Secondo i critici, la manovra 2026 pecca gravemente di assenza di visione strategica, limitandosi a gestire l’ordinario senza introdurre misure capaci di rilanciare la crescita economica. Malgrado il governo l’abbia definita “prudente”, per le opposizioni è in realtà una manovra rinunciataria, che si accontenta del “galleggiamento” a crescita zero. I numeri macro confermano questa lettura: lo stesso Documento Programmatico del governo prevede un PIL in aumento di appena +0,5% nel 2025 e +0,7% annuo nel 2026-27 – stime di fatto invariante rispetto al tendenziale e ben al di sotto della crescita media UE attesa (~1% annuo). L’intervento finanziario di soli 18 miliardi (lo 0,8% del PIL) è considerato troppo esiguo per imprimere uno stimolo significativo alla domanda interna e alla produzione. “È la manovra più inconsistente dal 2014”, attacca ad esempio il sindacato di base CUB, sottolineando come il quadro programmatico coincida quasi perfettamente col tendenziale – segno che la politica economica è praticamente ferma. Confindustria ha espresso forte preoccupazione: “manca la parola crescita”, ha dichiarato il vicepresidente Emanuele Orsini, lamentando la mancanza di misure forti per investimenti e sviluppo industriale. L’associazione degli imprenditori ha messo in guardia dal “rischio stagnazione” permanente, chiedendo invece un piano da almeno 8 miliardi annui per la competitività. Nulla di tutto ciò è stato accolto: la manovra, a loro dire, “non interviene con forza su settori chiave, né dà segnali coerenti di sviluppo di lungo periodo”, lasciando irrisolte le cause profonde della bassa crescita italiana. Emblematico è il vuoto di politiche industriali strutturali: mentre altri Paesi europei investono in transizione energetica e innovazione, l’Italia non lancia alcun grande progetto. Le poche risorse per le imprese (credito d’imposta ZES, rifinanziamento Sabatini) vengono giudicate insufficienti e a breve respiro. “L’industria italiana da gennaio è nuda” – ha avvertito Confindustria – perché scadono gli incentivi temporanei e la manovra non li rimpiazza adeguatamente. Anche sul fronte energetico-ambientale, cruciale per la crescita sostenibile, la legge di bilancio viene accusata di immobilismo: il WWF denuncia che non c’è “l’inversione di rotta” necessaria verso l’economia verde e la sicurezza climatica, anzi si ignorano quasi le sfide climatiche e si tagliano i fondi per la tutela ambientale. In Parlamento, esponenti dell’opposizione hanno rimarcato tutto ciò con toni severi: Elly Schlein (PD) ha bollato la manovra come “austera e rinunciataria”, proprio perché rinuncia a investire sul futuro e rassegna l’Italia a una crescita zero. Persino alcuni commentatori indipendenti condividono tale valutazione: “Linkiesta” ha parlato di “manovra che non scontenta nessuno, ma non serve a niente”, paragonandola alle finanziarie passive degli anni ‘80. In sintesi, il difetto più grave del provvedimento è l’assenza di spinta propulsiva: il 2026 passerà senza riforme né investimenti strategici, con il rischio di perdere terreno rispetto agli altri Paesi e di restare impigliati nella trappola della bassa crescita e bassa produttività che da decenni frena l’Italia. Lungi dall’essere prudente, questa mancanza di coraggio viene considerata miope e potenzialmente dannosa per il futuro del Paese.
Madeleine Maresca, 6 novembre 2025