Davanti al fallimento irrimediabile di un legame matrimoniale, di fronte ad una nuova unione civile dalla quale siano nati anche dei figli, la Chiesa non può misconoscere la bontà del nuovo matrimonio, nonostante esso non sia sacramentalmente valido, perché anche in una nuova unione possono essere rintracciati dei frutti di bene per le persone. È un bene innanzitutto per i coniugi che, non potendo più vivere in modo sereno e fruttuoso l'unione precedente, ritrovano adesso un nuovo slancio vitale e pace interiore. È un bene anche per gli eventuali figli avuti con il secondo matrimonio: possono contare sulla presenza stabile di entrambi i genitori. Non bisogna accentuare l'aspetto “legalistico” del matrimonio a discapito del sacramento. La Chiesa può e deve accompagnare quelle persone divorziate e risposate che desiderano riaccostarsi all'eucaristia attraverso un percorso che consideri attentamente il vissuto di ciascuno, senza giudicare in modo astratto e valutando caso per caso quali siano le azioni pastorali più efficaci, i tempi ed i modi affinché questo sia realizzabile.