoltre il giornalista italiano Antonio Socci che, in un articolo sul suo blog, ha parlato di come i nazisti ed i comunisti nel Novecento tentarono di “scrocifiggere” le scuole e di sradicare gli insegnamenti di Cristo dalla storia dell’umanità, in quanto mal si confacevano ai loro ideali violenti e sanguinari. Non potevano sopportare la vista di quell’Uomo che dalla croce perdonava i suoi sicari (“Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno”). I nazisti tentarono piuttosto di sostituire il crocifisso cristiano con la croce celtica, simbolo esoterico pagano. Socci conclude il suo articolo ricordando che, in ogni caso, il luogo più importante dove la fede in Cristo può albergare è l’animo umano: “Per questo potranno cancellarlo dai muri e alla fine – come accade in Arabia Saudita – potranno anche proibirci di portarne il simbolo al collo, ma nessuno può impedirci di portarlo nel cuore. E questa è la scelta intima di ognuno. La più importante” (Antonio Socci, Quei muri appesi ai crocefissi, “antoniosocci.com”, 5 novembre 2009). Parla di oggetto inoffensivo Massimo Cacciari, filosofo ed ex sindaco di Venezia, in un’intervista rilasciata nel 2006 a “La Repubblica”: “A chi può dare fastidio quella povera figura? Quali libertà può ledere? Ma vogliamo scherzare? Via, un po' di ragionevolezza… Non ha nessun senso voler togliere il crocifisso dalle aule scolastiche, dai luoghi pubblici. Perché sollevare questa questione allora? Dovremmo essere abbastanza maturi per capire che quell' immagine è stata posta sui muri suo malgrado. Se Gesù tornasse tra di noi, il primo a togliere quell'effigie dalle aule certamente sarebbe lui. Ma adesso che è lì, cosa andiamo a togliere noi dai muri? La laicità di uno Stato non si misura dai crocifissi appesi o tolti” (Carlo Brambilla, Contesa inutile, finalmente è finita Gesù è stato un maestro di laicità, “repubblica.it”, 16 febbraio 2016).

 

Silvia D'Orazio, 12 dicembre 2016

Simbolo imposto dal cattolicesimo

Molti, tra le fila di agnostici ed atei, a vedere nel crocifisso un simbolo di morte, di imposizione cattolica, di prepotenza nei confronti delle minoranze, che rinnova il ricordo delle guerre sante in nome di Dio, del terrore del Medioevo, quando si cacciavano le streghe e si perseguitavano gli eretici. Nella croce essi vedono un retaggio culturale cattolico che da secoli s’impone in Italia, un ostacolo al progresso e allo sviluppo. In una nazione aperta, multiculturale e laica, non possono trovare collocazione i simboli religiosi, soprattutto quando se ne sceglie soltanto uno. Nelle aule delle scuole italiane attualmente vi sono bambini di ogni etnia, con le loro radici e le loro tradizioni da rispettare e il simbolo cristiano, unico esposto in ogni classe, potrebbe limitare la loro integrazione. In nome della laicità dello Stato e in difesa di chi non ha fede sono soprattutto i componenti del gruppo UAAR, Unione degli Atei e degli Agnostici Razionalisti, che, partendo dal presupposto che la religione cattolica non è religione di Stato, propongono l’eliminazione del crocifisso dalle aule scolastiche italiane.

 

L’UAAR e l’iniziativa “scrocifiggiamo l’Italia!”

L’UaAAR nasce informalmente negli anni Ottanta ad opera di Rodolfo Costa, Martino Rizzotti, Loredana Ziron, e si pone come obiettivo il raggiungimento dell’effettiva laicità dello Stato Italiano. Si occupa di promuovere dibattiti, convegni e manifestazioni, e si dichiara indipendente da qualsiasi forza politica. In quanto al crocifisso, l’UAAR si dichiara contraria alla sua presenza nei luoghi pubblici, ed ha spesso promosso azioni legali contro le istituzioni che si ostinano a mantenerla. La battaglia più famosa è quella già citata di Soile Lautsi, componente anch’essa dell’UAAR, contraria alla presenza dei simboli cristiani nelle aule della scuola elementare frequentata da suo figlio. In proposito, l’Unione ha lanciato un’iniziativa chiamata “scrocifiggiamo l’Italia!”. In un editoriale della campagna nazionale, si legge: “Quando protestiamo per la presenza del crocifisso negli uffici pubblici, ci viene risposto che è un simbolo universale di civiltà, di pace e di giustizia. Questa è una affermazione falsa ed anche offensiva; basta chiederlo. La riconosce vera chi ha subìto le Crociate, che si chiamano così perché fatte in nome della croce? E un italiano di cultura ebraica? Quando era bambino avrà sentito, per esempio, raccontare dai nonni le storie raccapriccianti di qualche bambino ebreo, del loro tempo, che è stato strappato dai gendarmi pontifici alla famiglia perché qualcuno della servitù lo aveva battezzato di nascosto; l’ultimo caso ben documentato è quello raccontato nel bellissimo libro dello storico David I. Kertzer, dal titolo ‘Prigioniero del Papa Re’ e sottotitolo ‘Storia di Edgardo Mortara, ebreo, rapito all’età di sei anni da Santa Romana Chiesa nella Bologna del 1858’, Rizzoli 1996; alle pagine 81-82 c’è scritto di come fosse impedito al bambino, dopo l’arresto, di indossare la mezuzah e come, al suo posto, gli sia stato messo al collo il crocifisso! Oppure chiediamolo a Giordano Bruno costretto, prima di venire assassinato, a baciare la croce, simbolo universale di civiltà, di pace e di giustizia; evidentemente solo i cattolici fanno parte dell’universo umano e sono quindi degni di tutela nello Stato italiano. Così abbiamo deciso di organizzare una campagna nazionale che abbiamo chiamato Scrocifiggiamo l’Italia! con cui organizzare quelle che finora sono state iniziative isolate e spesso senza seguito. Con l’impegno di tutti gli iscritti speriamo di dare uno scossone a questa Italia che è clericale nonostante ci siano la Costituzione, la ratifica della Dichiarazione dei diritti fondamentali dell’uomo e le sentenze laiche della Corte costituzionale e degli altri organi di giustizia” (Giorgio Villella, Editoriale di lancio della campagna, “uaar.it”, marzo 2000). Tra i membri dell’UAAR troviamo Paolo Scaramuccia, autore del testo “Scrocifiggiamo l’Italia!”, liberamente scaricabile dal sito ufficiale dell’UAAR, e fervido sostenitore di una scuola laica che tuteli la libertà di religione. Scaramuccia si esprime con toni aspri contro la presunta imposizione cattolica in Italia: egli infatti ritiene che l’Italia sia un paese tollerante, aperto alle culture diverse – proprio in virtù della sua storia millenaria e cosmopolita –, ma che si ostina ancora a sottostare a dogmi che nel nostro secolo andrebbero superati. Come srive Scaramuccia nel suo testo: “Per uscire dai ragionamenti faziosi sarebbe utile un dialogo tra tutte le parti 'in causa' per garantire la coesistenza pacifica di tutte le confessioni religiose, coesistenza possibile solo ed esclusivamente in uno stato laico e aconfessionale. Gli uffici e i luoghi dell’esercizio del potere dello Stato devono essere il luogo dove ogni cittadino possa sentirsi libero e garantito pienamente, la scuola poi non deve rischiare di trasformarsi in un luogo conflittuale dove ognuno possa pretendere che i simboli dei propri valori e credenze siano rispettati e riconosciuti come appartenenti all’istituzione medesima. Infatti una cosa è sostenere che il diritto deve garantire la libertà d’espressione di culto religioso, sempre che non ci siano violazioni di norme giuridiche; altra cosa è invece affermare che il diritto, e di conseguenza le istituzioni pubbliche, fanno propri i simboli di tutte le religioni e si prodighino affinché questi vengano tutti ugualmente esposti. Al di là delle dell’impedimento materiale nella realizzazione di un progetto del genere, la difficoltà maggiore sarebbe quella di tutelare da un lato quelle confessioni religiose che trovano blasfeme le immagini di Dio e dall’altro lato gli atei e gli agnostici, categorie che potrebbero considerare l’affissione di questi simboli un affronto alla loro libertà di religione così come è avvenuto proprio con il caso di Padova. Bisognerebbe recuperare il ruolo della scuola come luogo di formazione di ‘cittadini’, dove insegnare e rendere saldi i principi fondamentali del nostro Stato, sanciti nella Costituzione, lasciando l’esplicazione di quelle libertà e di quei principi alla vita privata. Così come nessuno ha mai pensato di esporre simboli politici (almeno in epoca repubblicana), così sarebbe logico non affiggere simboli religiosi, poiché la scuola dovrebbe essere quella zona 'franca', libera da caratterizzazioni di valori e credenze particolari, non un luogo d’indifferenza, ma un luogo d’incontro, di crescita, di formazione, dove ognuno possa esprimersi liberamente e che sia un’espressione personale e non un’espressione dello Stato, per lo più imposta a tutti” (Paolo Scaramuccia, “Scrocifiggiamo l’Italia!”, consultato il 26 ottobre 2016).

 

Altre opinioni contrarie al crocifisso nelle scuole

Tra le file degli atei e di tutti quei personaggi illustri che si sono spesi per la laicità dello Stato vi è la celebre Margherita Hack, astrofisica e divulgatrice scientifica italiana, nonché presidente onorario dell’UAAR, venuta a mancare il 29 giugno 2013. La scienziata atea nel 2009 si esprimeva in favore della sentenza della Corte Europea che il 3 novembre dello stesso anno bocciava il crocifisso nelle aule delle scuole. “MicroMega” riporta un articolo nel quale la Hack in poche righe esprime il suo pensiero libero e laico: “Oggi l’Europa, e l’Italia in particolare, è diventata multietnica e multireligiosa e perciò è giusto che nei luoghi pubblici non vi sia alcun simbolo religioso. Questo principio, che sembra ovvio, è già riconosciuto implicitamente dalla nostra Costituzione, con l’art.7 che recita: 'Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani...' e l’art.8 che recita: 'Tutte le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge...' Quindi tutti i seguaci di un culto, qualunque esso sia, hanno diritto a professare, propagandare e insegnare la propria religione, esporre i propri simboli nei loro luoghi di culto, rispettando la laicità dello Stato, che rappresenta tutti i cittadini. Le reazioni isteriche di chi interpreta questa sentenza della Corte europea come un’offesa a Cristo sono assurde”. Pur rimanendo fedele ai suoi principi, la scienziata non manca di elogiare la figura di Cristo come uomo: “Cristo resta comunque uno dei più grandi personaggi dell’umanità, il primo socialista idealista difensore dei più poveri e diseredati, i cui insegnamenti restano validi, dopo venti secoli, per credenti e non credenti: 'più facile che un cammello passi per la cruna di un ago che un ricco vada in paradiso' e 'Non fare agli altri quello che non vorresti fosse fatto a te'” (Margherita Hack, No al Crocifisso: Principio laico già nella Costituzione, in “MicroMega", il 10 ottobre 2009).
Nel novembre del 2009 anche lo scrittore, giornalista, umorista e sceneggiatore Stefano Benni, esprimeva la sua approvazione della sentenza della Corte Europea, ricordando che il regolamento italiano sull’esposizione del crocifisso nelle aule scolastiche risale ai tempi del fascismo e per questo mal si confà alla nostra società moderna: “I valori su cui si fonda la nostra civiltà, quella italiana e quella europea, sono i valori del pluralismo, della laicità, dell'illuminismo, dell'antifascismo, se vogliamo aggiungerne di moderni, oppure della romanità, e infine della cristianità tutta. Il crocifisso nelle scuole, in alcune scuole, non tutte, era un rimasuglio putrefatto di vecchi accordi tra clero e fascismo, con cui una Europa moderna non deve avere niente a che fare. La rimozione è un simbolo, ma la lotta deve sicuramente andare sul più ampio raggio. Ognuno è libero nella sua religione o superstizione, ma senza imposizioni verso gli altri, senza pretendere di vedere in una religione o superstizione che è la base fondante di una società della quale essa è una componente, in alcuni casi contrastanti. Spero che il governo, anche se di destra e eticista, faccia in modo da rendere più rapida l'applicazione della sentenza di Strasburgo” (Stefano Benni, Quella Croce rimasuglio del passato, in “gdr08-14archivio.forumfree.it”, 6 novembre 2009). Benni ribadisce il suo punto di vista sul crocifisso anche nel suo romanzo Achille piè veloce: “Quanti cristi inchiodati a una sedia o a un letto la gente scavalca, per inchinarsi a un cristo di legno. Quanti sacrifici dimenticati, per ricordarne uno. Se mi facessero entrare in una chiesa, griderei: smettete di guardare quell’altare vuoto. Adoratevi l’un l’altro” (Stefano Benni, Achille pie’ veloce, Feltrinelli, 2005, p. 152).