La Chiesa cattolica non ha mai accettato il sacerdozio femminile, è la tradizione o magistero universale

Diaconesse, presbiterae, episcopae

 “Tra le più illustri diaconesse si possono ricordare Olimpia, amica di san Giovanni Crisostomo, e, forse, Macrina, sorella di san Basilio, di cui scrisse la vita il fratello, il famoso Gregorio Nisseno. A Bisanzio si hanno tracce di diaconesse fino al secolo XIII. Il loro ruolo fu ancora maggiore in Siria. Presso i Siri occidentali alcuni canonisti, come Giovanni di Tella del VI secolo e Giacomo di Edessa, tendono a limitarne i poteri, ma riconoscono il loro diritto soprattutto nelle comunità femminili (ossia non in pubblico) a fare letture sacre, a recitare le preghiere diaconali, e anche a distribuire l'eucarestia. Nella Siria orientale poi, le diaconesse possono leggere i testi liturgici anche nella loro chiesa e distribuire il pane consacrato e il calice fino in pieno medioevo. In Occidente, invece, si nota una certa ripugnanza per il titolo di 'diaconessa' fin dal Concilio di Nimes (394-396), di Orange (441), di Epaona (517) e di Orleans (535); e il ripetersi di questi avvertimenti potrebbe attestare, non tanto la difficoltà che si aveva a sradicare un'usanza venerabile per la sua antichità, quanto piuttosto una resistenza di fronte a un uso orientale che cercava di introdursi” (Ida Magli, Storia laica delle donne religiose, Longanesi, 1995, pp. 27-28). Basandosi sulla ricostruzione storica della situazione della Chiesa paleocristiana del Mediterraneo centro-orientale contenuta nei lavori del prestigioso storico del cristianesimo Giorgio Otranto (Note sul sacerdozio femminile nell'antichità in margine a una testimonianza di Gelasio I, “Vetera Christianorum”, 1982, 19;), vari studiosi (Ida Magli, Storia laica delle donne religiose, cit.; Gary Macy, The Hidden History of Women's Ordination: Female Clergy in the Medieval West, OUP USA, 2007; e Carolyn Osiek, The Ministry and Ordination of Women According to the Early Church Fathers, in Carroll Stuhlmueller, a cura di, Women and Priesthood. Future directions, Liturgical Press, 1978, pp. 59-68) contestano l'argomento della tradizione, diffuso a livello verticistico in tutta la Chiesa cattolica.
Alle critiche, che specificano come il ruolo di diaconessa non sia affatto equivalente a quello del sacerdote, Macy risponde affermando che è stata l'elaborazione dei teologi fra l’undicesimo e il dodicesimo secolo a modificare la concezione del sacerdozio (sono i maschi a servire all'altare) e di conseguenza a considerare come laiche (non “ordinate”) le diaconesse, le episcopae e le presbiterae. Su di esse e sui loro uffici, afferma Macy, è stata operata una sorta di damnatio memoriae, volta a negare il ruolo e l'equivalenza con gli omologhi di sesso maschile. (Gary Macy, The Hidden History of Women's Ordination..., cit.).

 

Tradizione, tradizioni

Sulla natura normativa della tradizione si interroga Gilbert Ostdiek, professore di Liturgia alla Catholic Theological Union di Chicago, ponendo la questione di cosa sia normativo per la tradizione, ovvero in che modo tali usi si siano stabiliti e si siano conservati, quali siano state le norme che l'hanno definita e quale sia il suo rapporto con il cambiamento e con l'innovazione. Ostdiek sostiene, inoltre, un'idea di tradizione passibile alle modificazioni nel tempo contro la posizione ufficiale della Chiesa e il suo appello alla tradizione immutabile (Gilbert Ostdiek, The Ordination of Women and the Force of Tradition...,cit.). A questo proposito Kelley A. Raab (When Women Become Priests. The Catholic Women's Ordination Debate, Columbia University Press, 2000) nota come, nelle condizioni particolari della Chiesa del silenzio” operante sotto il regime comunista in Cecoslovacchia, siano stati ordinati preti più di quattrocento uomini sposati, e anche molte donne (Ruth McDonough Fitzpatrick, Women Ordination Conference Delegation visits Czechoslovakia, “New Women, New Church”, 1992, 15; Petr Fiala, Jiri Hanus, Women's Ordination in the Czech Silent Church, “The Month”, 1998, 259): tali eccezioni in quale rapporto stanno con la tradizione? È plausibile, sostiene l'autrice, evidenziare come la tradizione sia dunque passibile di modifiche nel corso del tempo (Kelley A. Raab, When Women Become Priests…, cit., pp. 34-35). Senza affatto negare il potere normativo della tradizione, ma proponendone una più ampia apertura a possibilità di modifiche, Raab nota del resto un ulteriore elemento critico riguardo l'argomento della tradizione: è indubbiamente giusto imitare l'esempio di ciò che Cristo ha fatto, ma come ci si deve porre in relazione a ciò che egli non ha fatto? A tal proposito John J. Begley e Carl J. Armbruster (Women and Office in the Church, “American Ecclesiastical Review”, 1971, 165) parlano di una non-tradizione, piuttosto che di una vera e propria tradizione. L'autrice ricorda come in casi analoghi di discussione, come quella tra Pietro e Paolo riguardo la conversione dei Gentili (Gesù aveva infatti convertito solo ebrei), la Chiesa abbia sempre optato per la soluzione maggiormente inclusiva e rifiutato quella esclusiva, e invoca l'uso dello stesso criterio nel dibattito sull'ordinazione femminile (Kelley A. Raab, When Women Become Priests…, cit., p. 35). Carolyn Osiek ammonisce riguardo all'uso della tradizione come strumento autoritario per limitare lo sviluppo delle scelte della Chiesa: stigmatizza questa pratica come un tentativo di controllare lo Spirito Santo, il quale si manifesta invece nella tradizione come base su cui si costituisce l'esperienza viva dei fedeli (Carolyn Osiek, The Ministry and Ordination of Women… , cit., p. 68). Concorde nello stigmatizzare questo utilizzo della tradizione è Francine Cardman (Tradition, Hermeneutics, and Ordination, in James A. Coriden, a cura di, Sexism and Church Law. Equal Rights and Affirmative Action, Paulist Press, 1977, p. 74), la quale sottolinea come lo sviluppo di questioni disciplinari, che necessitano di giustificazioni razionali, siano state via via elevate al rango intoccabile di “tradizione” (così anche Haye Van der Meer, Women Women Priests in the Catholic Church? A theological-historical investigation Temple University Press, 1973; e Sebastian MacDonald, Human Conflicts within Church Ministry and the Ordination of Women, in Carroll Stuhlmueller, a cura di, Women and Priesthood: Future Directions, Liturgical Press, 1978 ), laddove esse invece non ne rispecchiano appieno il senso genuino, come è appunto il caso dell'estromissione delle donne dal sacerdozio.
Paul Lakeland, gesuita e docente di Studi cattolici alla Fairfield University, respinge tale posizione come non decisiva in quanto, chi sostiene una visione così rigida e conservatrice del ruolo della tradizione come criterio decisionale, dovrebbe anche dimostrare che tutte le decisioni di Gesù e i comportamenti degli apostoli vengano seguiti e imitati con zelo dalla Chiesa, o in alternativa spiegare il criterio che distingue quelli che vanno reiterati da quelli che si possono abbandonare (Paul Lakeland, Can women be priests? Ordination of Women in the Ecumenical Perspective, The Mercier Press, 1975); egli definisce tale difesa rigida e conservatrice della tradizione “un vegetale di duemila anni tenuto in vita da un respiratore artificiale ecclesiastico” (Paul Lakeland, The Ministerial Priesthood, “The Way”, 1976, 16). La sua posizione è quella di ritenere inessenziali alla fede i particolari della vita di Cristo, che non siano strettamente legati a chi egli è stato e a ciò che fece, mentre le verità imprescindibili della fede (la Trinità, l'Incarnazione, la morte e resurrezione, l'amore e il servizio, la salvezza, l'eucarestia) sono indipendenti dal contesto storico-culturale in cui si sono manifestate (Paul Lakeland, Can women be priests?..., cit., p. 22).
Alla ricerca di un simile criterio di distinzione è anche Joanne Dewart, storica della Teologia presso la Toronto School of Theology, la quale si richiama ai lavori di Yves Congar, cardinale francese fra gli iniziatori della cosiddetta “nuova teologia”, il quale propone una distinzione tra “Tradizione”, il senso complessivo del Vangelo, e le “tradizioni”, le pratiche e credenze tramandate dagli apostoli e adattate ai costumi dell'epoca (Yves Congar, La Tradizione e le tradizioni, Edizioni Paoline, 1965). Si interroga sulla genesi della tradizione anche l'eminente teologa Elisabeth Schüssler Fiorenza, la quale propone per essa un'ermeneutica che, nella descrizione di Mary Rose d'Angelo (A Feminist Reading of Scripture, “The Ecumenist”, 1985, 23) finisce per considerare come autentica tradizione solo quelle pratiche tramandate dai Vangeli che rompono apertamente con la struttura patriarcale della società, spostando, di fatto, il locus della Rivelazione dalle Sacre Scritture ai movimenti politico-culturali che stanno dietro alla loro redazione.; Evidenzia i punti critici di tale metodologia, come dettata da un'agenda politica a priori che distorce il senso delle Scritture, Mara Kelly-Zukowski (The Role of Tradition in Modern Catholic Ecclesiological Problems. The Ordination of Women and the Interpretation of Catholic Truths, International Scholars Publications, 1998).

 

Continuità della Tradizione

Il rifiuto dell'ordinazione femminile, che il cardinale Carlo Maria Martini riconosceva come “una prassi della Chiesa che è profondamente radicata nella sua tradizione e che non ha mai avuto reali eccezioni in due millenni di storia” (Carlo Maria Martini, Umberto Eco, In cosa crede chi non crede?, Liberal Libri, 1996, p. 18), non rischia di essere messo in questione dalle aperture di papa Francesco al diaconato femminile, assicura il teologo e cardinale Walter Kasper, andando a rassicurare le frange conservatrici dei vertici ecclesiastici, che temono che l'apertura al diaconato possa rappresentare una “china scivolosa” verso l'ordinazione sacerdotale (Francesco Antonio Grana, Donne diacono, cardinali divisi dopo l’apertura di Francesco. Socci: “E’ un suicidio”, “Il Fatto Quotidiano”, 13 maggio 2016); un'opinione del resto condivisa dalla storica della Chiesa, Lucetta Scaraffia (Laura Badaracchi, Ora la Chiesa ascolti veramente le donne, “Credere”, 29 maggio 2016).
Anche secondo Peter Seewald e Joseph Ratzinger “la Chiesa, i vescovi di ogni luogo e tempo, hanno sempre insegnato questo e hanno sempre agito in questo modo […]. Non si tratta dunque, come detto precedentemente, di un atto di infallibilità posto dal papa, ma il suo carattere vincolante si basa sulla continuità della tradizione. Infatti questa continuità dall’origine è già qualcosa di molto importante. Tanto più che allora non era affatto una cosa ovvia. Infatti, le antiche religioni conoscevano l’istituzione delle sacerdotesse, e lo stesso avveniva anche nei movimenti gnostici […]. La tradizione non è nata dal mondo circostante, ma dall’interno del cristianesimo” (Peter Seewald, Joseph Ratzinger, Il sale della terra: Cristianesimo e Chiesa cattolica nel XXI secolo. Un colloquio con Peter Seewald, San Paolo, 1997).
Nella storia della Chiesa non si trova citata esplicitamente l'ordinazione sacerdotale femminile, ma quella diaconale, (Mara Kelly-Zukowski, The Role of Tradition in Modern Catholic Ecclesiological Problems. The Ordination of Women and the Interpretations of Catholic Truths, International Scholars Publications, 1998, pp. 174-177), la quale indica una condivisione dei compiti che solo successivamente saranno associati alla figura del sacerdote (sempre e solo maschio), il cui ruolo inizierà a essere ben definito soltanto agli inizi del XII secolo dopo un'opera di vasta risistemazione teologica (Catholic Biblical Association, “Council on the Study of Religion Bulletin”, 1980, 2).
Una questione, questa, che dovrà essere approfondita da una apposita commissione di studi, secondo quanto annunciato da papa Francesco durante una udienza delle delegate della UISG, l'Unione Internazionale delle Superiori Generali (Andrea Tornielli, Il Papa: le antiche diaconesse, una possibilità da studiare, “la Stampa”, 12 maggio 2016).
Il coinvolgimento delle donne nella vita attiva della Chiesa delle origini deve essere ben studiato e compreso, in modo che emergano le differenze nei ruoli che già ai tempi della Chiesa primigenia intercorrevano tra le diaconesse e i sacerdoti.

 

La Tradizione è divinamente ispirata

 A respingere la possibilità di un declassamento della tradizione a “costumi antiquati e pittoreschi” (“quaint and old customs”) intentato dalla scuola “storicistica”, è William Bartley Smith, il teologo morale del St. Joseph’s Seminary di Dunwoodie (New York), che rivendica l'origine divina della tradizione come fonte della Rivelazione, con la quale si può a ragione motivare l'esclusione del genere femminile dagli ordini sacerdotali (Paul Wilkes, Equal Rights of the Altar of God?, “The New York Times”, 30 novembre 1980). L'eminente teologo Karl Rahner, nelle sue lezioni dei tardi anni Cinquanta (come riportato da Haye Van Der Meer, Women Priests in the Catholic Church? A theological-historical investigation,Temple Univ Press, 1973), respinge ogni tentativo di confutare a livello di indagine storica l'intenzione di Gesù di ordinare al ministero esclusivamente uomini, i Dodici, e rivendica il diritto per la Chiesa di rimanere “imprigionata” alla situazione storica particolare in cui ha avuto luogo la Rivelazione: le donne non possono, oggi, in un mondo senza dubbio molto diverso da quello della Palestina del primo secolo, partecipare al ministero ecclesiastico, per lo stesso motivo per cui, ancora oggi, si utilizzano vino d'uva e pane di farina di grano per l'eucarestia (mentre se, per esempio, Cristo si fosse incarnato nello stesso periodo in Germania, afferma Rahner, si dovrebbe certamente celebrare tale rito con birra e pane di segale).