La rappresentazione occidentale dell'Islam: l'islamofobia è solo uno strumento propagandistico

Xenofobia

Nel suo discorso di inizio anno 2015, la cancelliera tedesca Angela Merkel ha bollato il movimento dichiaratamente anti-islamico PEGIDA (acronimo tedesco dei Patrioti Europei Contro l'Islamizzazione dell'Occidente), nato in Germania nell'ottobre del 2014 e protagonista di una significativa serie di mobilitazioni di piazza, come animato esclusivamente da “pregiudizio e da una freddezza del cuore che rasenta l'odio” (Le proteste anti-immigrati in Germania, “ilpost.it”, 6 gennaio 2015).
Secondo la Merkel il loro slogan “siamo il popolo”, che riecheggia quello utilizzato nelle proteste che portarono nel 1989 all'abbattimento del muro, è utilizzato impropriamente e “ciò che in realtà significa è: non sei uno di noi, a causa del colore della tua pelle, a causa della tua religione” (TdR) (Angela Merkel issues New Year’s warning over rightwing Pegida group, “The Guardian”, 30 dicembre 2014).

 

Nella società europea è sempre più diffusa l'islamofobia

Dominique Mosbergen (A Muslim Man Walked Around Milan For 5 Hours With A Quran. These Are The Reactions He Elicited, “huffingtonpost.com”, 19 febbraio 2015) segnala con preoccupazione come in Italia dopo i tragici fatti di Parigi e Copenhagen dei primi mesi del 2015 e ancor di più in relazione alla minaccia di un'invasione da parte dell'Isis dalle coste libiche, sia in aumento un forte sentimento anti-islamico.
Nel suo articolo, Mosbergen riprende un video pubblicato da “Repubblica”, descritto come un “esperimento sociale per sondare la tolleranza dei cittadini milanesi nei confronti dei musulmani” (Passeggiata da imam in giro per Milano tra insulti e diffidenza, “video.repubblica.it”, 18 febbraio 2015). Nel video un giovane egiziano si aggira per il centro di Milano indossando una tunica e portando un Corano tra le mani, attirando gli sguardi sospettosi e i commenti preoccupati di quelli che sono i suoi concittadini.
Il sito del “Redattore Sociale”, in un articolo del 21 gennaio 2015, riporta la preoccupazione di Foad Aodi, presidente nazionale della Comunità del Mondo Arabo in Italia (CO-MAI), per la diffusione di una vera e propria islamofobia in Italia: “In tutta Italia stanno aumentando le discriminazioni verso i musulmani e gli arabi, sta aumentando la fobia nei confronti dei nostri figli che vanno a scuola” (“Dopo Parigi più discriminazioni nelle scuole italiane verso i musulmani”, “redattoresociale.it”, 21 gennaio 2015).
Egli addebita la responsabilità di questa situazione al leader della Lega Nord, Matteo Salvini, considerata “[la] persona politicamente più pericolosa oggi in Italia, [che accusa di cercare consenso elettorale attraverso] messaggi razzisti verso arabi e musulmani” (Ibidem).
Il giornalista statunitense Stephen Zeitchik, nel commentare la reazione in Occidente ai fatti del gennaio 2015, avanza il sospetto che “l'attacco a 'Charlie Hebdo' stia via via diventando una foglia di fico per un programma anti-immigrati e ultranazionalista, che stava attraendo consensi anche prima degli attacchi di Parigi” (Steven Zeitchik, Germany walks a fine line amid rising anti-Muslim sentiment, “Los Angeles Times”, 20 gennaio 2015).

 

L'islamofobia nei paesi di cultura occidentale

L'islamofobia va diffondendosi in maniera crescente non soltanto in Europa, ma anche in altri paesi che si identificano come parte della cultura occidentale.
In Australia, per esempio, secondo il giornalista del “Guardian” Julian Burnside, l'insistenza sulla minaccia terroristica specificamente islamica da parte di figure pubbliche dall'ampia risonanza mediatica, come il primo ministro australiano e il giornalista dello “Herald Sun” Andrew Bolt, rischiano di incrementare questa nuova forma di xenofobia. Burnside non esita, nel suo articolo The Islamophobia stirred up by Abbott and Bolt is a bigger threat to us than terrorism, “theguardian.com”, 25 febbraio 2015, L'islamofobia promossa da Abbott e Bolt ci minaccia più del terrorismo, TdR) a definire l’islamofobia come “il nuovo antisemitismo”, tale da spingere la società australiana a rinunciare proprio a quei valori per i quali l'Occidente si distingue, come la presunzione d'innocenza o il diritto alla privacy, finendo per minare la coesione sociale nella sua interezza.

 

Strumentalizzazione politica dell'Islam radicale

Lo scrittore Shady Hamadi afferma: “Le condanne da parte dei maggiori leader religiosi del mondo islamico non basteranno. Anche se tutti i musulmani del mondo dovessero condannare ciò che è avvenuto, questo, purtroppo, non sarà sufficiente perché si è arrivati a puntare il dito, additandola a unica colpevole, contro la religione islamica. Già da oggi vi diranno che l’Islam, quindi oltre due miliardi di persone, ha dichiarato guerra a voi, ai vostri valori e al vostro essere occidentali. Una certa politica cercherà consensi strumentalizzando la strage di Parigi. Questi politici nostrani vi diranno che 'siamo già in guerra contro l’Islam e che dobbiamo difenderci' e l’unica vera difesa, contro la marea islamica, è votare proprio quei partiti che della xenofobia hanno fatto la loro ragion d’essere. Lanceranno campagne contro la costruzione di luoghi di culto per i musulmani, dichiarando che 'le moschee sono la fucina di nuovi terroristi' e, così facendo, negheranno un diritto… proprio come quei fanatici che vogliono combattere […] Secondo loro, questa religione incarnerebbe la violenza e questa sua brutalità si trasmetterebbe di fedele in fedele, tramite lo studio della dottrina e della preghiera. Per loro, non ci sono musulmani buoni ma solo terroristi. Faranno di tutta l’erba un fascio, fornendo le motivazioni giuste che servono ai terroristi per fare proseliti fra la moltitudine di disperati” (Shady Hamadi, Charlie Hebdo: la prima vittima del fanatismo è l’Islam stesso, “Il Fatto Quotidiano”, 8 gennaio 2015).
Dello stesso parere il giornalista di origini marocchine Khalid Chaouki, responsabile nazionale seconde generazioni dei Giovani Democratici. In un intervento al programma televisivo “L'aria che tira” del 9 gennaio 2015 (Charlie Hebdo, Chaouki: Islam è vittima del terrorismo, Salvini smetta di speculare contro un'intera comunità, “partitodemocratico.it”, 9 gennaio 2015), il giornalista mette in guardia rispetto a chi “sta speculando in maniera inaccettabile e vergognosa contro un'intera religione” utilizzando l'alibi del radicalismo e degli attacchi terroristici che ne sono frutto.
La soluzione contro questo tipo di abuso è, sostiene Chaouki, un segnale forte da parte delle comunità musulmane d'Italia che “ricostruisca un senso di fiducia reciproca [fra chi] condivide le sorti dello stesso paese” (Ibidem).

 

Il fanatismo religioso islamico viene stigmatizzato, quello cristiano viene normalizzato

Secondo Paolo Flores d'Arcais, direttore di “MicroMega”: “La compatibilità dell'Islam con la democrazia si gioca sul terreno dell'accettazione (che oggi è rifiuto) della secolarizzazione, cioè della separazione fra religione e politica. Con una conseguenza e un paradosso […] Il paradosso: la condizione fondamentale perché l'Islam sia compatibile con la democrazia, la secolarizzazione, è quanto pezzi importanti di establishment occidentale hanno combattuto e ancora combattono, utilizzando a piene mani la 'volontà di Dio' (il Dio cristiano) nelle loro campagne elettorali, rifiutando di esiliare Dio (ogni Dio) dalla sfera pubblica. Inventandosi una 'laicità positiva' che castra la laicità, che fa acqua sul versante sia della logica sia della politica […] Se si ammette che Dio possa avere dimora nello spazio pubblico, come 'argomento' per statuire le leggi, non si può più pretendere che sia il Dio che piace a noi: vale qualsiasi Dio, qualsiasi sia la Sua Parola. Solo l'esilio di Dio dalla scena pubblica è la premessa (necessaria ma non sufficiente) perchè le leggi nascano da un dia-logos di argomenti anziché dal ‘perchè sì’ di narcisismo tossico che si nasconde dietro ogni ‘volontà di Dio’” (Paolo Flores d'Arcais, Je suis Charlie? Je suis Charlie! Democrazia e laicità di fronte al terrorismo islamico, “MicroMega”, 2015, 1, pp. 12-13).
Ancora dalle pagine di “MicroMega”: “Le religioni non sono tutte uguali, si dice, il cristianesimo accetta la laicità, l'islam no. In realtà il cristianesimo è stato costretto a venire a patti con la laicità, obtorto collo, e ancora non l'accetta pienamente. Il fondamentalismo alberga nel suo seno in dosi infinitamente minori di quello islamico, questo è certo. Troppo facilmente si dimentica, però, che sono cristiani militanti quelli che hanno assassinato negli Usa medici e infermieri che rispettavano la volontà di alcune donne di abortire. Donne, medici e infermieri che Ratzinger e Wojtyla hanno più volte bollato come responsabili del 'genocidio del nostro tempo', nazisti postmoderni, insomma. Le democrazie hanno diritto di esigere da tutte le religioni 'l'interiorizzazione' della lacità? Cioè: che le religioni chiedano pure ai fedeli di osservare i precetti per la salvezza eterna ma rispettino rigorosamente il diritto al peccato (aborto, eutanasia, blasfemia, omosessualità...) di tutti gli altri e mai pretendano che lo Stato faccia di un precetto religioso una legge?” (Libertà, perplessità, paura. Dieci domande su critica e laicità nell'epoca del terrorismo, “MicroMega”, 2015, 1, p. 25).

 

È la crescente presenza islamica a indurre l'Occidente a rappresentarsi, a torto, come compiutamente laico

Renata Pepicelli, cultore della materia in Storia e Istituzioni dei Paesi Islamici presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Roma tre, sostiene: “La riaffermazione della religione, nella vita privata e nello spazio pubblico, non riguarda solo l'Islam ma tutte le religioni in varie parti del mondo. Se circoscriviamo il nostro sguardo all'Europa, possiamo notare che le diverse religioni presenti non sono solo scomparse, come profetizzava chi vedeva nel Novecento il secolo del loro tramonto, ma si stanno nuovamente affermando, anche grazie a un sempre maggior pluralismo e alle migrazioni […] L'idea di un'Europa omogeneamente secolare è in realtà un mito che si è rafforzato in opposizione alla crescente presenza islamica. Prendendo in considerazione paesi come la Francia, la Germania, l'Inghilterra, la Spagna, l'Italia e il Belgio, possiamo infatti notare facilmente come la relazione tra religione e secolarismo vari in misura consistente. La particolare storia italiana, dove il cattolicesimo è stato religione di Stato fino al 1984, o la peculiarità della laicité francese, che non ha corrispettivi nel resto del continente, sono la riprova di ciò” (Renata Pepicelli, Il velo nell'Islam. Storia, politica, estetica, Carocci, 2012, p. 75).

 

L'accusa di islamofobia è un'arma degli apologeti dell'Islam

Come riportato dalla redazione di “Newsweek”, il giorno stesso dell'attacco terroristico alla redazione del settimanale satirico “Charlie Hebdo”, l'organizzazione tedesca dei Patrioti Europei contro l'Islamizzazione dell'Occidente (PEGIDA, secondo l'acronimo tedesco) ha lanciato, con un post sulla sua pagina facebook, un messaggio secondo il quale “gli islamisti, contro i quali PEGIDA ha lanciato il suo allarme nelle ultime 12 settimane, hanno mostrato oggi in Francia di non essere capaci di praticare la democrazia, ma al contrario di vedere violenza e morte come soluzioni [...] nostri leader politici vogliono farci credere che sia vero il contrario” (TdR) (German PEGIDA Group Says Paris Shooting Shows Islamist Threat, “newsweek.com”, 7 gennaio 2015).
Quasi dieci anni prima dell’ascesa di PEGIDA, intervistato da “Der Spiegel”, il siriano Bassam Tibi, professore emerito di Relazioni Internazionali presso l'Università di Gottinga, lamentava l'accentuato carattere tabuistico intorno al tema del radicalismo islamico in Germania e l'utilizzo sistematico dell'accusa di razzismo e insensibilità culturale nei confronti di chi criticava l'Islam. Così l’intervista: “Tibi -  quando si tratta di Islam, in Germania non c'è libertà di stampa né di opinione. Sono i gruppi organizzati delle comunità islamiche che decidono cosa può essere detto o fatto. Io stesso ho dovuto rinunciare a partecipare a molti eventi, a causa di minacce.
Spiegel - sta dicendo che chi critica l'Islam viene sistematicamente messo sotto silenzio in Germania?
Tibi - sì. Persino quella che al confronto può essere detta una organizzazione turca moderata, la DITIB, dice che non esistono islamisti, ma solo Islam e musulmani. Tutto il resto è razzismo. Il che significa che tu non puoi più criticare la loro religione. L'accusa di razzismo è un'arma particolarmente efficace in Germania, e gli islamisti lo sanno: appena accusi qualcuno di demonizzare l'Islam, ecco che i sostenitori dell'Europa si piegano. […] I leader musulmani che vivono qui sono molto scaltri e vedono questa debolezza. I musulmani si schierano totalmente dalla parte della loro religione. È una sorta di assolutismo religioso. Gli europei, invece, hanno smesso di difendere i valori della loro civiltà, confondendo la tolleranza col relativismo.
Spiegel - quando qualcosa offende i musulmani, tendiamo spesso a fare semplicemente un passo indietro. È qualcosa che va nella direzione di attenuare il conflitto?
Tibi - no. Questo significa semplicemente arrendersi [...] L'accusa di insensibilità culturale è un'arma. E la dobbiamo neutralizzare” (TdR) (Cordula Meyer, Valentine Schmidt, Interview with German Islam Expert Bassam Tibi: 'Europeans Have Stopped Defending Their Values', “spiegel.de/international”, 2 ottobre 2006).

Così dalle pagine de “Il Foglio”: “’L’accusa di islamofobia è spesso usata come arma dagli apologeti dell’islamismo per mettere a tacere i loro critici', dichiarò il premier Valls all’indomani degli attentati terroristici di gennaio, rompendo l’omertà dilagante nel suo partito. Prima di lui, era stato Gilles Kepel, non un pericoloso reazionario ma una figura di spicco dell’intellighenzia goscista, islamologo e opinionista di grido del Monde, a negare l’esistenza di un problema d’islamofobia in Francia nel suo libro ‘Quatre-vingt-treize’. Il filosofo e saggista Pascal Bruckner, su ‘Libération’, aveva tuonato contro l’islamofobia, quale 'invenzione' fabbricata dall’antirazzismo e dalla gauche per 'negare la realtà di un’offensiva islamica in Francia'. L’unica in Francia a mettere in discussione le cifre del CCIF prese come oro colato dai giornaloni progressisti, è stata Isabelle Kersimon, giornalista e autrice del libro 'Islamophobie: la contre-enquête' (scritto a quattro mani con il giornalista e specialista di storia del diritto Jean-Christophe Moreau), all’interno del quale mette sotto accusa l’allarmismo ingiustificato sulla questione dell’islamofobia, fenomeno che secondo il sistema politico-mediatico non cesserebbe di aumentare anno dopo anno e che invece resta ancora marginale” (Mauro Zanon, Perché “l'islamofobia di stato” in Francia è un allarme ingiustificato, “ilfoglio.it”, 18 febbraio 2015).
Il CCIF, a detta di Isabelle Kersimon: “‘Milita espressamente contro le leggi sulla laicità del 2004 e del 2010, che giudica islamofobe, e porta avanti in maniera surrettizia l’ideologia islamista’” (Ibidem).
Secondo Michel Onfray: “Il 'politicamente corretto' della nostra epoca trasforma in islamofobo chiunque abbia l'audacia di ritenere giusto il pensiero dei filosofi dell'illuminismo in merito a religione, laicità, democrazia, ragione e filosofia. Ebbene, questa parola, islamofobo, è stata inventata di sana pianta dai mullah per screditare chiunque non sia musulmano come ortodossia comanda. Tanto che l'impiego di questo termine situa chi lo sceglie dalla parte degli integralisti religiosi” (Michel Onfray, Illuminismo necessario. Introduzione a Hamid Zanaz, Sfida laica all'Islam. La religione contro la vita, Elèuthera, 2013, p. 7).

 

Jihad by court: la guerra santa attraverso i tribunali

Di una vera e propria strategia giuridica che utilizza strumentalmente l'accusa di islamofobia scrive Valentina Colombo in un articolo pubblicato sul sito “The Legal Project”, dal titolo evocativo quanto icastico Jihad by court, ovvero Guerra santa attraverso i tribunali.
La giornalista descrive come siano sempre più numerosi i casi in cui commentatori e personaggi pubblici che esprimono tesi critiche nei confronti dell'Islam vengano accusati di reati come l'istigazione all'odio razziale o la diffamazione. Tutto ciò con la precisa strategia di subissare i querelati con il peso delle procedure legali allo scopo di farli desistere dall'esprimere ulteriormente le loro opinioni: “Tali cause legali hanno spesso carattere predatorio, documentate senza una reale aspettativa di vittoria, ma sottintese come mezzi per dissanguare finanziariamente, distrarre, intimidire, demoralizzare gli imputati. I querelanti mirano meno a vincere nei tribunali che a sfiancare i difensori. E anche quando sono questi a vincere il caso, pagano pesantemente in termini di tempo, denaro, e morale” (TdR) (Valentina Colombo, Jihad by court, “legal-project.org”, 15 maggio 2009).
La giornalista riporta l'opinione dell'esperto di antiterrorismo statunitense Steven Emerson, secondo il quale “l'azione legale è divenuta un grimaldello delle organizzazioni islamiste radicali che cercando di intimidire e silenziare i propri critici; e questo attraverso un sapiente uso al contempo mediatico e giuridico, molto migliore di quello che ne facciamo noi occidentali, della libertà di parola” (Ibidem).

 

Ipocrisia occidentale nei confronti dell'Islam

Per Edward Luttwak, intervistato da Gian Micalessin (Che illusi USA ed Europa. Questo è il vero Islam, “Il Giornale”, 23 agosto 2014) l'irriducibile violenza dell'Islam è “una realtà che [i governi occidentali] conoscono bene, ma su cui preferiscono tacere. Gli islamici combattono dalle Filippine alla Thailandia, dall'India al Pakistan, dall'Afghanistan a Gaza, dall'Iraq alla Nigeria e al Mali. Eppure Obama e i capi di governo europei ripetono che l'Islam è una religione di pace. […] La grande bugia dell'Islam religione di pace domina la scena”.
Un simile grido d'allarme veniva lanciato dalla giornalista e scrittrice italiana Oriana Fallaci con il saggio La rabbia e l'orgoglio, apparso per la prima volta sulle pagine del “Corriere della Sera” nel 2001 a seguito degli attacchi terroristici dell'11 settembre. La giornalista denunciava con forza l'ipocrisia dei commentatori occidentali che si sforzavano a suo parere di operare degli indebiti distinguo: “Intimiditi come siete dalla paura d'andar contro corrente cioè d'apparire razzisti (parola oltretutto impropria perché il discorso non è su una razza, è su una religione), non capite o non volete capire che qui è in atto una Crociata alla rovescia. Abituati come siete al doppio gioco, accecati come siete dalla miopia, non capite o non volete capire che qui è in atto una guerra di religione. Una guerra che essi chiamano Jihad. Guerra Santa. Una guerra che non mira alla conquista del nostro territorio, forse, ma che certamente mira alla conquista delle nostre anime. Alla scomparsa della nostra libertà e della nostra civiltà. All'annientamento del nostro modo di vivere e di morire, del nostro modo di pregare o non pregare, del nostro modo di mangiare e bere e vestirci e divertirci e informarci. Non capite o non volete capire che se non ci si oppone, se non ci si difende, se non si combatte, la Jihad vincerà. E distruggerà il mondo che bene o male siamo riusciti a costruire, a cambiare, a migliorare, a rendere un po' più intelligente cioè meno bigotto o addirittura non bigotto. E con quello distruggerà la nostra cultura, la nostra arte, la nostra scienza, la nostra morale, i nostri valori, i nostri piaceri” (Oriana Fallaci, La rabbia e l’orgoglio, Rizzoli, 2004).