Il vegetarianismo è una scelta etica

Vegetarianismo e utilitarismo

Peter Singer arriva alla conclusione circa la moralità della scelta vegetariana partendo da una prospettiva che in filosofia morale viene definita Utilitarismo. L'argomentazione che offre Singer per giustificare la sua scelta vegetariana, nell'articolo Utilitarianism and Vegetarianism, (“Philosophy and Public Affairs”, Vol.9, Issue 4 – Summer 1980) parte dalla constatazione: “sono vegetariano perché sono utilitarista”. La tesi che sottende l'intero discorso è che sono definibili enti morali coloro che hanno la capacità di provare piacere e dolore. Dunque, se il presupposto è che “molti animali non umani possono fare esperienza di dolore e piacere […] dunque essi sono enti moralmente significanti. Hanno uno statuto morale. Rispetto a questo essi sono come gli umani e non come le rocce” (TdR), l'utilitarismo, che “nella sua forma classica, tende a minimizzare il dolore e a massimizzare il piacere” conduce a scegliere come moralmente giusto il vegetarianismo.

L'opinione di quanti ritengono, invece, che si possa attribuire solo agli esseri umani uno statuto morale perché sono gli unici dotati di capacità cognitive quali la razionalità e la parola, per Singer non è corretta e per confutarla usa “l'argomento degli esseri umani marginali”, vale a dire la constatazione che anche tra esseri umani ci sono individui che non condividono queste caratteristiche, quali i neonati o i malati di mente. Invece per definire lo statuto morale si deve puntare su ciò che è comune a tutti gli uomini e che è condiviso anche dagli animali. A sostegno di questa tesi Singer recupera le parole di Jeremy Bentham che scrisse “La domanda non è 'possono ragionare?' o 'possono parlare?' ma 'possono soffrire?'” e questa è la domanda cruciale che, secondo Singer, definisce gli enti che hanno diritto a un trattamento morale. La capacità di soffrire è ciò che accomuna tutti gli esseri umani e che può essere estesa anche agli animali. Così gli animali, visto che possono soffrire o, al contrario, provare piaceri nella loro vita “hanno interessi che dobbiamo tenere in conto, e dovremmo dare a questi interessi un peso uguale agli interessi di tutti gli altri esseri viventi con interessi simili. Non dobbiamo ignorare il loro interesse di non soffrire solo perché non possono parlare o sono incapaci di ragionare […] il principio di uguale considerazione degli interessi può essere applicato sia agli umani che agli animali. È in questo senso che voglio elevare gli animali allo status morale degli uomini” (Speciesism and moral status, “Metaphilosophy”, Vol. 40, luglio 2009, TdR).

 

“Ciascuna vita ha eguale valore”

Nel testo Pratical Ethics (Cambridge University Press, 1993) Singer esprime chiaramente il principio di uguaglianza tra uomo e animale difendendo la tesi secondo cui non si può ritenere la vita del primo più degna della vita animale: “dovremmo riconoscere che dal punto di vista degli esseri stessi, ciascuna vita ha lo stesso uguale valore. È forse vero che la vita di una persona può includere lo studio della filosofia mentre quella di un topo non lo può; ma i piaceri della vita di un topo sono tutto quello che un topo ha, e si può presumere che abbiano per il topo altrettanta importanza dei piaceri della vita di una persona per quella persona” (TdR pp.105-106).

Nello stesso testo Singer immagina delle obiezioni circa il vegetarianismo a cui risponde. La prima mette in dubbio la scelta vegetariana in quanto, in natura, gli animali mangiano gli altri. Singer ribatte con tre ordini di questioni: “per iniziare, molti animali che uccidono per cibo non sopravvivrebbero senza, invece noi non abbiamo bisogno di mangiare animali. In seguito è curioso che gli uomini, che normalmente credono che il comportamento animale sia 'bestiale', quando fa loro comodo usano un argomento che implica che dobbiamo guardare al comportamento animale come guida. Il punto più decisivo, comunque, è che gli animali non umani non sono capaci di considerare le alternative davanti a loro e riflettere sull'etica delle loro scelte alimentari”. All'obiezione che richiama in causa la teoria darwiniana secondo cui nell'evoluzione il più forte prevale sul più debole, Singer imputa due errori. Il primo è l'errore fattuale di credere che il consumo di animali sia parte del processo evolutivo dell'uomo: “questo può essere vero per le poche culture primitive che ancora cacciano per il cibo, ma non ha niente a che fare con la produzione di massa di animali prodotti nelle industrie di allevamento” (p. 71). Ma l'errore più corposo presente nell'obiezione è l'errore di ragionamento che consiste nell'affermare che poiché il processo è naturale allora è giusto.

 

Animali soggetti di diritto

Tom Regan, professore emerito di Filosofia presso la North Carolina State University, è stato tra i primi iniziatori del dibattito sui diritti animali e si è posto in contrasto con le teorie di Singer di stampo utilitaristico. Secondo Regan il punto da cui partire non sono gli interessi degli animali non-umani ma piuttosto i soggetti di questi diritti, vale a dire occorre argomentare una teoria che definisca gli animali soggetti di diritto. Nel suo primo testo The Case for Animal Rights (University of California Press, 1983) esprime in modo ampio e sistematico la teoria secondo cui gli animali sono enti detentori di diritti, ma l'argomentazione era già presente nell'articolo dal titolo Do animals have a right to life? ripreso dall'articolo originario The Moral Basis of Vegetarianism, comparso sul “The Canadian Journal of Philosophy” nel 1975, in cui si vuole dimostrare che gli argomenti usati per definire il diritto alla vita degli esseri umani implicano necessariamente che questo diritto includa anche gli “animali non umani”. L'argomentazione parte dall'analisi delle motivazioni per cui comunemente si attribuisce a tutti gli esseri umani un “equal natural right to life” [“uguale diritto naturale alla vita”, TdR] per dimostrare come se queste vengono accettate debbano necessariamente essere valide anche per gli animali, in caso contrario verrebbero negate anche in riferimento agli umani. Più esattamente, ad esempio, se affermiamo che la base su cui dichiarare che tutti gli esseri umani hanno questo diritto in quanto hanno la capacità di ragionare e di fare libere scelte, si deve osservare che “prima di tutto non è chiaro se gli animali non umani soddisfino queste condizioni e, secondariamente, è ragionevolmente chiaro che non tutti gli esseri umani le soddisfino”, e dunque se accettassimo che le condizioni suddette legittimino a determinare il discrimine tra enti che detengono il diritto alla vita e enti che non ne godono, a quel punto saremmo costretti a dire che nemmeno tutti gli esseri umani ne sono detentori. L'argomentazione che, invece, propone Regan richiama il valore inerente della dignità a ogni essere vivente, secondo i termini della filosofia kantiana ma la riconfigura definendo il “valore inerente” in termini di “positive interests”. Vale a dire che tutti gli esseri umani hanno diversi interessi positivi, come desideri, obiettivi, speranze, preferenze e dunque “ogni essere che ha interessi positivi che, se soddisfatti, determinano esperienze che sono altrettanto intrinsecamente preziose come la soddisfazione degli interessi comparabili di qualsiasi altro individuo, dovrebbe avere un pari diritto alla vita” (Ibidem, TdR) e se è vero che si può replicare che gli interessi degli animali siano di grado inferiore rispetto ai più alti interessi – per esempio la vita contemplativa – dell'uomo, d'altro canto va affermato che “lo stesso vale per molti esseri umani: i loro interessi possono essere in gran parte limitati a cibo e bevande [...] Eppure non si direbbe che un tale uomo ha un minore diritto alla vita rispetto ad un altro, partendo dal presupposto che tutti gli uomini hanno un uguale diritto alla vita. Né, dunque, possiamo dire che gli animali, a causa dei loro interessi 'basilari', hanno meno diritto alla vita” (TdR). L'argomentazione conclude che, alla luce di quanto detto, dato che le argomentazioni più razionali e convincenti in favore dell'esistenza di un diritto alla vita per tutti gli esseri umani implicano necessariamente un riconoscimento dello stesso anche per gli animali, allora sono i “non vegetariani che devono mostrarci come il loro modo di vivere non contribuisca alle pratiche che sistematicamente ignorano il diritto alla vita che gli animali hanno” (TdR) (Tom Regan, Do Animals have a right to life? Da The Moral Basis of Vegetarianism, “The Canadian Journal of Philosophy, October, 1975. Il suddetto criterio per definire l'azione morale viene rielaborato nel testo fondamentale The case of animal right (traduzione italiana: I diritti degli animali, Garzanti 1990) definendo gli enti che godono del valore inerente, “soggetti-di-una-vita”.

Nel testo Regan offre, inoltre, una definizione dello statuto etico degli animali includendoli nei cosiddetti “pazienti morali”, distinguendoli dagli “agenti morali”. Questi ultimi, sono “individui che dispongono di molteplici e sofisticate capacità, inclusa in particolare quella di improntare a principi morali imparziali la determinazione di ciò che, tutto considerato, si deve moralmente fare, nonché la capacità, una volta compiuta questa determinazione, di scegliere liberamente di agire, o meno, conformemente a quanto esige la moralità, così come essi la concepiscono. Dato che gli agenti morali dispongono di queste capacità, è giusto ritenerli moralmente responsabili delle proprie azioni” (TdR, p. 214). I “pazienti morali”, invece, non sono responsabili delle proprie scelte in quanto “sono privi della capacità di formulare principi morali, nonché di ispirarvisi nel deliberare quale sia, tra un numero di molteplici atti possibili, quello che sarebbe giusto o corretto compiere” (p. 215) e a essi appartengono anche gli animali. Anche essi possiedono il “valore inerente” – discrimine che definisce gli enti che hanno diritto a essere trattati con rispetto – e sono definibili “soggetti-di-una-vita” e cioè “hanno credenze e desideri, percezione, memoria, senso del futuro, una vita emozionale, nonché sentimenti di piacere e dolore, interessi-preferenze e interessi-benessere, capacità di dare inizio all'azione in vista di gratificazione dei propri desideri e conseguimento dei propri obiettivi, identità psicofisica nel tempo, e benessere individuale nel senso che la loro esperienza di vita è per loro positiva o negativa in termini logicamente indipendenti dalle loro utilità per altri” (ibidem, pp. 331-332).

In un testo più recente, pubblicato in Italia con il titolo Gabbie vuote (Edizioni Sonda, 2005) il messaggio è così sintetizzato dall'autore in un'intervista pubblicata sul Corriere: “Le persone in tutti modi devono cercare di raggiungere questo obiettivo: gabbie vuote. Anche perché è la nostra ignoranza che costringe gli animali a stare in gabbia. È la nostra arroganza che ci spinge a considerarli come semplici oggetti. Questo è il messaggio centrale del libro ed è un messaggio molto semplice” (Carlotta de Leo, “Facevo a pezzi gli animali, ora li difendo", “Corriere della Sera”, 5 ottobre 2009).

 

Etica della responsabilità

Infine vanno ricordate le etiche della responsabilità umana che condividono l'idea della necessità di un trattamento morale degli animali, ma discordano sul riconoscimento agli animali di diritti e dunque sull'egualitarismo interspecifico. John Passmore (filosofo australiano morto nel 2004) e Mary Midgley (filosofa morale inglese) “più che sui diritti degli animali insistono sulla 'responsabilità' dell'uomo nei loro confronti” e ciò sottende la tesi, espressa da Passmore, secondo cui l'uomo nel suo agire sulla natura incorre in responsabilità morali, in quanto non padrone ma custode di essa (cfr. Sergio Marini, Filosofi, animali, questione animale, EduCATT 2011).

In Italia, le ragioni etiche che sottendono la scelta vegetariana sono espresse da Umberto Veronesi. Nelle prime pagine del libro Verso la scelta vegetariana, scritto insieme a Mario Pappagallo (Giunti, 2011), recupera il comune amore per gli animali come condizione primaria della scelta vegetariana e aggiunge che “il rispetto per la vita è una delle grandi conquiste dell'uomo, ed è un segno di civiltà […]. Chi rispetta la vita dovrebbe rispettarne ogni forma. Gli animali, soprattutto i mammiferi, hanno un elevato livello di consapevolezza, coscienza, sensibilità e molti di loro hanno la capacità di sviluppare sentimenti. Condividono la nostra biologia e sono dotati di coscienza e per questo io credo che abbiano il diritto di non essere uccisi e di essere rispettati”.

Anche mangiare carne può essere etico

Nel marzo 2012 il “New York Times”, notando che il dibattito intorno all'eticità della scelta alimentare era quasi totalmente dominato dai sostenitori del vegetarianismo, invita i suoi lettori a interrogarsi sulla questione indicendo un contest in cui chiunque avrebbe potuto partecipare con un testo argomentativo sull'eticità di mangiare carne. La giuria –composta da Peter Singer, Jonathan Safran Foer, Michael Pollan, Mark Bittman e Andrew Light – ha decretato vincenti le argomentazioni di Jay Bost, pubblicate successivamente sulle pagine del “New York Times”. L'autore del saggio è un docente della Warren Wilson College e agroecologo, e si definisce un ex-vegetariano.

La sua tesi inizia constatando che i motivi che rendono non etica una scelta alimentare non sono impliciti nell'abitudine di mangiare carne, e dunque mangiare carne non è poco etico in sé ma solamente se si fa in modo che “gli animali siano uccisi in condizioni crudeli, il grano che potrebbe nutrire persone affamate sia usato per nutrire gli animali, [ci sia] il bisogno di deforestazioni per creare pascoli” (TdR). Sono questi gli aspetti che rendono una scelta alimentare non etica, e dunque se eliminati anche la scelta di mangiare carne può essere definita etica. Dunque l'argomento principale dell'autore è che “mangiare carne in alcune circostanze è etico, mangiare carne in altre circostanze non è etico. Così come mangiare vegetali, tofu o grano, coltivati in certe circostanze è etico e quelli prodotti in altri modi non è etico” (TdR). Per presentare il discrimine per decifrare cosa, nella scelta alimentare, sia giusto o ingiusto, l'autore recupera le tesi dell'ecologo statunitense Aldo Leopold che afferma “una cosa è giusta quando preserva l'integrità, stabilità e la bellezza della comunità biotica”.

Una buona mucca allevata liberamente all'aperto è capace di trasformare la luce del sole catturata dalle piante in calorie e proteine condensate con l'aiuto di microorganismi nel suo intestino e quindi rispetta il ciclo biotico. La catena Sole → piante → mucche → uomo, in una visione etica sembra molto più chiara di quella che implica, invece, l'uso di carburante per i mezzi autoarticolati che coltivano i campi, l'irrigazione, la mietitura con i trattori, e la spedizione dei prodotti vegetali fino all'uomo. Fortunatamente, sottolinea l'autore, al giorno d'oggi tra le tecniche di allevamento esistono buoni esempi ecologicamente vantaggiosi e ciò è dovuto al fatto che “molti agroecologisti concordano sul fatto che gli animali sono parte integrante di un sistema agricolo correttamente sostenibile”. In conclusione, scrive l'autore, si può definire etico mangiare carne se questo soddisfa tre condizioni: “si accetta la realtà biologica che la morte genera la vita su questo pianeta e che tutta la vita (inclusa la nostra) è propriamente energia solare temporaneamente immagazzinata in una forma non permanente. Secondariamente se si unisce questa comprensione con l'accorato e compassionevole trattamento umano e si sceglie cibo, verdure, grano o carne eticamente prodotti. Terzo, se si è grati” (Jay Bost, The Ethicist Contest Winner: Give Thanks for Meat, “The New York Times”, 3 maggio 2012).