L’utilizzo massiccio della ricerca in rete modifica le abilità cognitive. L’assuefazione alla ricerca su Google inibisce la capacità di concentrazione e, a dispetto di una più vasta quantità di dati conoscitivi, diminuisce la profondità con cui il lettore vi si dedica. Il web stimola un tipo di lettura veloce che diminuisce la capacità di interpretare un testo, e cioè di dare significato, a favore della sua mera decodificazione, manipolazione di simboli.
Nell’articolo Is Google making us stupid?, pubblicato su “The Atlantic” il I luglio 2008, Nicholas Carr sostiene che l’uso dei motori di ricerca alteri la modalità di approcciarsi a un testo. Nel dettaglio, le attività che richiedono concentrazione risultano più faticose in quanto è sempre più diffusa l’abitudine alla ricerca veloce: on line “vi sono segnali che evidenziano l’emergenza di nuove forme di lettura: gli utenti del web navigano orizzontalmente tra titoli, contenuti e sommari, cercando l’informazione veloce” [TdR].
Il mezzo di informazione agisce sull’atto conoscitivo stesso, orientando in un certo modo la plasticità delle connessioni neuronali, associando il funzionamento della mente umana ai processi computazionali degli algoritmi di Google.