Le operazioni con i droni sono illegali e avvengono fuori dalla giurisdizione della Nazioni Unite e sotto il controllo diretto della CIA

Legalità della guerra dei droni al terrorismo

I sostenitori e i promotori della strategia degli omicidi mirati con gli aerei a pilotaggio remoto, non solo rimarcano l’efficacia del metodo, il minor costo rispetto alle invasioni e l’assenza di perdite tra l’esercito e i servizi segreti, ma rispondono alle accuse lanciate da varie ONG e da alcuni giornalisti e studiosi, asserendo la totale legalità delle missioni effettuate, comprese quelle in territori come Pakistan e Yemen, controllate e gestite direttamente dalla CIA. Il governo degli Stati Uniti si difende dalle critiche di illegalità degli attacchi affermando che la nazione è in una guerra globale contro un nemico subdolo come il terrorismo, Al Qaeda e altre organizzazioni. Le normali tecnologie militari e i tradizionali conflitti armati sono inutili contro un avversario non convenzionale come i gruppi terroristici, che basano la loro strategia su attentati non prevedibili e su azioni di guerriglia (Alessio Marchionna, Sulla legalità degli attacchi con i droni, “Internazionale”, 24 ottobre 2013). Alessio Marchionna nell’articolo Tutto sui droni, riassume il punto di vista dell’amministrazione Obama riguardo la conformità delle operazioni al diritto internazionale: per giustificare l’uso degli UAV si fa riferimento al diritto all’autodifesa del diritto bellico e all’Authorization for the use of military force against terrorism [Autorizzazione all’uso della forza militare contro il terrorismo, TdR], provvedimento del Congresso del 14 settembre 2001, presentato in conseguenza dell’attentato alle Torri Gemelle del 11 settembre. La norma lascia mano libera al presidente nell’usare qualunque mezzo utile e necessario per perseguire i terroristi responsabili degli attentati. Nell’articolo vengono riportate le parole usate da Harold Koh nel 2010, legale dell’amministrazione Obama, nel discorso all’American Society of International Law [Società Americana di Diritto Internazionale, TdR] che riassumono la posizione del governo americano sulla questione della legalità degli UAV: “Gli Stati Uniti stanno combattendo un conflitto armato contro al Qaida e contro i talebani, in risposta agli orribili attacchi dell’11 settembre. In questo contesto potrebbero decidere di usare la forza in accordo con il diritto all’autodifesa sancito dal diritto internazionale. Il principio è applicabile anche alle operazioni letali condotte con i mezzi a pilotaggio remoto” (Alessio Marchionna, Tutto sui droni, “IlPost”, 4 febbraio 2013). Anche John Brennan, prima consigliere della sicurezza interna e dell’antiterrorismo alla Casa Bianca e ora dirigente della CIA, considera la campagna dei droni contro i gruppi terroristici efficace, etica e legale. Brennan difende gli attacchi missilistici con i droni Predator e Reaper, perché sono più umani dei bombardamenti convenzionali e, nonostante ammetta che degli errori ci siano stati, ritiene questi numericamente molto inferiori rispetto a quello che si pensa. Il giornalista Angelo Paura riporta su “america24.com” le parole del capo della CIA pronunciate davanti alla commissione per i Servizi segreti del Senato, in difesa della legalità della strategia di guerra con gli aerei a pilotaggio remoto “Sono convinto che l'impiego di droni sia legale e importante per mantenere la sicurezza dello Stato” (Angelo Paura, Brennan: i droni sono necessari – Stampa contro i droni: “Troppi segreti”, “america24.com”, 7 febbraio 2013).

Nel 2013 la Casa Bianca, tramite il portavoce Jay Carney, ha replicato alle accuse mosse dall’ONG Amnesty International, che accusa Washington di essersi arrogato il diritto di uccidere al di sopra del diritto internazionale “L’amministrazione diverse volte ha sottolineato la grandissima attenzione nello svolgere le missioni antiterroristiche all’interno delle normative vigenti. Sono attacchi precisi, legali ed efficaci e gli Stati Uniti o le nazioni alleate non compiono omicidi mirati quando c’è la possibilità di catturare vivi i terroristi” (Jay Carney, Press briefing by press Secretary Jay Carney, The White House, Office of the Press Secretary, 2 maggio 2013, TdR).

CIA e droni: il binomio è inscindibile

Per molti la gestione diretta della CIA in determinati contesti come quello delle missioni con gli UAV per individuare e uccidere i capi delle formazioni terroristiche è necessaria. Il rappresentante della Casa Bianca, Bill Burton, ad esempio, si è pronunciato a riguardo, affermando che il governo degli Stati Uniti sta facendo di tutto per difendere i propri cittadini e il controllo della CIA in determinate situazioni rientra in questa strategia. Inoltre, l’agenzia dei servizi segreti si muove all’interno di un piano legislativo e in collaborazione continua con il governo. E, infatti, nonostante le accuse di illegalità per le modalità di redazione delle liste per l’esecuzione degli omicidi mirati in Pakistan e Yemen, la CIA continua a dirigere le campagne con i droni. Anche nella lotta al Isis, in Siria, l’agenzia di intelligence è a capo dei programmi segreti per colpire i militanti al comando della formazione terroristica. Nell’articolo pubblicato da “Repubblica”, il 2 settembre 2015, La Cia a caccia dei leader Is con massiccia campagna di droni viene esposta la strategia in atto contro il nuovo nemico: “Il programma segreto - riporta il Washington Post - rappresenta un significativo coinvolgimento della Cia nella guerra in Siria, con lo schieramento Counterterrorism Center contro un gruppo di militanti che in molti ritengono abbia oscurato al Qaida come minaccia. La campagna mira a ‘target di alto valore’ e riflette l'aumento dei timori dell'anti terrorismo americano sui pericoli posti dall'Is, così come la frustrazione per gli attacchi convenzionali non riusciti finora a indebolirlo”. E’, inoltre, posto in risalto come la CIA si stia trasformando, in queste azioni, da agenzia di servizi segreti a forza paramilitare, nonostante il presidente Obama abbia più volte dichiarato in pubblico di voler far sì che il comando torni sotto il Dipartimento della Difesa. Tuttavia non sono pochi a sostenere l’importanza e l’assoluta necessità della segretezza di alcune missioni e della conseguente inevitabilità della gestione di queste da parte della CIA. Dopo gli attentati dell’Isis a Bruxelles del 22 marzo 2016, si è riaperta la disputa: per molti bisogna armare i droni a disposizione della CIA e lasciare libertà di azione all’agenzia per colpire i leader [capi] dell’organizzazione in Siria e Iraq. Barack Obama, però sembra voler proseguire sulla sua strada e trasferire le azioni dirette con gli UAV ai militari, lasciando ai servizi segreti solo i droni per lo spionaggio. Tuttavia il dibattito negli Stati Uniti è acceso: c’è chi, infatti, ritiene che così si siano già perse più occasioni per uccidere i capi dell’organizzazione. In particolare due senatori, Dianne Feinstein, del partito democratico, e Richard Burr, di quello repubblicano, prima degli attacchi in Belgio, avevano sottoposto all’attenzione del presidente, attraverso una lettera, il problema “Burr e Feinstein hanno inviato la lettera al presidente dopo aver saputo che ci sono state delle occasioni in cui i droni disarmati della Cia hanno rintracciato degli obiettivi da uccidere, senza però poter far nulla; a quel punto, la Cia avrebbe passato le informazioni ai militari, ma nessun drone armato era disponibile per attaccare l'obiettivo” (Droni della CIA per uccidere i leader dell’Isis? Si riapre il dibattito In Usa, “america24.com”, 24 marzo 2016). Per i firmatari della lettera non bisogna limitare l’azione della CIA, ma al contrario, utilizzare tutti i mezzi più efficaci a disposizione per sconfiggere i terroristi dell’Isis.

Poca Trasparenza

Critiche pesanti alla guerra dei droni statunitense contro il terrorismo sono legate ai metodi di selezione degli obiettivi e di gestione delle operazioni. Sotto accusa la poca trasparenza delle operazioni, dirette dal lavoro dei servizi segreti. E’ infatti la CIA a redigere le famose liste di potenziali terroristi e presentarle al presidente, che vi appone la firma finale. In zone particolari come il Pakistan, i servizi segreti americani hanno troppa libertà di azione: la Casa Bianca permette infatti alla CIA di inserire nelle liste e colpire obiettivi anche sulla base di soli comportamenti sospetti e ripetuti (signature strike). Questa situazione pone le missioni in questi territori completamente al di fuori della supervisione delle Nazioni Unite, e teoricamente illegali. Come afferma Alessio Marchionna nell’articolo Cosa ha detto Obama sui droni, pubblicato su l’“Internazionale” del 24 maggio 2013, “soprattutto dopo la nomina di John Brennan alla guida della Cia, l’opinione pubblica statunitense ha cominciato a chiedere in modo sempre più insistente chiarimenti sugli aspetti poco chiari di questa guerra, soprattutto sul Pakistan”. Philip Alston, consulente speciale dell’ONU per le esecuzioni extragiudiziali, considera tali uccisioni mirate crimini di guerra, fuori dal controllo giuridico. L’opinione dell’esperto è decisa: la CIA deve bloccare le uccisioni con gli aerei comandati a distanza. Per Alston l’uso degli UAV da parte dei servizi segreti genera poca trasparenza e una possibile soluzione è quella di passare il comando e il coordinamento delle azioni ai militari, che assicurano maggiori informazioni sul loro operato, perché soggetti al giudizio dell’opinione pubblica. “Il termine omicidio mirato è sbagliato, perché suggerisce l’implicazione di un ruolo marginale della violenza”, sono le parole di Philip Alston, “Il danno collaterale può essere minore rispetto a un bombardamento aereo, ma poiché si elimina il rischio di perdite militari, il loro uso può diventare smodato”. Per Alston, la guida e la supervisione dei droni da parte di operatori che si trovano a migliaia di chilometri dalle aree interessate dai conflitti rischia di generare una “mentalità da playstation” dove si uccide come se si stesse giocando un videogame. “La Cia, in particolare, coordina le operazioni militari dei velivoli comandati a distanza in maniera poco trasparente, non ponendo l’enfasi appropriata sulle regole e sui limiti imposti dal diritto umanitario internazionale”, ha aggiunto il funzionario ONU” (Antonio Mazzeo, In Afghanistan i droni uccidono sempre più civili, “Agoravox”, 7 marzo 2013).

Gli attacchi con i droni violano il diritto internazionale

L’avvocato sudafricano Christof Heyns, relatore delle Nazioni Unite per le esecuzioni extragiudiziali e l’antiterrorismo, non usa mezzi termini per dichiarare illegali gli attacchi statunitensi con gli UAV: “Con l’uso dei droni vengono messi a rischio cinquant’anni di diritto internazionale” (Extrajudicial, summary or arbitrary executions, Assemblea Generale della Nazioni Unite, “justsecurity.org”, 13 settembre 2013). Nicola Colacino in La guerra dei droni e il diritto internazionale: verso una legittima difesa “diffusa e permanente” contro il terrorismo, dopo aver elencato i vantaggi che possono derivare dall’uso della tecnologia del pilotaggio remoto, in termini di risparmio di vite e di denaro nelle operazioni militari, si sofferma sulla poca chiarezza delle normative alla base delle missioni “targeted killing” [omicidio mirato, TdR]. Le accuse maggiori arrivano da ONG come Amnesty International o Human Rights Watch, che denunciano principalmente la mancanza di dati univoci sul numero di missioni e su quello delle vittime civili collaterali. Oltre alle organizzazioni umanitarie, però, vi sono anche contributi di esperti di diritto internazionale, che analizzano l’inquadramento giuridico delle uccisioni mirate con i droni che avvengono fuori da un contesto bellico formale. M. E. O’ Connel, ad esempio, considera l’uso degli aerei a pilotaggio remoto per i bombardamenti illegale perché caratterizzato dall’uso illegittimo della forza armata, oltre i limiti stabiliti dal diritto internazionale (M. E. O’ Connel, Remarks: the resort to drones under internationa law, “Denver Journal of International Law and Policy”, 2011, consultato in “connection.ebscohost.com” il 19 maggio 2016). Sempre Nicola Colacino, nel suo saggio, precisa cosa sia lo “ius ad bellum” e come le missioni mirate degli UAV si rapportino ad esso “Lo ius ad bellum, come detto, disciplina le condizioni del ricorso legittimo all’uso della forza ai sensi del diritto internazionale vigente. Sul punto, è appena il caso di ricordare che la Carta delle Nazioni Unite sancisce l’illiceità della minaccia o dell’uso della forza armata ‘contro l’integrità territoriale o l’indipendenza politica di qualsiasi Stato’ o ‘in qualunque altra maniera incompatibile con i fini delle Nazioni Unite’ (art. 2, paragrafo 4), contemplando come uniche eccezioni l’esercizio del diritto naturale di autotutela in risposta a un attacco altrui (art. 51), ovvero l’autorizzazione concessa dal Consiglio di sicurezza nei casi in cui si renda necessario ‘mantenere o ristabilire la pace e la sicurezza internazionale’ (art. 42). Qualora, pertanto, l’impiego di droni armati ricada all’interno di un formale conflitto tra Stati– impregiudicata ogni valutazione circa la sua riconducibilità a una o all’altra ipotesi sopra richiamata – non sussiste alcun problema dal punto di vista della conformità alle regole dello ius ad bellum. Diverso, invece, è il caso in cui essi vengano utilizzati ‘in tempo di pace’ per le uccisioni mirate di individui appartenenti a gruppi terroristici, sia pure in contesti di transizione o di forte instabilità politica. Per sostenere la legittimità di tali missioni ai sensi del diritto internazionale, sarà necessario, infatti, accertare preliminarmente se la ‘guerra al terrorismo’ condotta dagli Stati Uniti sia riconducibile a una delle due eccezioni al divieto generale dell’uso della forza, ovvero se il ricorso a tale nuova tecnologia militare a controllo remoto sia idoneo ex se a qualificare le missioni anzidette in modo differente rispetto a quelle eseguite mediante mezzi bellici ‘tradizionali’ e a introdurre, per l’effetto, una nuova eccezione al divieto anzidetto” (Nicola Colacino, La guerra dei droni e il diritto internazionale: verso una legittima difesa “diffusa e permanente” contro il terrorismo, “Diritti comparati”, 23 gennaio 2014).

La risposta di Obama

E’ del marzo 2016 la notizia che il presidente Barak Obama, pressato dalle critiche, ha deciso di diffondere, tramite un report, le notizie riguardanti il numero di vittime cadute sotto gli attacchi di droni durante la propria amministrazione. Nel documento saranno inserite, per la prima volta, notizie sulle missioni segrete condotte totalmente dalla CIA in Yemen e Pakistan; non compariranno, invece, dati sulle operazioni in teatri di guerra attivi e convenzionali, come Siria e Iraq, perché protetti dal segreto militare. A riferire le intenzioni di Barack Obama è stata Lisa Monaco, consigliere per la Sicurezza e l’Antiterrorismo, che, nel suo intervento al Council on Foreign Relations [Consiglio sulle relazioni estere, TdR] ha dichiarato “Non solo sappiamo che diffondere queste informazioni è la cosa giusta da fare ma siamo inoltre convinti che questo sia il miglior modo per mantenere intatta la legittimità del nostro programma di antiterrorismo e per ottenere l’ampio consenso dei nostri alleati. L’opinione del presidente è che i cittadini statunitensi e del mondo avranno molta più fiducia sull’efficienza delle nostre misure antiterrorismo se verranno informati correttamente sulle modalità del loro svolgimento” (Obama vuole fare chiarezza sull’utilizzo dei droni militari, “Enciclopedia Treccani”, 16 marzo 2016).

Alessandro De Sanctis, 16/07/2016