È necessario negoziare con Bruxelles e mettere in campo delle riforme in cambio di più flessibilità sul Fiscal Compact

Merkel, Draghi e Barroso

Sia la cancelliera tedesca Angela Merkel, sia il presidente della Banca centrale europea l’italiano Mario Draghi, sia il presidente della Commissione europea Manuel Barroso hanno espresso più volte l’opportunità di non violare i vincoli contenuti nel Fiscal Compact.

 

Merkel: “L’Italia rispetterà il Patto di stabilità”

Angela Merkel ha affermato, nella conferenza stampa seguita all’incontro bilaterale del 17 marzo 2014 con il presidente del Consiglio del governo italiano Matteo Renzi: “Per me è anche chiaro che l’Italia rispetta il Patto di stabilità e crescita in entrambe le sue componenti: crescita e occupazione da una parte e dall’altra stabilità e riconoscimento del Fiscal Compact” (Merkel “molto impressionata” da Renzi, non dubita rispetterà norme Ue, “News.Yahoo.com”, 17 marzo 2014). Nello stesso articolo si notava che “fonti vicine al premier avvalorano la tesi che dopo le elezioni europee di maggio e l’insediamento della nuova Commissione, Roma, che a luglio assumerà la carica di presidente di turno dell’Ue, chiederà più tempo per rispettare gli impegni europei e in particolare le nuove regole europee sul debito”.

 

Barroso: “non si cresce con la spesa”

Il 21 marzo 2014, all’indomani dell’incontro tra Renzi e Barroso, allora presidente della Commissione europea, nell’articolo Barroso: semplicistico cambiare le regole, bisogna fare di più per investimenti (“Il Sole 24 Ore”, 21 marzo 2014), si riporta il monito lanciato da quest’ultimo: “non si cresce con la spesa”. Cambiare le regole “è un’idea semplicistica perché non è spendendo di più che facciamo più crescita”. E poi ha aggiunto: “agli italiani, che credono che la Commissione impone vincoli, voglio spiegare che non imponiamo nulla, è tutto scritto nei Trattati che vanno rispettati sennò l’Ue non può funzionare. […] Se c’è un paese che vuole cambiare le regole della governance economica può proporlo e vedere se passa, ma credo che non sia questo il cammino, piuttosto dobbiamo fare di più per gli investimenti”. In conclusione, per Barroso, Bruxelles ha solo “l’obbligo, che ci hanno dato gli Stati tra cui l’Italia, di far rispettare assolutamente il Patto di stabilità e il Fiscal Compact, e Renzi ha detto che svilupperà le sue riforme nel rispetto dei Trattati”.

 

Draghi: “essenziale che le regole vengano applicate”

Il presidente della Banca Centrale Europea Mario Draghi, “riferendosi alla disciplina di bilancio europea e in particolare al Fiscal Compact, ha chiesto che le ‘regole vengano applicate’: ‘È essenziale’, ha sottolineato. Draghi ha poi ricordato che ‘l’alto debito’ rende quasi tutti gli Stati vulnerabili al contagio, aumentando la probabilità di cadere in uno squilibrio in cui ‘alti tassi inducono il default’” (Draghi: “Applicare Fiscal Compact”, “tgcom24.mediaset.it”, 9 luglio 2014).

 

L’Italia manca della credibilità necessaria per trattare una maggiore flessibilità del patto di bilancio

Nell’articolo di Fabrizio Goria Fiscal Compact: cosa si può modificare e cosa no (“panorama.it”, 11 giugno 2014), se da un lato si sostiene che ciò che si potrà modificare del Fiscal Compact sono le tempistiche sul rientro del debito, ma non le regole “deficit/PIL al 3% e debito/PIL al 60% del PIL”, dall’altro si evidenziano due ragioni – una endogena, l’altra esogena – che rendono difficoltosa la negoziazione di flessibilità per l’Italia. La prima ragione è il fatto che probabilmente l’Italia non ha la “credibilità necessaria per avviare un tavolo di discussione su una maggiore flessibilità del patto di bilancio”.

 

La Germania si oppone a trasferimenti di denaro dal centro verso l’esterno

Continua poi Goria: “La seconda ragione è quella più importante, almeno nel lungo periodo. Il pacchetto di misure anti-deflazione lanciato dalla Bce […] ha riaperto la discussione in Germania sugli aiuti, espliciti e non, ai paesi dell’eurozona periferica. Da Berlino è partita la barricata contro Mario Draghi, colpevole di foraggiare le economie meno virtuose senza che queste adottino le riforme strutturali di cui hanno bisogno. Soprattutto, la Germania ha paura che l’attuale politica monetaria di tassi prossimi allo zero, o negativi nel caso dei depositi presso la Bce, non riesca a risolvere i problemi della periferia della zona euro, lasciando spazio a interventi più massicci. In altre parole, nuovi esborsi e nuovi rischi, anche per la Germania. Aprire a un altro trasferimento di denaro dal centro verso l’esterno - così verrebbe concepita una revisione del Fiscal Compact dall’opinione pubblica tedesca – non è verosimile. Di contro, fanno notare diversi osservatori delle vicende europee, la Germania potrebbe essere d’accordo a un programma di investimenti mirati, a patto che i Paesi più indietro con le riforme inizino a portarle a compimento” (ibidem).

 

Ampi spazi di discrezionalità politica nell’applicazione del Fiscal Compact

Federico Mucciarelli, docente di Diritto Commerciale all’Università di Modena, nell’articolo Fiscal Compact: un problema di democrazia (“sbilanciamoci.info”, 29 giugno 2014), sottolinea gli ampi spazi di discrezionalità politica nell’applicazione delle regole del Fiscal Compact e nella valutazione di parametri come il PIL potenziale, che potrebbero vanificare le speranze di coloro che, da questi stessi parametri, ricavano la possibilità di una maggiore flessibilità. Scrive Mucciarelli: “Formalmente, non si tratta di scelte politiche, ma di valutazioni meramente tecniche. In realtà, dietro la facciata di algide regole formali e di previsioni economiche ‘oggettive’, si celano spazi di discrezionalità amplissimi e zone grigie, dove il controllo democratico è assente. Quella che altrimenti sarebbe una mera descrizione della realtà o una previsione sul futuro, al contatto con le norme del ‘patto di stabilità’ si trasforma inesorabilmente in una stringente prescrizione, dando corpo agli obblighi di realizzare il pareggio di bilancio e di ridurre il debito pubblico. A sua volta, scelte politiche vengono legittimate da grandezze, quali il PIL potenziale e la disoccupazione strutturale, presentate come dati oggettivi, ma che in realtà implicano un certo grado di discrezionalità, se non di arbitrarietà. E, quindi, anche tali grandezze sono espressione di scelte politiche”.

Riforme in cambio di flessibilità

Il 14 aprile 2014, l’agenzia ASCA riporta le seguenti dichiarazioni dell’ex presidente del Consiglio Enrico Letta: il Fiscal Compact “così com’è sarebbe terribile per l’Italia”. Il pacchetto di regole per spingere i paesi dell’Eurozona a ridurre il proprio debito pubblico andrebbe migliorato “con un’applicazione la meno rigida possibile”. Le regole previste dal Fiscal Compact “sono per noi difficili da sostenere” e occorre “negoziare con Bruxelles e mettere in campo delle riforme in cambio di più flessibilità sul Fiscal Compact” (Ue: Letta, serve Fiscal Compact meno rigido, così è terribile, “askanews.it”, 14 aprile 2014).

 

Possibili margini di manovra

Un articolo dell’Ansa, Patto e Fiscal Compact, dov’è la flessibilità, pubblicato il 25 giugno 2014, mira ad individuare dei possibili margini di manovra all’interno del Patto di stabilità e del Fiscal Compact, ritenendo come “già possibile” un “consolidamento ‘amico della crescita’”. Tre sono i punti sottolineati nell’articolo. Innanzitutto, nel Patto di stabilità è contemplata la “flessibilità in tempo di crisi”, concessione già accordata a Francia, Spagna, Portogallo e Grecia: “Se la crescita si deteriora inaspettatamente, gli Stati con deficit sopra il 3% possono avere più tempo per correggerlo, a patto che facciano gli sforzi strutturali necessari”.
Nel Fiscal Compact, inoltre, è previsto che “si può deviare temporaneamente dall’obiettivo di medio termine (pareggio di bilancio, ndr) o dal percorso di avvicinamento a tale obiettivo solo in circostanze eccezionali”, ovvero “eventi inconsueti che abbiano rilevanti ripercussioni sulla situazione finanziaria della pubblica amministrazione oppure periodi di grave recessione economica”.

L’agenzia Reuters ha stilato un elenco dei fattori rilevanti che potrebbero escludere che uno Stato che ha violato il criterio del debito entri in procedura d’infrazione: “l’andamento della posizione debitoria a medio termine, la struttura per scadenze e i titoli di Stato emessi in valuta diversa dall’euro; le operazioni di aggiustamento stock-flussi del debito; le riserve accantonate e l’attivo del bilancio pubblico; la dimensione delle garanzie pubbliche, specie quelle legate al settore finanziario; le passività, sia esplicite che implicite, connesse con l’invecchiamento della popolazione e quindi l’evoluzione della spesa pensionistica; il livello del debito privato, nella misura in cui rappresenti una passività implicita potenziale per il settore pubblico”, e soprattutto “il contributo finanziario ai fondi salva Stati europei Efsf ed Esm e i prestiti bilaterali alla Grecia. Una voce che pesa sul debito pubblico italiano per più di 55 miliardi” (L'Italia alla prova del Fiscal Compact, “reuters.com”, 26 marzo 2014).
Infine l’ultimo punto riguarda, la “clausola degli investimenti”, che permette “deviazioni temporanee” dal raggiungimento del pareggio, ma solo se si rispetta la regola di riduzione del debito (Patto e Fiscal Compact, dov’è la flessibilità, cit.).

 

La divergenza tra crescita potenziale e crescita reale rende possibile la flessibilità

Sulla posizione della “flessibilità” in merito all’applicazione del Fiscal Compact si inserisce uno dei principali consiglieri economici del presidente del Consiglio Matteo Renzi, Filippo Taddei, docente di Economia alla Johns Hopkins University, responsabile Economia del PD. Filippo Taddei invita ad una maggiore attenzione rispetto alla comprensione dell’applicazione delle norme contenute nel Fiscal Compact: “Questi obiettivi valgono se il ciclo economico non è avverso, non sono applicabili meccanicamente. […] C’è un problema che tutti fanno finta di ignorare. Il problema è tecnico ma è un punto fondamentale. Si tratta di una questione di comprensione delle norme. Provo a essere chiaro. Le norme di cui abbiamo parlato finora entrano in azione solo a condizione che la crescita reale di un paese coincida con la crescita potenziale di quel paese (ossia una crescita al netto della componente ciclica e delle misure di bilancio una tantum, ndr). Più sarà la distanza tra questi valori e più i trattati europei ci permettono di poter muovere le leve della flessibilità”. Il ragionamento di Taddei è imperniato sulla stima della crescita potenziale: “Nel caso specifico tutto dipende da come stimiamo la crescita potenziale dell’Italia. Se la stima del reddito potenziale è in linea con le nostre caratteristiche strutturali, e non con gli ultimi anni disastrosi, allora siamo in una fase avversa del ciclo economico in cui tra il reddito reale e il reddito potenziale c’è uno scarto significativo. Nelle prossime settimane dimostreremo che a queste condizioni la tagliola del Fiscal Compact non può scattare. È come se si chiedesse a un paziente ancora convalescente di tornare in palestra a sollevare decine e decine di kg. Sarebbe suicida. Non-si-può” (Filippo Taddei, Fiscal Compact chi? Piano renziano per evitare una bastonata da 50 miliardi, “partitodemocratico.it”, 5 aprile 2014).
Queste dichiarazioni di Taddei avvalorano quanto ha scritto Fedele De Novellis, docente di Economia politica dell’Università Cattolica, nell’articolo Se la mancata crescita deprime il potenziale (“re-vision.info”, 24 febbraio 2014), analizzando le stime, considerate ottimistiche, del DEF: “Il presupposto della politica fiscale italiana è quindi rappresentato dalla stima di un livello particolarmente ampio della quota del deficit legata al ciclo”.

 

La flessibilità nella tempistica per il rientro dei conti pubblici in cambio di riforme strutturali

Osserviamo che più commentatori hanno individuato un possibile punto di flessibilità sulla questione delle “tempistiche per il rientro dei conti pubblici”, ovvero di come ottenere deroghe sul rientro del disavanzo in cambio di riforme strutturali. Lo stesso De Novellis la caldeggia: “la stima di un saldo strutturale molto vicino al pareggio già nel 2014 potrebbe venire rivista se nei prossimi anni non si registrerà una ripresa ciclica analoga a quella attesa nel Def. In tal caso, sarebbero richieste manovre correttive più ampie rispetto a quanto incorporato nelle politiche annunciate, con il rischio di vanificare le speranze di consolidamento della timida ripresa appena iniziata. Per questo motivo uno dei compiti del nuovo Governo dovrà essere quello di ridefinire gli obiettivi, ad esempio acquisendo obiettivi di deficit meno stringenti rispetto al pareggio, in deroga quindi al dettato costituzionale, oppure concordando una diluizione significativa dei tempi del percorso di aggiustamento” (ibidem).

 

Flessibilità nella responsabilità

In conclusione, Taddei afferma: “Il senso della missione di questo governo è quello di dimostrare che basta il buon senso per trasformare l’Europa in un alleato della crescita. Gli ostacoli da superare sono molti. Non sarà un percorso facile. Ma l’Italia […] ha gli strumenti per andare a Bruxelles e dimostrare ai grandi d’Europa che il modo migliore per combattere i populismi a cinque stelle coincide con una parola chiave: flessibilità nella responsabilità” (Filippo Taddei, Fiscal Compact chi?..., cit.).