Un punto focale delle critiche riguarda l’insufficienza delle misure dedicate a lavoratori e pensionati, ritenute troppo deboli per contrastare la perdita di potere d’acquisto e l’aumento del costo della vita. Il taglio di 2 punti dell’IRPEF sul secondo scaglione – per quanto presentato dal governo come uno sgravio importante – viene ridimensionato dagli analisti: su un reddito di 30.000 euro lordi annui, il risparmio fiscale è di appena 40 euro all’anno, su 50.000 euro è di circa 440 euro. In altre parole, pochi euro al mese in più in busta paga, del tutto insufficienti rispetto all’inflazione che erode centinaia di euro di potere d’acquisto. Inoltre, questa riduzione lascia esclusi circa 30 milioni di contribuenti a reddito basso (sotto i 28.000 euro, che già stavano al 23% IRPEF), i quali “anche per il 2026 non avranno alcun vantaggio fiscale” da questa manovra. Di fatto, nota amaramente la CUB, i lavoratori dipendenti hanno subito nel triennio 2022-24 un drenaggio fiscale di 25 miliardi dovuto all’inflazione (scatto negli scaglioni IRPEF non indicizzati) e la manovra gliene restituisce forse un decimo, lasciando il grosso nelle casse dello Stato. Il risultato è un’operazione considerata quasi simbolica sul fronte salari: la CGIL parla di “mancata restituzione del fiscal drag” e denuncia che il governo non ha voluto utilizzare il tesoretto incassato dall’inflazione per ridurre davvero le tasse sul lavoro come promesso. Allo stesso tempo, i sindacati evidenziano che non vi sono interventi sul lavoro precario e povero: il salario minimo legale è stato scartato, non c’è alcun incentivo alle stabilizzazioni o misure contro il precariato giovanile, né fondi rilevanti per rinnovare i contratti pubblici scaduti (il governo ha stanziato solo una somma modesta per i contratti degli enti locali). Perfino il presidente Mattarella, in un intervento pubblico parallelo, ha sottolineato come “senza salari dignitosi non c’è né dignità né crescita”, un richiamo interpretato come critica implicita alla politica dei piccoli passi seguita dal governo sui redditi da lavoro. Per chi è già pensionato, la situazione non è migliore: la manovra conferma l’aumento graduale dell’età pensionabile (un mese in più dal 2027, due mesi dal 2028) senza introdurre alcun correttivo per i lavoratori gravosi, oltre a quelli esistenti. Le pensioni minime, percepite dagli anziani più in difficoltà, vengono aumentate di soli 20 euro al mese, una cifra definita “offensiva” e “ridicola” dalle opposizioni, specie a fronte di un’inflazione che ha eroso ben più di quel valore. Elly Schlein in Parlamento ha accusato Meloni di tradimento: dopo aver promesso in campagna elettorale “pensioni minime a 1.000 euro”, il governo mette sul piatto 0,66 euro al giorno in più per i pensionati poveri, cioè praticamente nulla. Un altro punto di inequità denunciato è la scelta di prorogare per il 2024-26 la flat tax 15% per le partite IVA fino a 85.000 euro di ricavi (introdotta lo scorso anno): ciò mantiene – e anzi amplifica – la sperequazione per cui un lavoratore autonomo con 60-70mila euro paga un’aliquota piatta ridotta, mentre un dipendente con 50mila euro è tassato al 33%. La CUB parla al riguardo di “iniquità fiscale”: solo i lavoratori dipendenti/pensionati pagano l’aliquota marginale piena, mentre tra flat tax, cedolari secche e agevolazioni sulle rendite finanziarie e i redditi da capitale o autonomi godono di aliquote effettive inferiori. In aggiunta, si contesta la scelta di reiterare l’ennesima “rottamazione” di cartelle esattoriali (la nona in pochi anni): ancora una volta, si manda il segnale che evadere conviene, poiché basta pagare una piccola parte (magari solo la prima rata) e poi attendere un nuovo condono. La UIL osserva che chi paga tasse e contributi regolarmente non ottiene nulla, mentre “chi non ha mai versato, per Covid, guerre o altri motivi, potrà diluire il dovuto in 9 anni”. Sommando tutti questi elementi, il fronte critico sostiene che la manovra tratteggia un’Italia al contrario: premia gli evasori e i furbi (condoni reiterati, flat tax per autonomi benestanti) e dimentica chi vive di lavoro onesto (dipendenti e pensionati a reddito basso o medio). Non a caso, la CGIL ha bollato la finanziaria come “iniqua e socialmente pericolosa”, perché rischia di accentuare il malessere di una popolazione che vede stipendi e pensioni svalutarsi senza adeguato ristoro. La manovra 2026, dunque, non migliora affatto le condizioni dei lavoratori, anzi le peggiora in termini relativi: poche briciole distribuite, mentre il grosso del beneficio fiscale accumulato dall’inflazione resta allo Stato o viene destinato alla copertura di altre voci di spesa.
Madeleine Maresca, 6 novembre 2025