Qualità e bellezza per l’Italia sono la chiave per il rilancio del prestigio italiano nel mondo

Il naufragio dell’immagine italiana

Il paese che per decenni è stato universalmente riconosciuto come il simbolo dell’arte, della bellezza e del “buon vivere”, negli ultimi anni ha dovuto fare i conti con un progressivo deterioramento della propria immagine sul grande altare della comunicazione globale. E se il declino dell’Italia è stato enfatizzato soprattutto negli anni della crisi economica, sorprende che anche nel periodo precedente il paese sia stato oggetto di critiche costanti, che hanno condotto ad un graduale smantellamento dell’immagine “felice” costruita a partire dal Dopoguerra.

Duri colpi all’immagine italiana nel mondo arrivano già nel 2007, quando diversi organi di stampa internazionale hanno descritto un paese stanco e preoccupato per il futuro. Come riportato nell’articolo Tocca al Times: “Siete un paese vecchio e povero” Prodi: “Singolare, Italia supera Gb nell'export” (“Il Messaggero”, 22 dicembre 2007), “Italia vecchia e in declino. L’impoverimento dei livelli di vita nella Penisola continua ad appassionare i giornali anglosassoni. [...] ‘I giorni di gloria sono finiti e l’Italia si appresta a diventare vecchia e povera’, afferma il Times in un pezzo che occupa una intera pagina e descrive il nostro paese come un posto dove ‘gli standard di vita sono caduti dietro quelli della Spagna e i politici sono vecchi e stanchi’ e quindi ‘adesso i tristi italiani pensano che il loro futuro sia orribile’. [...] ‘il passato è la gloria dell’Italia, ma ne è anche la sua prigione, con la politica e l’economia dominate da una gerontocrazia, mentre gli imprenditori e i politici più giovani sono tenuti a freno’. [...] A giudizio del quotidiano, che cita tra le altre le opinioni di Umberto Eco, Michele Salvati, Gianpaolo Pansa, Francesco Gaetano Caltagirone anche l’arte fa fatica: ‘Sebbene – si legge nell’articolo – ci siano buoni registi, non c’è nessuno che possa essere paragonato a Fellini o Visconti, e Monica Bellucci, con tutta la sua bellezza, non è Sofia Loren (e in ogni caso vive a Parigi)’. Prendendo spunto dal libro ‘La Casta’, il Times si sofferma poi sugli sprechi della politica, con ‘il Quirinale che costa quattro volte quanto Buckingham Palace’ e sottolinea le criticità del mondo del lavoro dove ‘prevale una mentalità di lavoro per tutta la vita’, con posti assegnati ‘non sul merito ma attraverso una rete di favori reciproci e legami familiari noti come raccomandazione (in italiano, NdR) e con scioperi a ripetizione’. ‘Perfino il nucleo familiare italiano – continua il Times – una volta baluardo (con la Chiesa Cattolica) della società italiana, è in declino, con un aumento dei tassi di divorzio, una bassa natalità e l’incremento dei genitori single’, anche se la famiglia ‘continua a rappresentare un rifugio per i giovani italiani’. Il quotidiano punta poi il dito sulla povertà delle famiglie (11%), i costi dell’energia, la forza dell’euro che colpisce l’industria del lusso e la concorrenza dall’Asia sul tessile. Il risultato, conclude il Times citando la ricerca dell’Università di Cambridge, ‘è che gli italiani sono i meno felici d’Europa’”.

L’analisi riprende la disamina ancora più sferzante del “New York Times” che qualche giorno prima, il 13 dicembre 2007, pubblicava un reportage (In a Funk, Italy Sings an Aria of Disappointment) sulla inarrestabile decadenza del Bel Paese. L’autore dell’articolo, Ian Fisher, descriveva il disagio di un paese “in depressione”, citando personaggi molto in vista come Walter Veltroni e l’ex ambasciatore americano Ronald P. Spogli. “In questi giorni, nonostante l’ammirazione del mondo e la sua innata forza, l’Italia sembra aver perso l’amore per se stessa. La parola usata qui è ‘malessere’ o ‘malaise’, che rimanda ad una depressione collettiva – economica, politica e sociale – che va ad accreditare un recente sondaggio, secondo cui gli italiani, a dispetto della loro arte del buon vivere, sono attualmente il popolo più infelice nell’Europa occidentale. ‘È un paese che ha perso un po’ del suo slancio verso il futuro’ spiega Walter Veltroni, sindaco di Roma e possibile candidato per la poltrona di primo ministro nel centro sinistra. ‘C’è più paura che speranza’. […] Nel 1987 l’Italia ha festeggiato l’aggancio all’economia britannica. Ora invece la Spagna può superarla, e l’Italia è precipitata indietro. [...] l’uso di Internet e il commercio online sono tra i più bassi d’Europa, così come gli stipendi, gli investimenti esteri e la crescita. Il numero di pensionati, il debito pubblico e il costo della democrazia sono invece tra i più alti. Gli ultimi dati mostrano un paese più povero e più vecchio [...]. Per di più, preoccupa il fatto che le forze italiane precipitano verso la stagnazione. Le piccole e medie aziende, storicamente legate alla tradizione famigliare, sono in difficoltà nell’economia globale, soprattutto rispetto ai competitor cinesi. E molte nubi avvolgono le stesse famiglie, con il 70% di italiani tra 20 e 30 anni che ancora vivono con i genitori, condannando i giovani ad una lunga ed improduttiva adolescenza. Ed è così che oggi i giovani più brillanti, seguendo le orme dei poveri migranti di un secolo fa, abbandonano l’Italia. La posta in gioco è così alta che Ronald P. Spogli, ambasciatore americano con oltre 40 anni di esperienza in Italia, paventa il rischio di un appannamento del ruolo internazionale e delle stesse relazioni con Washington. […] La burocrazia e la giungla di leggi poco chiare hanno portato gli Stati Uniti a investire in Italia 16.9 miliardi di dollari nel 2004, mentre la cifra per la Spagna arrivava a 49.3 miliardi” [TdR].

Il berlusconismo ha affondato l’Italia

Varie voci nel panorama culturale hanno fortemente contestato il ruolo di Berlusconi nella politica italiana, accusandolo sia di sfruttare il proprio ruolo di presidente del Consiglio per il varo di leggi ad personam, sia di ledere l’immagine del paese con il proprio stile di vita libertino, emerso nello scandalo del Bunga Bunga. Dall’affaire Ruby è emersa una condotta non idonea per un presidente del Consiglio, che ha offeso la dignità delle donne e dell’Italia intera, trascinandola nel baratro finanziario nel 2011. Le manifestazioni “Se non ora quando?” (2010, 2011) e “Ricucire l’Italia” (2011) hanno riunito varie personalità nel mondo della cultura e della società civile a favore di una svolta politica per riabilitare l’immagine dell’Italia nel mondo.
“Se non ora quando?” è nato come movimento femminile sull’onda dell’indignazione per lo scandalo del Bunga Bunga, contro una gestione del potere maschilista e depravata, che considera la donna come un oggetto usa e getta. Tra le sostenitrici del movimento figuravano la regista Cristina Comencini, le scrittrici Silvia Avallone e Michela Marzano, le attrici Margherita Buy, Valeria Solarino, Angela Finocchiaro, Laura Morante, Lunetta Savino, la presentatrice Licia Colò e la cantante Claudia Mori. Come affermò Michela Murgia, durante l’ultimo governo Berlusconi, “sembra di aver assistito ad un film X senza fine. Un interminabile film pornografico in cui tutto si riduce a ‘ripetizione’, ‘performance’ e ‘accumulazione’. In cui uomini e donne sono perfettamente complementari: attività e passività; potere e disponibilità. In cui si moltiplicano le scene dove ‘i maschi si accaniscono su un pezzo di carne femminile’, per usare le parole di John B. Root, il celebre produttore francese di film X, quando descrive la propria ‘opera’. In cui ‘una vale l'altra’, l'una ‘scaccia’ l'altra, e nessuna, in fondo, conta granché. Perché sono solo gingilli intercambiabili. E quando qualcuna non serve più, c'è subito una new entry. Peccato, però, che non si tratti di una semplice fiction” (Michela Marzano, Le donne dicono basta. Se non ora, quando?, “La Repubblica”, 31 gennaio 2011).
L’altra manifestazione, “Ricucire l’Italia”, è stata organizzata dall’associazione di cultura politica “Libertà e Giustizia”, che nel febbraio 2011 chiese pubblicamente le dimissioni di Berlusconi. Vi parteciparono importanti personalità del mondo della società civile, della politica, del giornalismo e della cultura, come il premio Nobel Dario Fo, il presidente emerito della Corte Costituzionale Gustavo Zagrebelsky, lo scrittore Roberto Saviano, gli “ex magistrati Bruno Tinti e Giuliano Turone, il sociologo Marco Revelli, il presidente dell’Anpi Carlo Smuraglia, Claudio Fava di ‘Libera’, il segretario della Fnsi Franco Siddi, i costituzionalisti Lorenza Carlassare e Valerio Onida, i giornalisti Michele Serra, Lirio Abbate” e Marco Travaglio (‘Ricucire l’Italia’: in ventimila a Milano. Dario Fo: “Tutti dobbiamo darci da fare”, “Il Fatto Quotidiano”, 8 ottobre 2011).
Evidentemente, la figura di Berlusconi è andata oltre il mero ruolo politico, creando “un insieme di stili di vita, immagini, ruoli sociali, etiche ed estetiche della sfera pubblica che sono state consapevolmente promosse e sono divenute egemoniche” nella società italiana, ovvero il cosiddetto berlusconismo (Fabio Dei, Pop-politica: le basi culturali del berlusconismo, “Studi Culturali”, anno VIII, n° 3, dicembre 2011). Tale sistema di valori è stato veicolato tramite le televisioni, di cui Berlusconi è proprietario, fondendo la sfera politica con quella del consumo e dello spettacolo. L’antropologo Fabio Dei osserva come nel berlusconismo confluiscano “atteggiamenti e umori che hanno un profondo radicamento storico, dall’anticomunismo all’antistatalismo”, uniti a un contesto internazionale degli anni Ottanta favorevole all’ascesa di Berlusconi: la fine della Guerra Fredda, il predominio dell’ideologia liberista di Thatcher e Reagan, la centralità del consumismo. Inoltre, con il crollo della Prima Repubblica, in Italia si è creato un vuoto politico, prontamente riempito dalla TV commerciale di Berlusconi. La sua politica-pop mescola la sfera formale a quella informale, il discorso serio con l’intrattenimento. Infatti, Berlusconi offriva alle sue donne predilette “indifferentemente una carriera televisiva o una politica: velina o parlamentare, soubrette o consigliere regionale” (ibidem). È in questo quadro che si colloca il vistoso anti-intellettualismo che caratterizza Berlusconi, […] e pare storicamente inedita la convinzione di poter fare del tutto a meno degli intellettuali sia nell’analisi socio-politica sia nella costruzione del consenso”. Showgirl, giornalisti di gossip, cantanti divengono intellettuali, “del tutto separati dalle istituzioni di produzione e riproduzione del sapere (scuola e Università in primo luogo), e dalle politiche pubbliche di promozione educativa e culturale che hanno caratterizzato la modernità” (Ibidem). Il varietà degli anni Ottanta, Drive-In, forse il vero punto di partenza del Berlusconismo, ha associato “il liberismo televisivo all’esplosione dell’erotismo e del desiderio (sia pure declinati in una chiave ironica che li rende per l’autore ancora più subdoli)” (ibidem), una vera rivoluzione rispetto alla tv precedente che “almeno in Italia, era cresciuta sotto lo stretto controllo dello Stato e dei suoi codici morali ed estetici”. La tv berlusconiana diventa “l’espressione culturale della “rivoluzione individualista” della generazione del baby boom, volta a cercare la felicità nell’esperienza privata del consumo” (Ibidem).
Da qui deriva la concezione della donna immagine, dell’insofferenza verso i lacci e lacciuoli, il populismo. Innumerevoli sono le gaffes di Berlusconi che hanno danneggiato l’immagine dell’Italia del mondo: dall”“abbronzatura” dell’allora presidente americano Barack Obama, all’appellativo “Kapò” dato al politico tedesco Martin Schulz al parlamento Europeo, fino alle battute a sfondo sessuale rivolte a varie donne nei talk show e nei comizi. Significativa è in tal senso la rassegna La stampa estera massacra Berlusconi: “Le sue buffonate danneggiano l’intera Eurolandia” (“Il Fatto Quotidiano”, 1 settembre 2011): “‘In passato le buffonate di Silvio Berlusconi hanno danneggiato l’Italia. Oggi rischiano di fare lo stesso con l’intera Eurolandia’. Non usa mezzi termini il Wall Street Journal per giudicare i continui dietrofront che stanno modificando una manovra economica sempre più priva di credibilità. Nel giorno dell’arresto di Tarantini (‘solo l’ultimo degli scandali che hanno accompagnato il premier italiano’ ricorda oggi il Washington Post), la stampa estera si scatena attaccando il governo italiano e la sua testa di ponte. ‘Roma avrebbe bisogno di prendersi una vacanza dalla politica’ titola oggi il principale quotidiano finanziario Usa sottolineando, nel suo commento, l’ampiezza del disastro italiano. ‘L’Europa potrebbe finire per pagare a caro prezzo il teatrino politico italiano’ afferma il WSJ. [...] ‘Un cane ingoia un diamante, un uomo si perfora la testa con un paio di cesoie da giardino e i ristoranti parigini vengono scoperti mentre servono cibi precotti. A giudicare dalle notizie diffuse dalle televisione di Stato gli italiani che tornano dalle loro vacanze possono essere perdonati per il fatto di pensare che nel frattempo nulla sia cambiato – scrive ironicamente il Financial Times – . E in un certo senso hanno ragione. Travolto dagli scandali, il governo di Silvio Berlusconi è ancora nel caos, impantanato nelle dispute sulla forma definitiva che dovrà assumere suo pacchetto di misure urgenti per l’austerity’. [...] Pesantissimi, infine, i giudizi della stampa tedesca. ‘È difficile non cadere nei vecchi pregiudizi dopo aver ascoltato le notizie provenienti da Roma – scrive l’Handelsblatt –. I soliti imprevedibili italiani, estremamente creativi nella loro gestione dei conti, grandi promesse e piccoli risultati’. ‘L’abbandono della tassa di solidarietà finisce per erodere la già debole base sociale su cui poteva contare il governo nel sostegno al suo pacchetto di riforme’ nota invece il Financial Times Deutschland. [...] Le critiche sono condivise da tutti i principali quotidiani, dal progressista Süddeutsche Zeitung (‘la casa è in fiamme e nessuno sta portando l’estintore’) al conservatore Die Welt, secondo cui il governo italiano dovrebbe ‘ritenersi fortunato che la banca centrale europea stia comprando i suoi bond’, una strategia senza la quale gli interessi sarebbero ‘già saliti sopra il 6%’. Peccato però, nota il quotidiano teutonico, che ‘a seguito di queste buffonate di riforme promosse da Berlusconi siano probabilmente destinati a salire’”.

Sempre “Il Fatto Quotidiano” nel dicembre 2012 propone una rassegna altrettanto significativa circa la reazione della stampa internazionale rispetto alla nuova ‘discesa in campo’ dell’ex premier: “A volte ritornano, immancabili come le inquietudini dei mercati. Lo avevamo lasciato nei panni dell’inetto Nerone che suona la lira sullo sfondo di una Roma in fiamme (copyright The Independent) alla vigilia del quasi collasso del Btp. Lo ritroviamo sulla tazza di un water con il marchio ‘scaduto’ e un titolo che è tutto un programma: ‘Zurück nach oben’, in pratica ‘un ritorno a galla’, una risalita. Il tedesco Süddeutsche Zeitung non fa sconti nel dipingere agli occhi dei lettori l’ennesimo ritorno in campo di Silvio Berlusconi. E ancora una volta si ritrova in buona compagnia. Direttamente da Milanello torna Berlusconi, anzi ‘Torna il Bunga Bunga’ sottolinea la Bild. La Frankfurter Allgemeine Zeitung non esita a parlare di ‘farsa italiana’, il Tagesspiegel si spinge a definire Berlusconi ‘der schlimmste Scharlatan der europäischen Nachkriegspolitik’, ‘il peggior ciarlatano del dopoguerra europeo’. [...] I toni non migliorano negli altri paesi europei. Da Liberation (‘Il ritorno della mummia’) a Les Echos arriva il coro di sfiducia d’Oltralpe cui si somma la lunga sequela di bocciature d’Oltremanica. ‘Domenica l’Italia si è svegliata scoprendo ancora una volta come la politica sia un mondo fatto di amari attacchi personali, giochi di prestigio, egoismo e servilismo, il che significa una cosa sola: Silvio Berlusconi è tornato’ scrive il corrispondente del Guardian Tom Kington. ‘L’ultima cosa di cui l’Italia ha bisogno è di tornare a votare per Berlusconi, la cui esperienza di gestore dell’economia è pessima quanto la sua reputazione di organizzatore di feste’ scrive invece il Times” (Matteo Cavallito, La stampa estera: “Berlusconi? Un ciarlatano che terrorizza i mercati”, “Il Fatto Quotidiano”, 10 dicembre 2012).

Il fuoco incrociato della stampa internazionale su Silvio Berlusconi trova il suo zenit nell’aprile 2014, a seguito della decisione del Tribunale di Milano di concedere al leader di Forza Italia l’affidamento in prova ai servizi sociali. Significativa è la rassegna proposta il 16 aprile 2014 da “Globalist.it”, dal il titolo Berlusconi assisterà gli anziani: l’ironia della stampa estera: “‘Non c’è dubbio che un incantatore di serpenti come Berlusconi, esperto nel raccontar barzellette, trarrà il meglio dalla sua situazione guadagnandoci anche un vantaggio personale’, è il commento di El Pais. [...] Per l’International New York Times ‘potrebbe essere un boccone amaro da mandar giù per un uomo abituato a far capriole con donne giovani, a volte molto giovani, aver a che fare con persone della sua età’”.

Nello stesso periodo, suscitarono grande sconcerto le affermazioni dell’ex premier sui lager tedeschi (Francesca Martelli, Berlusconi, altra gaffe: “Schulz? Per i tedeschi i lager non sono mai esistiti”, “tv.ilfattoquotidiano.it”, 26 aprile 2014). Durante la presentazione delle liste di Forza Italia per le elezioni europee, Berlusconi affermò infatti che “per i tedeschi i campi di concentramento non sono mai esistiti. I campi di Katyn, invece, sì; quelli tedeschi, no”. Queste le reazioni più significative, riportate dai quotidiani di tutto il mondo nelle ore immediatamente successive: Jean-Claude Juncker, presidente della Commissione europea, disse: “Le dichiarazioni di Berlusconi mi hanno nauseato. Gli chiedo di ritirarle immediatamente e scusarsi con i sopravvissuti dell’Olocausto e con i cittadini della Germania. [...] Signor Berlusconi, l’Olocausto non è argomento su cui ridere!” (Shoah, Merkel attacca Berlusconi: "Le sue parole assurde". Junker rincara: “Disgustato da sue frasi, chieda scusa", “IlMessaggero.it”, 28 aprile 2014); per Angela Merkel, cancelliere federale della Germania, “Le dichiarazioni sono così assurde che il governo federale non le commenta” (ibidem); “Berlusconi – disse Martin Schulz, presidente del Parlamento Europeo – è sinonimo di odio, invidia e litigio”, e aggiunse: “è ‘scandaloso’ che ‘le stupidaggini’ di oggi siano state dette per vantaggio elettorale, un comportamento che ‘contraddice quello che l'Italia è: un Paese meraviglioso e con un grande popolo’” (Monica Rubino, Nuova gaffe di Berlusconi: “Per tedeschi lager mai esistiti”. Schulz: “Lui uguale odio, invidia e litigi”, ”Repubblica.it”, 26 aprile 2014).

La Costa Concordia simbolo del paese

Un duro colpo all’immagine italiana nel mondo è arrivato la notte del 13 gennaio 2013, con il naufragio della Costa Concordia presso l’isola del Giglio. L’episodio è stato descritto da molti osservatori, sia in Italia che all’estero, come una sorta di rappresentazione simbolica del declino nazionale. “Come il naufragio del Titanic colpì l’immaginario dei contemporanei spingendo alcuni di loro – nella fattispecie Sir Osbert Sitwell – a vedere quel disastro come un ‘simbolo del vicino fato della civiltà occidentale’, così la tragedia della Costa Concordia offre alla stampa un irresistibile paragone con le sorti dell’Italia” (Costa Concordia, il Times: “È il simbolo dell’Italia che affonda”, “Blitzquotidiano.it”, 27 gennaio 2012).

Ad affondare il colpo sulla credibilità italiana è il “Times” che, nell’editoriale di Ben Macintyre, ripreso nell’articolo appena citato, paragona “l’immagine di una nave da crociera squarciata sotto la linea dell’acqua” a quella dello stesso paese di cui batte bandiera, “sommerso dal debito, dall’incertezza politica, da feroci misure di austerità e fragilità dell’economia dopo decenni di folli spese eccessive”.

Particolare attenzione viene dedicata al comandante della Concordia, Francesco Schettino, da molti considerato come una sorta di incarnazione dell’italiano medio. Famoso è in questo senso l’editoriale pubblicato su “Der Spiegel” da Jan Fleischhauer qualche giorno dopo il naufragio (Der Schwarze Kanal: Italienische Fahrerflucht, “Spiegel.de”, 23 gennaio 2012). Come si legge sul settimanale tedesco: “Mano sul cuore: qualcuno si meraviglia che il capitano della Costa Concordia fosse italiano? Si può immaginare che a compiere una manovra di questo tipo, compresa la fuga finale, possa essere stato un tedesco, oppure un capitano della Marina britannica?” [TdR].

Sempre in riferimento a Schettino, lo stesso articolo alza il tiro contro gli italiani: “I tedeschi conoscono personaggi del genere grazie alle vacanze al mare, uomini bravi a gesticolare, a parlare con le mani, persone in genere incapaci di fare del male, tuttavia bisognerebbe tenerli a distanza da macchinari delicati, come si è visto. ‘Bella figura’ è lo sport più popolare in Italia, ovvero impressionare gli altri. Anche Schettino voleva fare una bella figura, ma ha trovato sulla sua via uno scoglio” [traduzione del redattore].

L’articolo, considerato razzista e gravemente oltraggioso verso l’Italia e gli italiani, provocò la reazione dell’ambasciatore Michele Valensise che, in una lettera inviata il 26 gennaio 2012 a “Il Fatto Quotidiano” (Se lo Spiegel ci dà degli Schettino), parlò di argomenti “tanto offensivi quanto infondati”, condannando il tentativo di estendere ad una intera nazione il giudizio riferito ad un solo uomo. “Mi sorprende che un così rinomato giornale come Spiegel Online dia spazio ad affermazioni così volgari e banali. Rammarica soprattutto il fatto che il giornalista, accanto a tanti luoghi comuni, metta sullo stesso piano, senza riguardi, la responsabilità di un singolo individuo e quella di un intero popolo. [...] Perché in questa questione vengono tirati in ballo tutti gli italiani?”.

La scarsa valorizzazione della cultura

L’ultimo governo Berlusconi è stato l’emblema della penalizzazione della cultura, non sono negli usi e nei costumi della classe dirigente berlusconiana, ma anche nella riduzione delle risorse economiche destinate alla cultura.
In questo contesto si colloca l’affermazione dell’ex ministro dell’Economia Giulio Tremonti del 2010, secondo il quale “con la cultura non si mangia”, giustificando così alcuni tagli alle attività culturali nella manovra finanziaria. Nel 2013, in piena crisi economica, la cultura valeva 80 miliardi, il 5,8% del PIL malgrado i tagli (Luigi Franco, Con la cultura si mangia: vale 80 miliardi, il 5,8% del Pil. Nonostante i tagli, “Il Fatto Quotidiano”, 8 ottobre 2013). Nonostante il turismo sia “in forte crescita in Italia” e “gli interventi di restauro e recupero di beni culturali” stiano ripartendo, non c'è da adagiarsi sugli allori poiché c'è ancora molta strada da fare. Lo studio ‘Specializzazione intelligente e patrimonio culturale’, promosso da Confindustria Campania e Fondazione Mezzogiorno Tirrenico, e curato da Srm e Università della Calabria, mette in luce i progressi compiuti e le gravi carenza irrisolte”. Il docente dell’Università della Calabria Domenico Cersosimo chiarisce che “gran parte dell’immenso patrimonio storico-culturale e archeologico è di proprietà pubblica e molti beni non raggiungono soglie di fruitori compatibili con una gestione di mercato. In cifre, più del 70% dei beni ha meno di 5mila visitatori l’anno”. “In questa situazione è di fondamentale importanza il finanziamento pubblico. Ma questo, negli anni è venuto meno a causa di un progressivo disinvestimento in cultura in Italia. La spesa ordinaria si è sempre più impoverita, soprattutto al Sud […] La spesa ordinaria che nel 2000 ammontava a 1,2 miliardi, scende a 500 mila euro nel 2008; e quella per investimenti passa da 1,5 del 2000 a 670 milioni nel 2008” (Vera Viola, Per la cultura pochi fondi e concentrati in progetti “sponda”, “Il Sole 24 Ore”, 19 settembre 2017). Dal 2008 in poi, si è verificato un costante declino della spesa, ad eccezione del 2015, parallelamente alla chiusura del ciclo di programmazione dei fondi europei, la cui gestione comunque presenta varie criticità (ibidem).
Allargando la prospettiva, “ll confronto internazionale risulta impietoso: la spesa primaria per attività culturali e ricreative in rapporto al Pil risulta in Italia – nonostante lo straordinario patrimonio artistico e la ricchissima eredità culturale – decisamente inferiore a quella media dei Paesi Ue” (Salvatore Settis, L’Italia sta tagliando sulla cultura e il Sud: lo dicono i dati pubblicati da Palazzo Chigi, “Il Fatto Quotidiano”, 30 luglio 2017). Ovviamente, il divario è accentuato nel Mezzogiorno d’Italia, in cui gli investimenti hanno raggiunto un livello inferiore allo 0,1% del PIL tra il 2011 e il 2015: “’Il progetto dell'allora ministro Tremonti di svendere il patrimonio demaniale è fallito. Ma non si può cantare vittoria, dato che si continua a svendere i beni pubblici, delegando l'iniziativa a Regioni e Comuni in modo che non si colga il disegno d'insieme”, ha affermato lo storico dell’arte Salvatore Settis a “Repubblica”. Nuove assunzioni e nuovi fondi sono il punto di partenza necessario per qualunque riforma del settore. Perciò non bastano degli stanziamenti economici una tantum, come nel caso degli 80 milioni stabiliti dal ministro uscente dei Beni Culturali Franceschini per alcune grandi opere. Ci vorrebbero, secondo Settis, 800 milioni all’anno. (Dario Pappalardo, Salvatore Settis: "L'Italia Spa è sempre in svendita", “La Repubblica”, 6 agosto 2015).

Intendendo la cultura in un senso più generale, ovvero come “qualsiasi prodotto della creatività artistica che contenga ‘valori estetici, artistici o simbolici’”, la situazione non migliora affatto (Marco Cobianchi, L'Italia butta via un tesoro: non fa affari con la cultura, “Il Giornale”, I ottobre 2017).
“Siamo il popolo che legge meno, e questo si sa. Siamo anche il popolo che spende meno in manifestazioni culturali, e anche questo si sa, ma siamo anche il popolo che non riesce a far fruttare l'inestimabile patrimonio di intelligenza, creatività, storia che gli appartiene e che solo lui possiede. Più in là del consolante ricordo di un passato (molto passato) glorioso (molto glorioso) non va” (ibidem). Considerando gli ultimi dati disponibili relativi al periodo 2006-2015, solo il 5,7% dei beni culturali esportati dai paesi europei verso il resto del mondo è italiano, contro il 32,6% della Gran Bretagna e il 18,1% della Germania, entrambe in vetta alla classifica: “Siamo, insomma, pieni di cultura, ma non riusciamo a farla diventare un ‘prodotto’ vendibile all'estero. La nostra merce resta invenduta. E i riflessi sull'occupazione sono automatici” (Ibidem).

Le meraviglie del Bel Paese

Crisi economica a parte, e a dispetto di una presunta perdita di credibilità internazionale, non bisogna andare troppo indietro nel tempo per trovare dichiarazioni autorevoli che testimoniano la fama di cui ancora oggi gode l’Italia nel mondo.

Accogliendo nel luglio del 2010 nello Studio Ovale l’editorialista del “Corriere della Sera” Paolo Valentino, saggista e corrispondente diplomatico, il presidente degli Stati Uniti Barack Obama si espresse con parole positive nei confronti dell’Italia: “Sinceramente non so a chi non possa piacere l’Italia e chi non sia stato influenzato dalla cultura italiana. Sicuramente considero l’Italia parte di me stesso” (Paolo Valentino, Obama: Turchia a pieno titolo in Europa, “Corriere.it”, 8 luglio 2010). E pochi mesi dopo, il 30 ottobre 2010, è lo stesso Obama, nella serata di gala organizzata dalla NIAF a ribadire il profondo apprezzamento verso il Bel Paese. Dopo aver aperto il suo intervento pronunciando in italiano la frase “Viva l’Italia”, il presidente ha evidenziato il ruolo decisivo del paese nella storia degli Stati Uniti: “Cosa sarebbe l’America senza il contributo dell’Italia e degli italoamericani? Cosa saremmo senza i viaggi coraggiosi di Colombo, Verrazzano e Vespucci? E cosa sarebbero la nostra scienza e la nostra tecnologia senza Da Vinci e Galileo, senza parlare di Fermi? E cosa ne sarebbe del cinema e della musica senza la magia di Capra, o Sinatra, o Sophia Loren, la mia favorita? E cosa sarebbe il nostro sport senza il fegato e la determinazione di Di Maggio, Lombardi e La Russa?” [traduzione del redattore] (Remarks by the President at National Italian American Foundation Gala, “WhiteHouse.gov”, 29 ottobre 2011).

A certificare il primato mondiale del paese dal punto di vista naturale, artistico e culturale è il World Heritage Centre dell’Unesco, che dal 1972 identifica e classifica la lista dei siti che presentano caratteri di eccezionale importanza in questi settori. E proprio l’Italia è il paese che detiene il maggior numero di siti inseriti nella lista dei patrimoni mondiali dell’umanità. Con l’ingresso dei paesaggi vitivinicoli del Piemonte nel giugno 2014, infatti, secondo quanto sostenuto da Roberta Rizzo (Italia da record per i siti Unesco: ora sono 50 i tesori che il mondo ci invidia, “Rainews.it”, 26 giugno 2014) “l’Italia, con i suoi 50 ‘luoghi protetti’, è il Paese che vanta il maggior numero di siti. Non solo. Riesce a distaccarsi ancora una volta dalle inseguitrici, Cina e Spagna, che vantano rispettivamente 45 e 44 siti annoverati nella lista”.

Si tratta di riconoscimenti che trovano vasta eco in ambito internazionale, ripresi dai maggiori organi di informazione stranieri. Molto noto è il servizio dedicato dalla emittente televisiva americana CNN nell’aprile 2014 alle eccellenze italiane: nell’articolo firmato da Jordan Burchette e Silvia Marchetti, 10 things Italy does better than anywhere else, “CNN.com”, aprile 2014 (Dieci cose che l’Italia fa meglio di qualsiasi altro posto [TdR]), oltre ai classici “Pizza, pasta, Verdi, Colosseo e modelle”, si evidenziano tutti quegli aspetti dedicati a coloro che non si accontentano di “mangiare spaghetti, andare all’Opera o visitare le antiche rovine” [TdR]. “Con 7400 km di costa, l’Italia vanta le migliori spiagge d’Europa, con ben 27 parchi marini [...] fare il bagno è come stare nelle acque tropicali, con la differenza che non ci sono squali [...] 248 spiagge italiane sono state premiate con la Bandiera Blu per la pulizia delle acque e della sabbia [...] In Italia è presente l’Etna, il secondo vulcano attivo più grande del mondo, che con le sue spettacolari eruzioni attira più di un milione di turisti nel mondo. [...] L’elenco dei patrimoni mondiali dell’Unesco include l’Etna, insieme ad altri tre vulcani come Lipari e Stromboli, conosciuti come il faro del mediterraneo [...]. Quella che era nata come una semplice fabbrica di auto da corsa negli anni Trenta, è diventata il punto di riferimento del mercato delle macchine: nel 2012 la Ferrari ha venduto appena 7000 auto, ma ha fatturato 3 miliardi di dollari [...] e se da una parte la Lamborghini ora è di proprietà della tedesca Audi, la produzione è ancora tutta italiana. Pagani, Alfa Romeo, Maserati, questi nomi sono pura adrenalina sulle quattro ruote” [traduzione del redattore].

L’omaggio dal mondo della cultura

E se per lo scrittore urbinate Paolo Volponi “L’Italia è sempre il Paese più bello e interessante del mondo: il più creativo e il più vivace; pieno di fervide speranze e di un numero infinito di belle teste pensanti” (Paolo Volponi, Scritti dal margine, Manni, 1994, p. 43), è significativo il fatto che questi stessi giudizi siano rinviati alla prospettiva di letterati stranieri. Come scrive subito dopo l’autore: “Questo, quasi alla lettera, capita di sentirci confidare con affettuosa convinzione dall’intellettuale straniero di passaggio che si incontri non soltanto a cena o a una riunione mondana, e anche da quegli stranieri colti che abbiano scelto di lavorare da noi. Un poeta tedesco molto bravo mi faceva addirittura l’elogio della nostra cronaca nera, cioè della varietà e della ricchezza dei suoi temi e delle sue imprese, come di un tessuto fluente delle nostre culture e delle nostre capacità espressive sia individuali che sociali” (ibidem).

Con un richiamo alla crisi italiana degli anni Novanta, lo scrittore prosegue nella sua analisi di stringente attualità: “Credo che questi interlocutori forestieri colgano una verità profondamente radicata giù per tutte le città e le contrade italiane e che riescano a individuarla e sentirla, pur fra tanti frastuoni, perché la loro analisi e la loro logica, come il loro stesso modo di guardare si svolgono fuori dall’ambiente ‘istituito’, dalle logge basse e celate del potere che domina il nostro Paese. Essi sentono e vedono la nostra vivacità umana e storica, più della incertezza e della paura che tremano e tramano sotto quelle logge. Non curano poi tanto i messaggi frenetici che si scambiano i nostri finanzieri ed economisti, le giaculatorie dei nostri governanti, lo sconsolato gesto degli imprenditori, anche quelli più illuminati, davanti all’‘assurdità’ di un cosiddetto nuovo modello di sviluppo, perché vedono che gli italiani sanno ancora serenamente lavorare e vivere, inventare e discutere, animare con passione sociale sempre nuova, differente posto per posto” (ibidem, p. 44). Sempre dal mondo della letteratura, un elogio più recente all’immagine dell’Italia nel mondo arriva dall’archeologo e filologo belga Louis Godart, docente di Filologia micenea presso l’Università Federico II di Napoli e consigliere per la Conservazione del Patrimonio Artistico dell’ex presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Nel volume Italia: il Paese più bello del mondo, Godart compie una sorta di viaggio ideale tra i capolavori noti e meno noti delle venti regioni italiane, arricchendo il suo studio con una antologia di brani dedicati al Bel Paese da alcuni tra i suoi più autorevoli visitatori. L’opera è impreziosita dalla presentazione del presidente emerito della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi, in cui si intende celebrare agli occhi del mondo “Il paese della bellezza” a 150 anni dall’Unità d’Italia: “Per la verità non vanto alcun titolo specifico per siffatto compito, se non quello di essere italiano; un italiano che ama appassionatamente il suo paese; che ne è fiero. Orgoglioso di quello straordinario concentrato di bellezze naturali, artistiche, culturali chiamato Italia. Louis Godart ci accompagna lungo un suo personale, originale itinerario, tracciato con fine sensibilità, con erudizione robusta, scevra di pedanteria. La lievità del tocco, la prosa piana e accattivante, dove la citazione si affaccia discreta e insieme ricca di suggestioni sono il Baedeker consegnato al lettore che si accinge a intraprendere, attraverso la splendida iconografia del volume, il suo grand tour. Nell’itinerario offerto da Godart i sentieri dell’arte e quelli della letteratura spesso si intersecano; talora corrono paralleli; in molti punti si sovrappongono, di talché in questo divenire dell’Italia nei secoli, non si distingue tra pittura e poesia, tra architettura e prosa” (Carlo Azeglio Ciampi, Presentazione a Louis Godart, Italia: il paese più bello del mondo, FMR, 2010, pp. 7-8).

Al di là di qualche perplessità sul mondo politico, secondo molti intellettuali stranieri la vocazione alla bellezza rappresenta la risorsa più importante dell’Italia contemporanea. In questi termini si sono infatti espresse alcune personalità intervenute al Festival di Internazionale a Ferrara, un simposio di giornalisti, scrittori e artisti provenienti da tutto il mondo. Il giornalista statunitense Joshua Foer, in occasione dell’edizione 2013 del Festival, disse, nel corso del suo intervento: “Lo so che succedono cose strane […] ma se venite nel mio Paese vedrete che anche lì ne capitano. Temo sia un problema universale” (L'Italia vista dall'estero: parlano gli scrittori stranieri. Le opinioni di Rebecca Solnit, Joshua Foer e Candrahas Choudhury, “DailyMotion.com”, 12 ottobre 2013).

La dolce vita

L’Italia è anche il paese scelto dalle più importanti star del cinema internazionale per vivere, lavorare o trascorrere lunghi periodi di ispirazione e riposo. Molto noto è per esempio il fortissimo legame tra il regista americano Martin Scorsese e il cinema italiano. Scorsese individua proprio nel passato i presupposti fondamentali per un grande futuro. In occasione delle celebrazioni per il cinquantesimo anniversario del film La dolce vita, con la proiezione a Roma della versione restaurata del capolavoro di Federico Fellini, Scorsese ha tracciato un quadro molto positivo della situazione italiana, spaziando dal cinema alla cultura. Nelle sue parole, non è difficile rintracciare quel filo rosso che, un po’ in tutti i settori, lega un passato glorioso ad un futuro ancora ricco di prospettive: “A mio giudizio esistono i film ‘prima’ La Dolce vita e i film ‘dopo’ La Dolce vita: ha rotto l’unità delle regole della narrazione grazie alla sua audacia, ha mostrato che sullo schermo si poteva essere onesti. Non si era mai vista un’opera di tale intensità morale, intelligenza, maturità. Ha cambiato la storia. [...] Penso che le cose non siano poi così cambiate, da quando Fellini ha sbattuto in faccia a tutti noi il suo capolavoro. [...] Recentemente ho visto pellicole interessanti, come quelle di Vincenzo Marra, o Gomorra di Matteo Garrone, o Io sono l’amore di Luca Guadagnino. Sono autori interessanti, che possono ispirarmi, che cercano un nuovo stile. Bisogna incoraggiarli: perché danno speranza. Anche a un autore come me” (Claudia Morgoglione, Scorsese e il "miracolo" Dolce Vita. “Con la sua audacia cambiò la storia”, “Repubblica.it”, 30 ottobre 2010).

Sempre nel mondo del cinema, ben nota è la passione per l’Italia dell’attore e regista americano George Clooney, che in diverse occasioni ha lodato pubblicamente l’Italia. In un’intervista al tabloid britannico “The Sun”, commentò così nel 2010 la sua vita in Italia e la decisione di trasferirsi in una villa sul lago di Como: “Ciò che ha cambiato la mia vita in maniera inattesa e piacevole è stata la decisione di acquistare una villa a Laglio. Quello che inizialmente era stato un semplice investimento economico – pensavo che magari avrei speso al massimo qualche settimana di vacanza lì – in realtà nel tempo si è trasformato in qualcosa d’altro. In seguito ho infatti capito quanto è bella la vita in Italia e soprattutto quanto mi aiutasse per stare bene e non sentirmi sotto pressione” [traduzione del redattore] (Clooney: “Italy move changed my life”, “Star-Magazine.co.uk”, 2 settembre 2010).

A evidenziare il ruolo fondamentale del cinema per l’immagine internazionale dell’Italia è il ministro dei Beni e delle Attività culturali e del Turismo, Dario Franceschini: “Un risultato straordinario, l’Italia continua ad attrarre e affascinare tutto il mondo del cinema offrendo location uniche nelle città, nei borghi e gli stabilimenti di Cinecittà che, dopo un periodo buio, sono tornati a ospitare produzioni internazionali di grande livello. I film ambientati in Italia sono il più straordinario strumento di promozione turistica e di rilancio dell’immagine dell’Italia nel mondo. Un film che mostra la bellezza italiana vale da solo come migliaia e migliaia di spot pubblicitari a pagamento in tutte le tv del mondo” (Franceschini, da remake Ben Hur a 007, tornano major a Cinecittà, “Agi.it”, 23 novembre 2014).

 

Art-bonus

Il ruolo fondamentale dell’arte e della cultura per l’immagine del paese nel mondo è stato rilanciato anche sul piano legislativo grazie ad una iniziativa dello stesso ministro Franceschini, che nella primavera del 2014 ha promosso il cosiddetto “Art-bonus”. Il provvedimento, che contiene una serie di misure per favorire gli investimenti nel settore culturale, con incentivi importanti per il cinema e il turismo, prevede disposizioni straordinarie anche per accelerare la riqualificazione di Pompei e dei siti archeologici in situazioni critiche. Dopo l’approvazione senza voti contrari del decreto in Parlamento nel maggio 2014, lo stesso è stato convertito in legge il 29 luglio 2014. Come si legge in una nota pubblicata il 30 ottobre 2014 sul sito del Ministero dei Beni e delle Attività culturali, “L’approvazione definitiva da parte del Senato del decreto proposto dal Ministro dei Beni e delle Attività culturali e del Turismo, Dario Franceschini, introduce novità significative per il settore, a cominciare dall’Art-Bonus, che prevede la deducibilità del 65% delle donazioni devolute per il restauro di beni culturali pubblici, le biblioteche e gli archivi, gli investimenti dei teatri pubblici e delle fondazioni lirico sinfoniche, fino ad arrivare alle agevolazioni fiscali per favorire la competitività del settore turistico attraverso la sua digitalizzazione e la ristrutturazione e riqualificazione degli alberghi. Tra le maggiori innovazioni le misure per Pompei, la Reggia di Caserta, il recupero delle periferie, le semplificazioni amministrative in campo turistico, le foto libere nei musei, il riesame dei pareri delle soprintendenze, la Capitale italiana della Cultura”.

“Grazie al positivo contributo di Deputati e Senatori – ha continuato Franceschini – il decreto Cultura e Turismo è ora legge, con alcune migliorie significative al testo originale frutto del dibattito parlamentare. Finalmente anche in Italia ci sono strumenti fiscali adeguati per sostenere la cultura e rilanciare il turismo. Questa legge abbatte due barriere: quella del rapporto tra pubblico e privato e quella della separazione tra la tutela e la valorizzazione che per troppo tempo hanno monopolizzato il dibattito italiano. Adesso non ci sono più scuse: veniamo da anni di tagli, è arrivato il momento di investire” (Il decreto cultura è legge. Franceschini: è arrivato il momento di investire in cultura e turismo, “BeniCulturali.it”, 30 ottobre 2014).

Il veicolo culturale

L’idea che la cultura rappresenti un settore determinante per veicolare l’immagine italiana, essendo tra l’altro portatrice di importanti risvolti economici, pare largamente diffusa nel paese. Come testimoniato dai risultati di una ricerca del Censis, promossa dalla Fondazione Marilena Ferrari nel 2012, il 41,3% degli italiani si dice convinto che il principale motivo di speranza per l’Italia sia riconducibile proprio al fatto di essere il “paese più bello del mondo”. La ricerca, intitolata Il valore economico della bellezza in Italia, quantifica in 74 miliardi di euro il cosiddetto “valore aggiunto” frutto del “bello” del Made in Italy. A illustrare i risultati dello studio è Andrea Carli, giornalista de “Il Sole 24 Ore”: “Il bello non è solo qualcosa di piacevole a vedersi. È anche un asset economico, che pesa sulla produzione di ricchezza nel nostro paese per circa il 5,4%, vale a dire che ogni anno il valore aggiunto prodotto dalla bellezza è pari a 74,2 miliardi di euro. Un ‘settore’, osserva il Censis, che dà lavoro a un milione e trecentosettanta mila persone. Insomma: scrivi bellezza, leggi crescita. [...] La bellezza, riconosce il Censis, traina alcuni settori, si pensi, ad esempio, all’alimentare: l’incremento, in questo caso, è di circa il 5% del valore aggiunto prodotto, vale a dire poco più di 2,3 miliardi di euro. L’arricchimento è più rilevante nell’abbigliamento, dove la bellezza contribuisce a creare circa 3 miliardi di valore aggiunto o, ancora, nel calzaturiero con 2 miliardi prodotti ogni anno, per un valore complessivo, insieme al tessile di 6,8 miliardi. Un contributo non trascurabile viene dato anche nell’industria meccanica (5,4 miliardi), dove belle automobili e begli elettrodomestici hanno permesso all’Italia di competere sui mercati internazionali e di riequilibrare una minor competitività sul piano dei costi e a volte anche sul piano tecnologico. [...] In tutto questo, non bisogna dimenticare che la bellezza pesa per il 100% dell’intero comparto dei beni culturali, che da solo vale più di 17 miliardi: dal turismo culturale, ai musei, alle mostre, agli alberghi e ai ristoranti delle città d’arte” (La ricetta del Censis: far circolare più bellezza per rilanciare il made in Italy e dire addio alla recessione, “IlSole24Ore.com”, 11 luglio 2012).

L’articolo di Carli sul più importante quotidiano economico italiano si chiude citando le significative parole degli stessi curatori della ricerca: “L’arte e la bellezza […] devono ricominciare a circolare, a innervare il Paese, a ispirare non solo gli addetti del settore, ma anche gli imprenditori, i commercianti, il mondo della comunicazione, deve tornare ad essere la molla del Paese, dobbiamo tornare a competere con la bellezza. Forse l’abbiamo usata troppo, logorandola un po’, ma […] ora bisogna dare forza a chi sa produrla”.

Economia e made in Italy

La tutela del made in Italy come strumento fondamentale per il consolidamento anche economico del paese è stato al centro del progetto formativo La tua idea per l’Italia, ideato dall’Associazione Cultura Democratica in collaborazione con il Senato della Repubblica. L’iniziativa, finalizzata a promuovere la partecipazione dei giovani al dibattito pubblico e il dialogo con le Istituzioni democratiche, si è tenuta nella Sala Koch di Palazzo Madama il 14 novembre 2014.
Alla conclusione dei lavori, significativo è stato l’intervento del presidente del Senato, Pietro Grasso: “La tutela del ‘made in Italy’, tradotta in un progetto legislativo nazionale e in una proposta di direttiva europea per l’istituzione di un marchio di qualità, volto a valorizzare il prodotto italiano e a fornire indicazioni più chiare a tutela del consumatore, è un tema centrale per la nostra economia e può tradursi in un sostegno alla ripresa economica e quindi ai livelli di occupazione” (Grasso, tutela ‘made in Italy’ per rilanciare l’economia, “Ansa.it”, 14 novembre 2014).

Nella stessa occasione, il presidente del Senato ha sottolineato la necessità di tutelare al meglio l’alta qualità del prodotto italiano, andando al contempo a valorizzare la creatività e la produttività degli operatori: "D’altra parte non dobbiamo nasconderci che quando, nel recente passato, si è cercato di porre in essere strumenti giuridici volti alla tutela dell’alta qualità del prodotto italiano rispetto alla concorrenza – non solo nel settore agroalimentare ma anche tessile, della moda, eccetera – ci si è scontrati duramente con la visione più estrema del principio della libera circolazione delle merci [...]. L’idea quindi di collaborare per trovare una proposta, che si spera possa essere risolutiva, che valorizzi la creatività e la produttività italiana pur nel rispetto del libero mercato, ha dimostrato da parte vostra la volontà di misurarvi e di vincere una sfida davvero ardua”.

Alberto Angela e le meraviglie d’Italia sempre più visitate

Un importante ruolo nella promozione del patrimonio culturale l’ha avuto la trasmissione “Meraviglie”, quattro prime serate Rai condotte da Alberto Angela, alla scoperta di dodici siti UNESCO, da Nord a Sud: “Più di 15mila chilometri, dal sud al nord dell'Italia passando per Agrigento, Assisi, Siena, Matera, Alberobello, Cerveteri e Milano”. Angela ha dichiarato prima dell’inizio della trasmissione: "Il mio obiettivo […] è quello di scuotere gli italiani, che sanno benissimo di vivere in un Paese ricco di meraviglie ma non se ne vantano mai. Questo programma deve essere uno specchio per gli Italiani, devono vedere quanto siamo belli". “Si tratta di un viaggio che ci rende orgogliosi di quello che siamo e quello che abbiamo, perché la meraviglia è nel nostro dna e ci lasciamo cullare dalla sintonia della cultura. Il patrimonio artistico del nostro Paese non solo è quello più ricco, ma è anche distribuito in ogni regione e abbraccia tutti i periodi storici. Il merito di tanta bellezza è tutto nostro, dei nostri padri" (Greta di Maria, Alberto Angela racconta le nostre 'Meraviglie'. E a Repubblica dice: "Vantiamoci dell'Italia, penisola dei tesori", “La Repubblica”, 5 gennaio 2018). L’intento è perfettamente riuscito: Angela ha generato un boom di ascolti (23%), tra i quali molti giovani. Il successo del programma coincide anche con l’uscita dei dati definitivi sugli incassi dei musei nel 2017: sono stati superati i 50 milioni di visitatori “e incassi che sfiorano i 200milioni, ‘con un incremento sul 2016 di circa 5 milioni di visitatori e di 20 milioni di euro’”. “I cinque luoghi della cultura Mibact più visitati si confermano Colosseo (oltre 7 milioni), Pompei (3,4 milioni), Uffizi (2,2 milioni), Accademia di Firenze (1,6 milioni) e Castel Sant'Angelo (1,1 milioni)”. Il ministro uscente Franceschini rivendica i risultati della propria riforma dei musei: “dai 38 milioni del 2013 ai 50 milioni del 2017, i visitatori sono aumentati in quattro anni di circa 12 milioni (+31%) e gli incassi di circa 70 milioni di euro (+53%)” (Musei da record: 50 milioni di visitatori e 200 milioni di incassi, “Il Sole 24 Ore”, 6 gennaio 2018).
I crolli nel sito archeologico di Pompei sono un lontano ricordo: ora è il secondo sito culturale più visitato in Italia e un modello per la gestione delle risorse pubbliche. Trenta edifici dell'antica Pompei “sono stati restaurati e restituiti alla fruizione del pubblico grazie al Grande Progetto Pompei”, “che prevede finanziamenti complessivi da 105 milioni di euro” (Pompei: Restaurati 30 edifici, verso nuovo record visitatori, “Ansa”, 4 luglio 2017).
Non stupisce, quindi, che la rivista americana “US news” abbia collocato proprio l’Italia al vertice della classifica 2017 dei paesi più influenti al mondo per cultura, scalzando dal podio la Francia, al primo posto nel 2016 (Best Countries: Cultural Influence, “US News”, 2017).