Un’altra grave criticità sollevata è che la manovra, pur aggiungendo risorse in alcuni comparti, non affronta adeguatamente le emergenze dei servizi pubblici, prima fra tutte quella della sanità nazionale. L’incremento di 2,4 miliardi per il 2026 viene giudicato insufficiente rispetto ai bisogni reali di un SSN uscito provato dalla pandemia e da anni di definanziamento. La Fondazione Gimbe, ascoltata in Parlamento, ha evidenziato che “dietro i miliardi sbandierati in valore assoluto” si nasconde il fatto che “in quattro anni la sanità pubblica ha perso l’equivalente di una legge di bilancio”. In rapporto al PIL, infatti, la spesa sanitaria programmata per il 2026 (6,5%) resta di fatto ai livelli pre-pandemici, ben lontana dal picco del 7,4% raggiunto nel 2020 durante l’emergenza Covid. Questo significa che non si sta invertendo la tendenza al sottofinanziamento: l’Italia continuerà a spendere per la salute una quota di PIL tra le più basse d’Europa, malgrado l’invecchiamento della popolazione. I segnali concreti sul territorio confermano la criticità: “liste d’attesa interminabili, spesa privata in crescita e diseguaglianze di accesso” sono la realtà odierna, destinata a perdurare con uno stanziamento aggiuntivo pari a nemmeno la metà di quanto richiesto dalle Regioni. La CGIL aveva indicato come necessari almeno 10,5 miliardi in più per il 2026 solo per riportare il Fondo sanitario sui binari corretti, una cifra ben lontana dai 2,4 effettivi. Non sorprende dunque che il giudizio dei sindacati confederali sulla sanità sia estremamente negativo: “un paio di miliardi, una goccia nel mare”, afferma la CUB, descrivendo un settore “in situazione catastrofica tra mancanza di medici, personale e strumenti” e ricordando che buona parte dei fondi aggiuntivi rischia di finire comunque alla sanità privata convenzionata senza migliorare quella pubblica. Anche altri servizi pubblici restano a corto di finanziamenti strutturali: la scuola, per esempio, non viene quasi menzionata in manovra (se non per l’assunzione di un contingente ridotto di insegnanti di sostegno, già autorizzata prima). La sicurezza e i trasporti locali non ricevono stanziamenti straordinari, malgrado i noti problemi (dalla carenza di organici delle Forze dell’Ordine ai trasporti regionali inadeguati). Un particolare allarme è stato lanciato riguardo ai LEP (Livelli essenziali di prestazione) sociali: il governo ha introdotto per legge alcuni nuovi LEP – ad esempio sugli asili nido – senza però stanziare risorse specifiche vincolate a colmarne il divario territoriale. Lo Svimez (associazione per lo sviluppo del Mezzogiorno) ha avvertito che così si rischia di “cristallizzare la spesa storica” e quindi perpetuare i divari Nord-Sud: in pratica i nuovi LEP resterebbero sulla carta, oppure sarebbero attuati nelle regioni ricche e non in quelle povere, aggravando la disuguaglianza nell’accesso ai servizi. In generale, i critici accusano la manovra di adottare una prospettiva miope e ragionieristica, che tratta sanità e welfare come costi da contenere e non come investimenti sul capitale umano. Si evidenzia come paradosso che l’esecutivo stia anche considerando di aumentare la spesa per la difesa nei prossimi anni (fino al 2% del PIL entro il 2028, su pressione NATO), senza però aver messo in sicurezza la spesa sanitaria neppure rispetto ai livelli pre-Covid: una scelta di priorità che molti giudicano incomprensibile e sbagliata. L’ex ministro Carlo Cottarelli ha rimarcato che il rapporto spesa sanitaria/PIL previsto è “simile a quello della metà del decennio scorso”, annullando dunque i progressi fatti durante l’emergenza. L’opposizione denuncia questa come la manovra dei tagli nascosti: perché, al netto della retorica, di fatto i servizi pubblici continueranno a essere definanziati in termini reali (basti pensare che l’inflazione sanitaria viaggia intorno al 10%, erodendo in un colpo solo il valore del +2,4 mld). In conclusione, la legge di bilancio 2026 non risolve alcuna emergenza sociale, anzi rischia di aggravarle. “Le enormi esigenze di un settore catastrofico come la sanità rimangono insoddisfatte”, afferma la CUB; “la politica continua a nascondere la polvere sotto il tappeto”, rincara un editorialista, sottolineando come i tagli lineari pregressi non vengano davvero compensati. La prudenza di bilancio si traduce, insomma, in austerità sui diritti fondamentali: sanità, istruzione, trasporti e assistenza restano poveri di risorse e ricchi di problemi.
Madeleine Maresca, 6 novembre 2025