Nel mondo islamico non c'è libertà di parola e d'espressione

La libertà di critica verso il governo

Secondo Abul al-Mawdudi, intellettuale e influente uomo politico cui si deve la teorizzazione, verso la metà del Novecento, del concetto di Stato islamico: “Ogni cittadino ha il diritto di criticare l'Emiro e il suo governo, e ogni mezzo attraverso cui esprimere pubblicamente la propria opinione deve essere reso disponibile”.
Per quel che riguarda specificamente i dhimmi, ovvero i non-musulmani residenti in un paese islamico, al-Mawdudi ritiene che ad essi, “così come potranno praticare la propria religione, sarà permesso loro di criticare l'Islam. Fermo restando che i diritti conferiti in questi ambiti non sono illimitati: la legge civile del paese deve essere rispettata pienamente e ogni critica deve essere fatta all'interno del suo quadro normativo” (Abul al-Mawdudi, Essential Features of the Islamic Political System, “islam101.com”, 1948).

 

Libertà d'espressione e blasfemia

Khaled M. Abou El Fadl, professore di Diritto Islamico presso la UCLA (University of California, Los Angeles) rassicura in merito all'atteggiamento dei musulmani verso la libertà di parola e di espressione. Alla domanda: “È difficile per un musulmano condannare pubblicamente queste violenze e sostenere la libertà di parola senza che il suo sostegno sembri rivolto verso qualcosa che può essere percepito come blasfemia?”, Abou El Fadl risponde con un generale invito al buon senso e con una presa di distanza dal terrorismo. Così il professore: “Un musulmano devoto non se ne va in giro ad insultare il Profeta o a fare caricature pornografiche del Profeta. Ma c'è un mondo intero di differenza tra dire 'io non lo farei, penso sia intollerante ed irrispettoso della religione', e uccidere. Non vedrete le autorità del mondo musulmano tagliare le relazioni con l'Occidente perché qualcuno ha insultato il Profeta. Non possiamo cadere nella loro trappola. Non possiamo permettergli di manipolare le nostre emozioni. Questi tempi di crimini e guerra non sono il momento per disquisire se la libertà di parola sia un valore occidentale o un valore cristiano o un valore musulmano. La cosa importante è che sono state assassinate delle persone innocenti che stavano facendo qualcosa che avevano il diritto di fare. Il terrorismo è terrorismo” (TdR) (Patt Morrison, 'Not an Islam I can recognize'; a Muslim scholar discusses the Paris attacks, “Los Angeles Times”, 13 gennaio 2015). Tale presa di distanza è motivata dal fatto che “non vi è una sola presa di posizione intorno al fatto che chi insulta o maledice il Profeta meriti una punizione o meno. Se si parla di critiche al Profeta, ci sono stati poeti musulmani che hanno preso in giro lui o il suo rifiuto della ricchezza o la sua repulsione per l'alcool. Questi precedenti sono stati studiati nel diritto islamico, con enormi dibattiti intorno al fatto se questo è qualcosa sul quale lo stato può avere giurisdizione, se la pena consista in un certo numero di frustate o non ci sia affatto.
La visione secondo la quale chi insulta il Profeta merita la morte è nata con i Versetti satanici di Salman Rushdie e la fatwa lanciata dall'iraniano ayatollah Khomeini, che cercava di capitalizzare un momento politico favorevole. […] Il Corano riporta che al tempo del Profeta, persino alcuni dei suoi seguaci lo accusò di essere pazzo o di essere epilettico. E da nessuna parte il Corano dice 'uccideteli'. Da nessuna parte” (TdR) (Ibidem).

 

La difesa della libertà d'espressione è una prerogativa dell'Occidente

Magdi Cristiano Allam lamenta come sia forte “il convincimento di tutti i musulmani, moderati ed estremisti, che la raffigurazione di Maometto, ancor di più se in chiave satirica, sia inammissibile e da sanzionare” (Magdi Cristiano Allam, I versetti dell'odio che insegnano come uccidere, “Il Giornale”, 9 gennaio 2015).
Magdi Allam sottolinea come tutto ciò sia incompatibile con le democrazie occidentali che difendono il diritto alla libertà di espressione e di critica. L'autore evidenzia la mancanza di una presa di posizione in favore della libertà di espressione anche da parte del cosiddetto Islam moderato; mancanza che il giornalista spiega con alcuni chiari precetti della religione islamica: “nessuno dei sedicenti musulmani moderati, pur condannando la strage di Charlie Hebdo, ha difeso il diritto della libertà d'espressione o per esempio twittato #jesuischarlie. Perché nessun musulmano potrebbe contraddire sia il divieto assoluto di rappresentare Maometto sia il reato di blasfemia che, secondo la sharia, sono entrambi sanzionabili con la condanna a morte” (Ibidem).
Ancora più incisivamente, dichiara il giornalista: “la strage di Charlie Hebdo è un simbolo della contiguità e della consequenzialità del pensiero e delle azioni dei moderati e dei terroristi islamici” (Ibidem).
Non ci si può illudere che tale atteggiamento nei confronti della libertà d'espressione sia prerogativa di pochi estremisti: “Se è solo l'islam integralista a prescrivere il rifiuto di tutte le immagini di esseri viventi perché potrebbero essere idolatrate (ed è ciò che ha portato i terroristi islamici ad abbattere i Buddha in Afghanistan o le statue cristiane), tutte e quattro le scuole giuridiche dell'islam sunnita (hanafita, sciafiita, malikita e hanbalita) concordano sul divieto di rappresentare Allah, Maometto e i profeti citati nel Corano. Così come tutti i musulmani riconoscono che, sulla base della sharia, la legge islamica, tutti coloro che commettono blasfemia criticando Allah, il Corano o Maometto devono essere condannati a morte. La legge sulla blasfemia è ufficiale in Pakistan ma è di fatto vigente in tutti i Paesi musulmani, dove le pene possono essere diverse, fermo restando la condanna del reato” (Ibidem).

 

Le proteste per Innocence of muslims

Secondo l'esponente dell'allora Popolo della Libertà Daniela Santanché, l'uccisione, avvenuta l'11 settembre 2012 dell'ambasciatore statunitense in Libia Christopher Stevens, nei disordini che seguirono la proiezione del film Innocence of Muslims, deve rappresentare “un monito anche in Italia a quanti hanno fatto festa per la cosiddetta ‘primavera araba‘ come risveglio della democrazia e si ostinano a non considerare l’Islam come una minaccia per la libertà dell’Occidente” (Libia, Santanchè: “Islam religione assassina”, “Il Fatto Quotidiano”, 12 settembre 2012). La Santanchè definì l'Islam in quell'occasione: “religione assassina” (Ibidem).