I rom vivono al di sopra della legge: rifiutano scuola, lavoro e tasse

Rom e legalità

A prescindere dal fatto che si parli di popolazioni romaní stanziali, già presenti sul territorio italiano da secoli, oppure di gruppi nomadi giunti negli ultimi anni dai paesi dell’Est Europa, persiste nell’opinione pubblica la convinzione che in tutti i casi si tratti di realtà estranee al sistema dei diritti e dei doveri. In sostanza, sotto l’ombrello comune dei cosiddetti zingari ricadrebbero popolazioni abituate a vivere al di sopra della legge e prive di coscienza civile. In particolare, settori come il lavoro, la sanità, la scuola, gli alloggi e il fisco sono generalmente rappresentati come estranei alle comunità rom, senza tenere conto però della complessa architettura storica e culturale che caratterizza tali popolazioni.

Lo studio di Thomas Hammarberg

Uno dei più recenti tentativi di sintetizzare un fenomeno complesso, nell’ottica di una inclusione sociale necessaria e volta al superamento delle fratture in settori decisivi come quelli menzionati, arriva da Thomas Hammarberg, commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa dal 2006 al 2012 e curatore della ricerca Diritti umani di rom, sinti e popolazioni viaggianti in Europa. Nella sintesi del rapporto, i relatori partono dalle complesse vicende storiche che hanno segnato indelebilmente la mancata integrazione dei rom in Europa. Dalle persecuzioni naziste al mancato riconoscimento del genocidio al termine della seconda guerra mondiale, per non parlare di deportazioni, ingiustizie e discriminazioni perpetrate sin dal medioevo, sono innumerevoli i riferimenti storici che testimoniano il rapporto conflittuale delle comunità locali con popolazioni definite zingare e mai accettate fino in fondo. Da qui, come evidenziato nel rapporto: “Non sorprende che molti Rom continuino a considerare le autorità come una minaccia. Quando viene chiesto loro di registrarsi o vengono prese le impronte digitali temono il peggio, un atteggiamento che risulta anche più comprensibile quando spiegano di vedere una somiglianza tra gran parte della retorica anti Rom dei nostri giorni e il linguaggio utilizzato in passato in Europa da nazisti, fascisti ed altri estremisti” (Thomas Hammarberg, a cura di, Diritti umani di Rom, Sinti e popolazioni viaggianti in Europa, “coe.int”, febbraio 2012, p. 3).
Il collegamento quasi automatico messo in atto dai più tra questa comunità ed attività illecite, secondo la ricerca sarebbe un esito quasi scontato, visto che “nella maggior parte dei Paesi le persone marginalizzate dalla società e indigenti sono sovrarappresentate nelle statistiche della criminalità. E’ anche vero che tendono ad essere svantaggiate nei sistemi giudiziari, un fattore che ha sua volta ha un forte impatto sulle statistiche. Questi problemi non costituiscono tuttavia in alcun modo una scusa per la stigmatizzazione di tutti i Rom, la cui stragrande maggioranza non ha problemi con la legge” (ibidem, p. 4). A rendere più complicati i rapporti con la legge, secondo lo studio, ci sono anche le cattive relazioni con le forze dell’ordine: “I rappresentanti dello Stato che hanno principalmente rapporti con i Rom sono i poliziotti. [...] durante le mie missioni sono rimasto colpito dai segnali che indicavano l’esistenza di cattive relazioni tra comunità Rom e polizia in diversi paesi. Molti Rom hanno raccontato casi concreti in cui la polizia ha fallito nel proteggerli contro gli attacchi di estremisti. Ci sono casi anche peggiori in cui sono stati gli stessi funzionari di polizia a dare inizio alle violenze” (ibidem, p. 4). Come se non bastasse: “Le segnalazioni ricevute da ogni parte d’Europa dal Commissario indicano una tendenza alla discriminazione e al maltrattamento di Rom, Sinti e popolazioni viaggianti da parte della polizia. I Rom sono stati soggetti alla violenza della polizia sia nelle strutture di detenzione sia negli spazi pubblici, come gli insediamenti dei Rom in occasione delle irruzioni della forza pubblica. In diversi casi, quando sono state avviate indagini su tali episodi, si è proceduto in modo palesemente prevenuto o discriminatorio” (ibidem, pp. 8-9). In tal senso: “il Commissario ha notato che la giurisprudenza costante della Corte europea dei diritti dell’uomo (la Corte di Strasburgo) indica chiaramente che gli Stati membri sono obbligati a condurre indagini efficaci sulle possibili motivazioni razziste presenti in queste situazioni”, e tutto questo dovrebbe essere finalizzato a “migliorare la fiducia di Rom, Sinti e popolazioni viaggianti nelle forze dell’ordine” (ibidem, p. 9). Un altro aspetto molto controverso nei rapporti con la legge riguarda la sorveglianza: “I Rom non devono essere soggetti a forme di sorveglianza diverse da quelle previste per il resto della popolazione. [...] La polizia deve essere appositamente formata su queste tematiche, come previsto dalla Raccomandazione di politica generale n. 11 dell’ECRI per contrastare il razzismo e la discriminazione razziale nelle attività di polizia. I rappresentanti dei Rom hanno anche riferito di aver subito la confisca arbitraria di propri averi o estorsioni da parte della polizia. Tali pratiche possono costituire violazioni dell’articolo 8 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo (che protegge il diritto al rispetto della vita privata e familiare) e avere effetti sul godimento di altri diritti, come quelli relativi all’alloggio e alla sicurezza, da parte dei Rom” (ibidem).
Non sono certo incoraggianti i dati sulle misure detentive: “I rom sono inoltre soggetti in modo sproporzionato a misure detentive arbitrarie. Il Commissario ritiene che l’uso eccessivo del potere della polizia in questo campo debba essere portato a termine e che debbano essere prese misure concrete per garantire che i rom non siano soggetti a detenzione arbitraria. Si devono anche prendere misure aggiuntive per ristabilire la fiducia tra comunità di Rom, Sinti e popolazioni viaggianti e polizia” (ibidem).

Scuola, lavoro e diritto alla casa

Nella ricerca in esame, la discussione sul rapporto tra comunità rom e legalità si articola essenzialmente in tre settori cardine del sistema sociale come la scuola, il lavoro e il diritto alla casa. Per quanto concerne il primo punto, l’indagine del commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa mira a scandagliare le cause di una mancata integrazione, che poi risultano alla base degli stereotipi secondo cui i rom sarebbero allergici alle istituzioni scolastiche: “Molte migliaia di Rom in tutta Europa non hanno o non hanno avuto alcuna scolarizzazione oppure hanno lasciato la scuola con scarsi risultati. In alcuni Paesi, la mancanza di documenti personali comporta per Rom, Sinti e popolazioni viaggianti difficoltà nell’iscrizione alle scuole. La mancanza di trasporti pubblici o di fondi per il trasporto e il bullismo razzista, oltre alla mancanza di materiali scolastici, rappresentano ulteriori ostacoli per i Rom che intendono frequentare una scuola. [...] Le politiche e le pratiche che separano i bambini Rom dagli altri nei contesti educativi sono attuate in diversi Stati membri del Consiglio d’Europa. La segregazione delle strutture educative è frequente nei casi in cui i Rom vivono in comunità isolate, come baraccopoli rurali o ghetti urbani. Il fatto che i genitori non Rom portino via i propri figli dalle scuole frequentate dai Rom è un altro fattore che conduce a una segregazione di fatto di intere scuole. Anche nelle scuole normali gli scolari Rom sono spesso separati dalla maggioranza, occupando aree specifiche della classe o frequentando classi del tutto separate. Ci sono segnalazioni di classi di recupero, separate e di segregazione in molti paesi europei. I bambini Rom sono anche inseriti in misura sproporzionata nelle scuole speciali, in particolare quelle per bambini con disabilità intellettuali [...] nonostante l’emanazione di una nuova Legge sulla scuola nel 2004 che ha riformato le disposizioni relative all’istruzione speciale. Si stima che il 30% di bambini Rom siano tuttora istruiti in scuole indirizzate a scolari con forme leggere di disabilità mentale, rispetto al 2% dei bambini non Rom” (Thomas Hammarberg, a cura di, Diritti umani di Rom, Sinti e popolazioni viaggianti in Europa, “coe.int”, febbraio 2012, pp. 11-12).
In tal senso: “Il Commissario ha espresso la propria contrarietà a qualsiasi forma di segregazione nell’istruzione e ha richiesto impegni chiari e progressi misurabili nei campi della desegregazione e dell’istruzione inclusiva. La desegregazione deve essere accompagnata dalle necessarie misure di sostegno per i bambini affinché possano integrarsi nelle classi normali per poter riuscire e ottenere i migliori risultati nel loro percorso educativo”. Un altro aspetto fondamentale per il miglioramento della qualità dell’istruzione implica “includere la cultura e la storia di Rom, Sinti e popolazioni viaggianti nei programmi scolastici generali” (ibidem, p. 12).
Un altro luogo comune molto diffuso sia in Italia sia in Europa richiama la presunta avversione delle popolazioni rom nei confronti del mondo dell’occupazione regolare. Anche in questo caso, il rapporto di Hammarberg approfondisce la questione alzando il velo su tutti quegli elementi che si frappongono tra queste popolazioni e l’approdo ad una condizione di piena legalità: “Ci sono numerose difficoltà che condizionano l’inclusione dei Rom nel mercato del lavoro e che risultano nell’esclusione completa di Rom, Sinti e popolazioni viaggianti da impieghi decenti in Europa. La discriminazione endemica unita a un livello di istruzione insufficiente annullano apparentemente l’effetto di politiche emergenti sull’impiego rivolte a Rom, Sinti e popolazioni viaggianti. Nonostante l’impegno positivo in alcuni paesi, i livelli di disoccupazione tra Rom, Sinti e popolazioni viaggianti in Europa sono invariabilmente assai superiori a quelli della popolazione non Rom. In diversi paesi, si negano le opportunità di impiego a Rom, Sinti e popolazioni viaggianti con motivazioni discriminatorie legate alla loro etnia o alla percezione del loro legame con comunità o gruppi di Rom, Sinti o popolazioni viaggianti. Le tendenze in Europa evidenziano inoltre come i Rom che hanno un impiego siano più facilmente soggetti a discriminazione sul posto di lavoro. La discriminazione riguarda anche i Rom istruiti che vengono ostacolati nei loro sforzi di progresso. [...] La discriminazione razziale ed etnica nel mercato del lavoro è contraria alla Carta sociale europea, così come alla Direttiva sull’uguaglianza razziale dell’UE. Le misure volte ad affrontare la disoccupazione di Rom, Sinti e popolazioni viaggianti devono prevedere l’assistenza alle vittime di discriminazione nel rivendicare i loro diritti” (ibidem, p. 13).

Infine, nella sintesi del rapporto viene dedicato ampio spazio anche alla annosa questione degli alloggi. Se da un lato è estremamente diffusa la credenza che vede i rom come incompatibili a sistemazioni regolari (essendo tendenzialmente predisposti all’occupazione abusiva o a sopravvivere in baracche e campi male attrezzati), da un’analisi più approfondita emergono elementi che confutano queste tesi: “In diversi stati membri si segnalano episodi di discriminazione nell’accesso agli alloggi, che spesso prendono la forma di negazione dell’accesso a condizioni pari agli altri ad alloggi pubblici e privati in affitto o persino di rifiuto a vendere abitazioni ai Rom. Alcune autorità locali hanno seguito una politica di segregazione spaziale, che in alcuni casi è stata rafforzata dalla costruzione di muri di separazione in vicinanza dei quartieri abitati dai Rom. [...] I Rom che vivono in insediamenti informali o su terreni non di loro proprietà, così come i Rom che vivono in alloggi legalmente riconosciuti, non hanno garanzia di possesso in tutta Europa. La mancanza di un adeguato riconoscimento del possesso conduce direttamente a minacce di sfratto forzato. In alcuni paesi, il numero di sfratti forzati è aumentato negli ultimi anni e spesso sono state colpite ripetutamente le stesse famiglie di Rom migranti, compresi i bambini, nel corso di brevi periodi di tempo. [...] In alcuni casi, sono stati distrutti interi quartieri Rom presenti da secoli” (ibidem, pp. 12-13).
Secondo tale ricostruzione, ad agire al di sopra della legge non sarebbero tanto i rom quanto piuttosto gli stessi amministratori delle località coinvolte, poiché “gli sfratti forzati devono essere eseguiti solo in conformità con le procedure internazionali di salvaguardia sviluppate, tra gli altri, dal Comitato delle Nazioni Unite sui diritti economici, sociali e culturali (Commento generale n. 7)” (ibidem, p. 13).
Come se non bastasse: “Le popolazioni viaggianti sono inoltre colpite in modo sproporzionato da pratiche discriminatorie nei casi in cui acquistano terreni privati da adibire al parcheggio di roulotte, e a discriminazione nell’accesso a campeggi, alberghi e/o altri alloggi temporanei” (ibidem). Per tutti questi motivi: “il Commissario ha sottolineato la necessità di garantire il diritto dei Rom a vivere in alloggi adeguati in conformità con il diritto internazionale. Gli insediamenti dei Rom devono usufruire di tutti i servizi pubblici, tra cui acqua, elettricità, raccolta dei rifiuti e manutenzione delle strade di accesso. La Raccomandazione del Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa sul miglioramento delle condizioni abitative di Rom, Sinti e popolazioni viaggianti in Europa richiedeva la revisione della legislazione, delle politiche e delle pratiche sugli alloggi, con l’obiettivo di eliminare tutte le disposizioni o pratiche amministrative che risultano in una discriminazione diretta o indiretta dei Rom” (ibidem).

Hammarberg condanna l’Italia

Le conclusioni del rapporto, che citano espressamente il caso italiano, sono impietose e ribaltano completamente la prospettiva che vuole i rom vivere al di sopra della legge: “Le istituzioni europee hanno risposto con cautela a politiche evidentemente distruttive che colpiscono i diritti fondamentali dei Rom in Italia e Francia. [...] Quando le istituzioni internazionali non riescono ad avere un impatto reale sugli abusi commessi da Stati e altre figure, si rafforza costantemente un profondo scetticismo sulla possibilità stessa di un cambiamento positivo per Rom, Sinti e popolazioni viaggianti – un sentimento già molto diffuso tra i rom in tutto il continente” (Thomas Hammarberg, a cura di, Diritti umani di Rom, Sinti e popolazioni viaggianti in Europa, cit., p. 19). In tal senso: “Le carenze nelle quattro ‘aree prioritarie’ identificate nel Quadro UE per le Strategie Nazionali di Integrazione dei rom fino al 2020 – istruzione, sanità, alloggi e impiego – devono essere affrontate senza indugi. [...] Inoltre, il legame tra i diritti all’istruzione, alle cure sanitarie, all’alloggio e all’impiego e altri diritti umani e libertà fondamentali è chiaramente dimostrato in questo rapporto. Le aree prioritarie del Quadro UE possono e devono essere considerate nel più ampio contesto di altre aree di riforma [...]. Per essere efficaci, le Strategie Nazionali d’Integrazione dei rom devono essere basate sui diritti umani e riguardare tutte le aree tematiche rilevanti per l’inclusione dei rom. [...] Ove possibile, è auspicabile che vengano definiti obiettivi che vadano oltre le quattro aree prioritarie UE per l’integrazione dei rom che riguardano istruzione, impiego, sanità e alloggi. [Il Commissario si appella quindi ai governi europei ] affinché intensifichino e rafforzino i propri sforzi per garantire che i rom possano finalmente godere di una dignità uguale a tutti gli altri in società libere dalla discriminazione” (ibidem, pp. 19-21).

Un ‘ponte’ per la legalità

Sono numerose le testimonianze che rafforzano questo capovolgimento di prospettiva ponendo l’accento sulle pesanti responsabilità di chi discrimina e, al tempo stesso, ridimensionando la presunta avversione dei rom ad una piena legalità.
La giornalista Paola Suraci (Rom, Chiedono dignità e verità. Lettera aperta ai media: "basta odio, collaboriamo", “immezcla.it”, 5 febbraio 2015) ha dato voce alle istanze della comunità rom, evidenziando la necessità di coinvolgere istituzioni e opinione pubblica nella costruzione di un ponte per la legalità. In particolare, la Suraci riporta una lettera aperta indirizzata da un gruppo di giovani rom ai mass media: “Tutti noi crediamo nell'onestà, nella giustizia, nei diritti e nei doveri di ogni essere umano. Noi ci stiamo impegnando e formando come attivisti per dare voce al nostro popolo, fin ora rimasto legato e imbavagliato [...] tv e giornali ci bombardano con messaggi che sostanzialmente dicono: ‘i Rom e i Sinti rubano, sono tutti delinquenti, vogliono vivere ai margini della società in baracche fatiscenti, non vogliono lavorare e nessuno di loro vuole studiare’. Bene, mettendoci nei panni di chi non sa niente di questo antichissimo popolo, inizieremmo a crederci e inizieremmo a non volerli più nella nostra Italia. E se fossimo bambini, che cosa impareremmo? Sicuramente, con un germoglio di odio nel cuore così potente e annaffiato bene tutti i giorni, da grandi non solo odieremmo i Rom e i Sinti, ma saremo pronti a ucciderli, non per cattiveria ma per difenderci e per difendere la 'Nostra' Italia dai cattivi e sporchi Rom e Sinti. [...] La paura è che questi ragazzi, e alcune persone per bene, gradualmente assimilino questi gravi concetti e che da un semplice pregiudizio cresca nel cuore della gente l'odio. Questo è un fatto grave, che non deve succedere, sarebbe da irresponsabili non fermarlo. [...] Chiediamo di non essere usati dai vari politici nelle loro finte campagne elettorali, ma chiediamo a loro di agire insieme a noi Rom e Sinti per politiche di vera inclusione sociale compartecipata. [...] Chiediamo a tutti i professionisti della comunicazione di ascoltare noi Rom e Sinti, perché abbiamo molte storie da raccontare sulla magnifica cultura millenaria del nostro popolo, così come sulle difficoltà che quotidianamente affrontiamo, nonostante non arrivino mai sulle prime pagine dei giornali. Chiediamo di discutere con noi i perché di certe realtà e chiediamo di far emergere le fallimentari politiche di ghettizzazione subite da nostro popolo, molte delle quali emerse negli ultimi tempi [...] Chiediamo verità. Chiediamo dignità, per il nostro popolo. Con questa lettera chiediamo ufficialmente il vostro impegno per fare luce e dare voce al nostro popolo, noi vi offriamo il nostro. Insieme possiamo e dobbiamo scrivere una nuova pagina”.
Un’altra testimonianza del muro eretto dalla società tra rom e legalità, con ripercussioni drammatiche in questo caso sul mondo del lavoro, arriva da un’inchiesta firmata dal giornalista e scrittore Antonio Castaldo: “Carità e ripulsa si confondono quando si ha a che fare con gli ‘zingari’, un nome che è già un' offesa, dal greco athinganos, intoccabili, come venivano chiamati gli eretici di un'oscura e antica setta. I gagè siamo invece noi, i ‘non-Rom’, come veniamo chiamati nella babelica lingua romanès. Gente strana, ai loro occhi, gente di cui avere paura. ‘Sembrerà strano - racconta Paolo Cioni, coordinatore della Comunità di Sant' Egidio per i campi nomadi - ma quando le mamme vogliono farsi ubbidire dai propri figli dicono: se non fai il bravo ti faccio rapire dai gagè’. [...] Ma come si lega il razzismo alle difficoltà economiche? ‘È difficile che qualcuno assuma un muratore o un operaio che si qualifichi come Rom’. Daniela Pompei lavora con Cioni nei campi assistiti dalla Comunità di Sant' Egidio. ‘Negano di essere zingari, ed è l'unico modo per ottenere il lavoro. Molti di loro trovano impiego come badanti o giardinieri, a contatto con persone che se conoscessero la loro origine li terrebbero ben lontani dai propri beni o i propri figli’. [...] I più fortunati hanno una casa e un lavoro, gli altri per lo più si stabiliscono nei 240 campi ufficiali (almeno altri cento quelli non censiti) dove, tra incomprensioni, frequenti sgomberi e scontri con le forze dell'ordine, si fanno strada anche tentativi di confronto e integrazione. Qui vivono anche molti dei rumeni che fin dal 2001 sono entrati in Europa dalla porta principale, dal momento che fin da allora non c'era bisogno di visto. Gli altri, quelli che non trovano posto nelle roulotte e nei prefabbricati di gesso, si rifugiano in baracche di lamiera e sotto i ponti, condannati ad ogni tipo di stenti. ‘Partono dalla Romania - riprende Pompei - perché lì muoiono di fame. Arrivano in Italia senza una lira in tasca, e non trovano spazio nei campi nomadi. Si costruiscono allora baracche con lamiere e pezzi di plastica, e vivono così, come possono’. Qualcuno si dà alla delinquenza. [...] Gli altri, e sono un numero sempre più grande, vivono di quello che si trova nei cassonetti. In queste condizioni sopravvivere diventa un gioco d'azzardo, non a caso l' aspettativa di vita è da Terzo mondo, 55 anni, un dato angosciante che cozza con il tasso di crescita, dal 3 al 5 per cento” (Antonio Castaldo, Elemosina, cerimonie, riti quotidiani. E per sopravvivere negano di essere zingari, “Corriere della Sera”, 14 agosto 2007).

Esclusione sociale

Tutto questo ha effetti devastanti sulle prospettive occupazionali dei rom, escludendoli di fatto dal mercato del lavoro. Stando ai dati forniti dalla fondazione Casa della Carità, che ha condotto una ricerca distribuendo un questionario a 1500 rom e sinti: “i livelli occupazionali sono molto bassi. Solo il 34,7% degli intervistati ha dichiarato di avere un lavoro, contro il 44,3% complessivo italiano rilevato dall'Istat all'epoca della ricerca (2012). Molti di loro sono lavoratori autonomi, solo il 6,7% è dipendente” (Gabriele Lippi, Rom e sinti, le comunità nomadi in Italia: i miti da sfatare, “lettera43.it”, 25 ottobre 2013). La stessa indagine evidenzia come “i problemi di integrazione cominciano da prima, fin dall'infanzia. I dati sull'istruzione parlano di un 30% dei bambini che frequentano la scuola, ma, tra questi, solo uno su cinque riesce ad arrivare fino al diploma di scuola superiore” (ibidem). La situazione avrebbe forti ripercussioni anche sulla questione degli alloggi, visto che il 24% degli intervistati “vive in insediamenti 'abusivi', il 41% in campi regolari, il 32% non ha acqua calda e il 23% nemmeno quella fredda corrente” (ibidem).
In relazione alle evidenti discriminazioni nel mondo del lavoro, è significativo il contributo del direttore del quotidiano “Avvenire”, Marco Tarquinio: “Continuo a chiedermi come si faccia a non capire quanto insensata e autolesionista all’interno di una comunità civile sia la tendenza, e persino la pretesa, di tenere fuori dalle porte delle proprie scuole e dei propri luoghi di lavoro (qualcuno vorrebbe anche lontano dalle chiese...) ragazzi e ragazze, uomini e donne non per ciò che sono e che credono, ma a causa della ‘categoria’ in cui vengono incasellati e, cioè, a motivo della stirpe a cui appartengono, della pelle che portano, delle tradizioni in cui hanno radici. Ma che cosa più dello studio e del lavoro comune consolida le basi della cultura comune di un popolo, valorizza e integra le diversità, costruisce – anche pragmaticamente – la possibilità e la fecondità di una civile convivenza? Che cosa più di tutto questo aiuta ad aprire gli occhi – e non lo dico per maniera, ma per esperienza – su ciò che è davvero ‘storto’ anche nella vita delle comunità Rom, consentendo a ogni persona che vuol camminare sulla strada diritta di non essere ricacciata indietro? [...] credo che l’antigitanismo sia una questione gravissima, e che il lavoro per ‘estirparlo’ meriti un impegno pieno di passione, di senso della giustizia e di amore della verità. [...] ogni volta che nelle società umane si sperimentano impoverimenti (come quelli che toccano anche noi italiani, in questa dura stagione della nostra vicenda nazionale) si finisce per innescare guerre tra poveri e per fare la guerra ai poveri. E se le prime armi di battaglia stanno, appunto, nella testa e sulla bocca di tanti, i ‘no’ al bene possibile – come il ‘no’ al lavoro preparato e meritato da una giovane donna Rom – sono delle vere bombe atomiche. Fanno del male subito e poi, in modo divorante, continuano a farlo nel tempo. Fare la guerra ai poveri è la cattiveria più facile e più grande. E, qualunque ragione accampi, chi fa la guerra ai poveri ha sempre torto” (Marco Tarquinio, Quel lavoro (meritato) negato alla Rom. Chi fa la guerra ai poveri ha sempre torto, “Avvenire”, 4 dicembre 2014).
Le parole di Tarquinio arrivano in risposta alla lettera al direttore firmata da Paolo Ciani, responsabile del settore rom e sinti della Comunità di Sant’Egidio, in cui si segnalava un grave caso di discriminazione sul lavoro: “a Roma da tre anni la Comunità di Sant’Egidio, la Caritas e Migrantes hanno organizzato con l’aiuto del Cardinale vicario, un corso di sartoria per alcune donne Rom. La decisione nasceva con uno scopo chiaro: aiutare quelle che gli esperti definiscono ‘vittime di discriminazione multipla’ e noi riteniamo ‘le più deboli tra le escluse’. Il corso è andato molto bene, in parte al di là delle previsioni di alcuni. Ha raccolto donne molto diverse tra loro, per provenienza, religione ed età ed è stato un momento di confronto e soprattutto di formazione importante. Al termine di questi anni siamo arrivati con le prime tre partecipanti a un punto fondamentale: quello di trasformare la formazione in ricerca di lavoro. Ieri è accaduto qualcosa di particolarmente significativo nel percorso di questo progetto e anche di illuminante per comprendere il rapporto tra i Rom e ‘noi’. Nei giorni scorsi infatti una delle partecipanti, tra le migliori, è stata accompagnata a fare un colloquio di lavoro (le donne Rom hanno sempre bisogno di essere ‘presentate’). Avevamo dalla nostra un punto di forza: abbiamo trovato fondi perché l’inserimento potesse arrivare con una borsa lavoro. Cioè, chi assume non deve sborsare un soldo pur godendo del lavoro. Il colloquio è andato bene, la donna ha fatto una buona impressione e pur non sapendo usare macchine industriali, ha mostrato abilità sufficienti. Poi, però, è giunta una telefonata: con grande imbarazzo il responsabile del negozio ci ha spiegato che non voleva assumere quella donna. Nonostante lunghi giri di parole il problema di fondo era semplicemente uno: è una ‘zingara’. Messo in imbarazzo dalle nostre risposte, il titolare ha anche affermato a un certo punto: ‘Peraltro credo non sia neanche deontologicamente corretto il fatto che in un primo momento (al telefono prima del colloquio) non mi abbiate detto che lei era Rom’ [...] Mi domando: se non trova lavoro una donna Rom regolare, che si presenta bene, formata, presentata, che non ha costi per il datore di lavoro, chi mai potrà trovar lavoro? Solo le poche che continueranno (e riusciranno) a nascondere la propria appartenenza” (ibidem).

Lavoro e integrazione

La posizione dei rom in ambito lavorativo costituisce uno dei passaggi più importanti del Rapporto conclusivo dell’indagine sulla condizione di rom, sinti e camminanti in Italia, realizzato dalla Commissione Diritti Umani del Senato: “Il lavoro è una questione centrale per valutare il grado di integrazione sociale delle popolazioni Rom all'interno del territorio. Di fatto, non esistono dati attendibili riguardanti il tasso di disoccupazione ma la condizione lavorativa di Rom e Sinti risulta problematica a livello nazionale, a causa delle costanti difficoltà di inserimento, della mancanza di qualificazione professionale, della marginalità sociale nella quale vengono a trovarsi. [...] Le attività economiche in cui sono attivi Rom e Sinti sono estremamente diversificate. Esistono alcune attività tradizionali che vengono tuttora esercitate un po' ovunque: il lavoro dei metalli (ad esempio stagnini, calderai, indoratori); il recupero dei materiali diversi e la loro vendita; il commercio dei cavalli; i mestieri dello spettacolo e del circo (come musicisti, giocolieri, acrobati, danzatori); le professioni legate allo spettacolo viaggiante, in particolare i giostrai; la vendita ambulante o nei mercati (frutta, legumi, robivecchi, tappeti, ecc.); la fabbricazione e la vendita di oggetti diversi come ad esempio violini, cinture, tovaglie, pizzi, oggetti in vimini; i lavori agricoli spesso stagionali. Altri mestieri invece sono in gran parte scomparsi: arrotini, ombrellai, fabbricanti di oggetti in ferro battuto e in legno. Sono invece attività in via di sviluppo il commercio di auto usate, il robivecchi, la manovalanza nell'edilizia, la manutenzione di strade” (Rapporto conclusivo dell’indagine sulla condizione di Rom, Sinti e Camminanti in Italia, “minori.it”, febbraio 2011, pp. 73-74).
Le conclusioni di questo studio evidenziano la specificità dell’approccio dei rom al mondo del lavoro, rimarcandone l’originalità e la dignità, nonostante la grave condizione di marginalizzazione sociale a cui questo popolo è spesso condannato: “Tutti questi mestieri sono concepiti come se si trattasse di una vendita, di beni e servizi, a clienti. Ciò che maggiormente caratterizza Rom e Sinti nello svolgimento di queste attività commerciali è la loro grande adattabilità secondo il luogo, il momento, l'occasione. Nella cultura Rom il lavoro viene tendenzialmente concepito come una necessità per la sopravvivenza e non come un fine, come una dimensione dell'identità” (ibidem, p. 75).

Un popolo di evasori?

Il problema della segregazione dal mondo del lavoro, della scuola e degli alloggi è direttamente collegato ad un’altra credenza largamente diffusa secondo cui i rom non pagano le tasse e usufruiscono gratuitamente di energia elettrica, riscaldamento e altri servizi. Anche in questo caso, pur mancando riscontri precisi in merito, il rapporto della Commissione per i Diritti Umani individua precise responsabilità legate al mancato riconoscimento delle specificità del gruppo, con conseguenze inevitabili sul sistema dei diritti e dei doveri: “Questa discrepanza tra culture è una delle cause profonde delle difficoltà che tutti i Paesi europei, e i diversi schieramenti che nel tempo li hanno governati, hanno incontrato e incontrano nell’affrontare il problema dei Rom. Come si fa a negare che il principio di reciprocità per il quale ai diritti corrispondono i doveri e l’inclusione ha come condizione l’accettazione e il rispetto delle regole, valga anche per i Rom? E tuttavia come questo principio può essere messo in pratica considerando che i cambiamenti culturali, le trasformazioni delle mentalità hanno tempi diversi da quelli della politica? E’ un dovere delle istituzioni promuovere la cultura delle regole, chiederne il rispetto e contrastarne la violazione. Ma proprio perché ci si muove su un terreno così carico di contraddizioni è essenziale mantenere una rigorosa distinzione tra comportamenti e responsabilità individuali e collettivi: quella distinzione che permette di perseguire senza alcuna concessione tutte le violazioni della legge compiuta da membri della comunità e di rifiutare al tempo stesso che questo si trasformi in uno stigma che colpisce la comunità nel suo insieme, ne aggrava le condizioni, ne impedisce l’evoluzione” (Rapporto conclusivo dell’indagine sulla condizione di rom, sinti e camminanti in Italia, cit., p. 28).

Lo spettro del razzismo

Il rapporto tra rom e legalità, al di là delle osservazioni statistiche, nel dibattito pubblico risulta intaccato da una prospettiva che agita costantemente lo spettro del razzismo e dell’intolleranza di fronte a qualsiasi posizione non in linea con la morale comune. Ed è così che ogni contributo alla discussione che non risulti allineato a prese di posizione ideologiche, finisce per essere oggetto di condanne e censure, spesso a discapito delle stesse politiche di integrazione.
Emblematico è il caso di Ignazio Marino, ex sindaco di centrosinistra di Roma, che ha commentato così lo sgombero di un campo nomadi abusivo alle porte della Capitale: “Io mi sento di essere garantista con i rom […] se rispettano la legge, altrimenti non possiamo garantire i diritti perché questa è una città che deve in ogni luogo tornare alla legalità" (Viola Giannoli, Prati Fiscali, sgomberato insediamento abusivo, “La Repubblica”, 9 luglio 2014).
Per tutta risposta si sono mobilitati associazioni e organismi impegnati nella tutela dei diritti dei rom, e in particolare: “l’associazione 21 luglio, che ricorda come questo sia ‘il 30esimo sgombero sotto la giunta Marino’, denuncia che ora ‘queste persone non sanno dove andare perché ad ora nessuna alternativa adeguata è stata proposta alle famiglie (ibidem). Da qui, la decisione maturata insieme ad Amnesty International di organizzare un sit-in di protesta davanti alla sede dell'assessorato alle Politiche Sociali. Per Amnesty International: “Il Sindaco Marino ed il governo italiano non possono guardare dall'altra parte mentre dei bambini vengono lasciati per strada” (ibidem).
Lo stesso Marino tempo dopo è ritornato sulla questione, insistendo sulla necessità di ricondurre i gruppi di nomadi presenti nella capitale nei binari della legalità: “Questa Amministrazione - ha dichiarato il primo cittadino - non vede i Rom, Sinti e Camminanti come nemici ma vuole che tutti vivano nella legalità. Io ritengo che debbano essere aiutati ad entrare in questo meccanismo. Noi non possiamo avere situazioni contrastanti con la legge nella nostra città. I bambini, in particolare, devono andare a scuola e non possono essere tollerati comportamenti pericolosi per la sicurezza dei nostri cittadini. Bisogna evitare, nello specifico, roghi tossici e perseguire con severità estrema i furti, soprattutto di rame” (Angelo Profeta, Il Sindaco Marino: "Diminuiremo la popolazione dei campi nomadi e giungeremo al superamento di Salviati 1 e 2", “promessepubbliche.com”, 4 febbraio 2015).
Altro caso che ha sollevato le proteste di associazioni e opinione pubblica è un commento del giornalista e scrittore Massimo Gramellini, colpevole secondo molti, di aver diffamato i rom istigando all’odio razziale. Oggetto delle accuse, alcuni giudizi riportati nella rubrica Buongiorno del ventiquattro ottobre 2014, curata dal giornalista sul quotidiano “La Stampa”: “Le leggi valgono per tutti ed è inaccettabile che la comunità Rom si arroghi il diritto di violarle con sistematicità, adducendo il rispetto di tradizioni che giustificano il furto e l’accattonaggio infantile” (Massimo Gramellini, Rom a parte, “La Stampa”, 24 ottobre 2014). L’intervento di Gramellini, riferito ai problemi di ordine pubblico registrati nei pressi di un campo rom in provincia di Torino, provocò la reazione sdegnata di diversi organismi, trovando vasta eco sui mezzi di informazione: “L’Istituto di Cultura Sinta di Mantova, Sucar Drom, e l’Osservatorio contro le discriminazioni provinciale hanno preso di mira il celebre giornalista de La Stampa Massimo Gramellini, che ha ricevuto una denuncia all’Ordine dei giornalisti e un esposto alla Procura di Torino per diffamazione e istigazione all’odio etnico/razziale” (Armando Manocchia, Scrive un articolo sui Rom in bus separati, Gramellini denunciato per razzismo, “imolaoggi.it”, 29 ottobre 2014).

Il ‘caso’ di Vicenza

Molto controversa è la posizione di Achille Variati, sindaco di Vicenza eletto nelle file del centrosinistra. Variati analizza le condizioni di alcuni campi nomadi della città: “Rom e Sinti vivono in roulotte e case mobili collegate all'energia elettrica attraverso un contatore familiare. Prima di Natale alcune di queste famiglie non hanno potuto pagare l'energia, siccome c'erano anche bambini e anziani ammalati, non me la sono sentita di lasciarli al freddo con temperature vicine allo zero. Non voglio avere sulla coscienza un bambino che muore di broncopolmonite” (Rom. Il sindaco di Vicenza Achille Variati: "Basta con l'assistenzialismo, sostegno al reddito in cambio di volontariato", “Radio24-Il Sole 24 Ore”, 28 gennaio 2014). Tra le proteste dell’opposizione la giunta guidata da Variati è arrivata a pagare 60mila euro per saldare le bollette insolute. L’iniziativa è stata commentata in questo modo dal primo cittadino: “La mia tesi, che è poi la stessa del ministro Giovannini nel campo del contrasto alla povertà, è questa: se sei un cittadino veramente povero, bisognoso di aiuti economici, se non sei inabile al lavoro, finché non trovi lavoro per tornare all'autonomia, ti metti volontariamente a disposizione per progetti di lavori socialmente utili in cambio dell'aiuto della comunità. Se non c'è questo concetto di reciprocità siamo nella vecchia concezione stantia dell'assistenzialismo che ha prodotto tanti danni in questo paese. A quanti si rifiuteranno pur essendo in grado di lavorare, non garantiremo gli aiuti per poter vivere nella propria casa e li inviteremo a servirsi dell'albergo cittadino” (ibidem).
Lo stesso sindaco, sull’onda delle proteste scatenate da opposizioni e semplici cittadini, nel giro di pochi mesi è tornato sui suoi passi, alzando bandiera bianca di fronte all’atteggiamento dei rom: “Il comune di Vicenza chiude i rubinetti dell'acqua e stacca i contatori della luce ai rom. Gli abitanti, rom e sinti, del campo nomadi cittadino, infatti, non potranno più usufruire dell'allacciamento alle reti idrica ed elettrica del Comune fino a quando non sottoscriveranno un regolare contratto. [...] La decisione del Comune arriva al termine di un tavolo di trattative protrattosi per mesi: dopo che nel 2014 l'area di via Cricoli era stata riqualificata con fondi ministeriali, l'amministrazione comunale aveva invitato i nomadi a mettersi in regola anche per quanto riguarda le forniture idroelettriche, ma tutti gli appelli erano rimasti senza risposta. Il locale Giornale di Vicenza aggiunge addirittura che nessuno dei Sinti ha voluto nemmeno ricevere la lettera. Così, ieri mattina i messi comunali hanno notificato ai nomadi la decisione della Giunta vicentina: le forniture cesseranno di essere erogate” (Ivan Francese, Il Comune spegne la luce: "I Rom paghino le bollette come gli altri", “Il Giornale”, 10 febbraio 2015).

Scuola e povertà

I dati riferiti a scuola e lavoro trovano sostanziale conferma nell’indagine realizzata dalla Commissione Diritti Umani del Senato del 2011 (Rapporto conclusivo dell’indagine sulla condizione di rom, sinti e camminanti in Italia, “minori.it”, febbraio 2011). Infatti, dopo aver rilevato un alto tasso di abbandono e dispersione scolastica nel gruppo, vengono poste in risalto caratteristiche che in molti casi suggeriscono una sorta di autoesclusione da parte dei rom. Nel documento si riportano le conclusioni del rapporto del Ministero dell'Interno dell’aprile 2006, Pubblicazione sulle minoranze senza territorio: “Le radici di questa scarsa scolarizzazione, andrebbero ricercate non tanto nel nomadismo, quanto nelle difficili condizioni economiche nonché in una certa diffidenza verso la scuola, vista come espressione di una società che si è mostrata ostile e che per la sua azione assimilatrice è vista come pericolosa per la propria identità” (Rapporto conclusivo dell’indagine sulla condizione di rom, sinti e camminanti in Italia, cit. p. 61). Dalla stessa fonte si apprende che “Tutto ciò ha portato, in taluni casi, ad una pericolosa situazione di separazione nella testa e nella vita di alcuni bambini Rom e Sinti, che spesso vedono l’istituzione scolastica come qualcosa di lontano ed estraneo al loro mondo. L’insuccesso peggiora questa situazione, alcune volte in maniera irreparabile” (ibidem, p. 63). Si tratta di un discorso evidentemente estendibile anche al mondo lavoro, prefigurando un quadro preoccupante circa il rapporto tra la comunità oggetto di analisi e la società italiana ed europea.

Cultura dell’illegalità

Se questi numeri da un lato possono essere interpretati come una conseguenza della condizione di marginalizzazione dei rom nella società italiana, secondo diversi osservatori proverebbero al contrario la tendenza degli stessi rom a sviluppare una diffidenza atavica e viscerale nei confronti della legalità e del rispetto delle leggi nei paesi di accoglienza. Emblematico è l’articolo di Alessandro Gonzato (Grido di dolore dei Rom: ‘Non potete farci lavorare’, “liberoquotidiano.it”, 24 gennaio 2014) che torna sui fatti di Vicenza e sulla proposta del sindaco di centrosinistra Variati di pagare le bollette ai rom in cambio dello svolgimento di attività socialmente utili: “‘Il Sindaco Variati non può obbligare nessuno a lavorare, tanto meno un nomade’. Davide Casadio, presidente dell’associazione Sinti Italiani in viaggio per il diritto e la cultura, non accetta che il primo cittadino di Vicenza (PD), dopo la decisione del Comune di pagare 59 mila euro per saldare le bollette arretrate di luce e gas di due campi Rom, abbia chiesto in cambio ai loro abitanti di svolgere qualche attività socialmente utile, come la pulizia delle strade o lo sfalcio dell’erba [...] Il rappresentante dei Rom sottolinea che il Comune è obbligato ad aiutare chi si trova in difficoltà - quindi a saldare eventuali insoluti - e che in cambio, dunque, non deve chiedere un bel niente. ‘Credo che sia un concetto fondamentale’ precisa Casadio, ‘pensiamo all’articolo 3 della Costituzione’. Insomma, i Rom come al solito hanno soltanto diritti e nessun dovere. Vivono negli accampamenti per una scelta di vita, devono essere serviti e riveriti dalle amministrazioni locali e, si capisce, devono anche essere equiparati a quelle migliaia di famiglie che non ce la fanno ad arrivare alla fine del mese e che per riuscire a pagare le bollette di casa - quando ci riescono - fanno i salti mortali. [...] Nei due accampamenti, in viale Cricoli e via Diaz, vivono complessivamente più di 120 persone. Alcune famiglie, poco prima di Natale, erano rimaste senza gas ed elettricità perché non avevano pagato gli arretrati. L’amministrazione comunale, quindi, si era fatta carico della questione versando la somma all’azienda municipalizzata che eroga il servizio. E non si è trattato certo della prima volta se è vero, com’è vero, che negli ultimi tre anni il Comune di Vicenza ha sborsato la bellezza di 110 mila euro per pagare i conti di luce e gas dei due accampamenti. La spesa, sommata ai contributi per i buoni pasto, le medicine, e il sostegno scolastico, ha raggiunto i 125 mila euro. Variati fa presente che d’ora in poi chi non accetterà di svolgere lavori socialmente utili non riceverà più un centesimo e che i finti poveri verranno segnalati alla Guardia di Finanza: ‘[...] Sui nomadi poveri o finti si indagherà. Basta logica assistenzialista. Se rifiutano il lavoro - prosegue - e pensano di usare i bambini per evitarlo, porteremo le madri e i figli fuori dal campo, nell’albergo cittadino’”.
Una dura presa di posizione sulla questione arriva da Viviana Beccalossi, ex deputato del Popolo della Libertà e vicepresidente della Regione Lombardia dal 2000 al 2008. Nel corso di una puntata del programma televisivo di La7 “Piazza Pulita” (Beccalossi: 'Rom rispettino le leggi' Salvini: 'Sono degli arroganti', “la7.it”, 2 dicembre 2014), la Beccalossi ha spiegato che “i Rom devono imparare a rispettare le regole. Se io non porto mio figlio a scuola per dieci giorni me lo portano via, mentre loro fanno come gli pare. Mi chiedo se è giusto... Esistono forse tribunali speciali per loro? Esiste una legge che vale per noi italiani ma che non vale per loro? Se io mi azzardo a dare un buffetto a mio figlio finisco davanti a un giudice, mentre loro mandano impunemente i bambini in strada ad elemosinare invece di portarli a scuola”. Nella stessa circostanza Matteo Salvini ha rincarato la dose, delineando un quadro scoraggiante della situazione: “E' gente che se gli dai un dito si prende la mano e ti dà uno schiaffo. [...] Come si risolve il problema dei campi Rom? Devono andare a lavorare. Vogliono una casa? Devono cercarsi un lavoro. A Milano sento persone che magari hanno 5-6 figli che dicono: ‘Devono darmi la casa’... ma non è così: i Rom devono rispettare le stesse leggi degli italiani [...] Esiste una legge europea secondo cui se non sei in grado di mantenere i tuoi figli devi tornartene nel tuo Paese. Perché loro non lo fanno? Sono al di sopra della legge? [...] Io non sopporto l’arroganza di queste persone e lo schifo che hanno per le leggi: se ne fregano di timbrare un biglietto sugli autobus, di rispettare gli anziani o i ragazzi che vanno a scuola, e se gli concedi un favore non ti dicono neanche grazie” (ibidem).