Una delle tesi unificanti dei complottisti è di tipo geopolitico: gli attentati sarebbero stati voluti o permessi dall’élite occidentale (in primis dal governo degli Stati Uniti) per giustificare la successiva agenda di guerra e controllo. Questa teoria parte da un dato storico: nel settembre 2000 il think tank neoconservatore Project for the New American Century pubblicò un rapporto in cui sosteneva che, per accelerare l’accettazione di un rafforzato ruolo militare USA nel mondo, sarebbe servito un evento catastrofico simile a “una nuova Pearl Harbor”. Esattamente un anno dopo, l’11/9 fornì quell’evento shock. I sostenitori del complotto occidentale vedono in ciò la pianificazione deliberata di un auto-attentato: elementi nell’amministrazione Bush (ideologicamente motivati a espandere l’egemonia americana e la presenza in Medio Oriente) avrebbero orchestrato gli attacchi o quantomeno lasciati accadere, così da avere carta bianca per implementare il loro programma. Gli obiettivi strategici sarebbero stati molteplici: giustificare l’invasione dell’Afghanistan e poi dell’Iraq (ricchi di risorse petrolifere), consolidare l’alleanza con Israele contro i comuni nemici islamisti e introdurre negli USA misure di sorveglianza interna senza precedenti (Patriot Act, Homeland Security) sfruttando la paura generata. In sostanza, l’11 settembre sarebbe stato un false flag – un auto-attentato da attribuire a un colpevole fittizio (al-Qaida) – per manipolare l’opinione pubblica occidentale. A supporto, i complottisti citano circostanze come il famoso discorso del Segretario di Stato Colin Powell all’ONU nel 2003 sulle (inesistenti) armi di distruzione di massa irachene: una menzogna di Stato che fu effettivamente usata per legittimare la guerra in Iraq. Se il governo Bush ha potuto mentire al mondo su quel casus belli, perché non avrebbe potuto inscenare anche un attacco per creare il casus belli stesso? Questa linea di pensiero è abbracciata non solo da frange anti-USA interne, ma anche da Paesi antagonisti. Emblematiche furono le parole del presidente iraniano Ahmadinejad all’ONU nel 2010, il quale sostenne che “la maggioranza degli americani e delle nazioni” ritiene che settori del governo USA abbiano orchestrato gli attentati “per rafforzare la loro presa sul Medio Oriente e salvare il regime sionista”. Tali affermazioni rispecchiano un sentimento diffuso in molte opinioni pubbliche medio-orientali, dove i sospetti di un complotto CIA-Mossad rimpiazzano la responsabilità di al-Qaida. Secondo la narrativa pro-complotto, insomma, l’11 settembre fu troppo “utile” per l’Occidente per essere un semplice attentato nemico. Ad esserne avvantaggiati furono proprio gli Stati Uniti e i loro alleati, che ottennero carta bianca per ridisegnare gli equilibri globali. Vengono anche ricordati precedenti in cui gli USA avrebbero contemplato false flag (ad esempio, Operation Northwoods negli anni ’60, un piano poi abortito che prevedeva attacchi simulati per accusare Cuba). In questa ottica, l’11/9 sarebbe stato una operazione cinica interna per manipolare il mondo: una versione estrema ma che, a giudizio dei complottisti, spiegherebbe in modo lineare il “cui prodest” dell’evento e tutti i successivi sviluppi geopolitici. Il mantra spesso ripetuto è: “sono stati gli stessi americani, per poter invadere paesi ricchi di petrolio”. Questa tesi, sebbene respinta come infondata dai governi occidentali, ha attecchito in ampi settori dell’opinione pubblica globale, alimentata dalla generale sfiducia verso le superpotenze e dai reali errori/orrori commessi nelle guerre seguite all’11/9.
Nina Celli, 24 ottobre 2025