I complottisti vedono uno dei punti più deboli della versione ufficiale nell’evento del Pentagono e nella mancata risposta delle difese aeree statunitensi. Secondo loro, le prove che il Pentagono sia stato colpito da un Boeing 757 sono tutt’altro che convincenti. Viene fatto notare che l’unico foro d’impatto iniziale sulla facciata misurava circa 5 metri – “troppo piccolo per un Boeing”, affermano – e che i rottami visibili nelle foto sono pochi e di difficile attribuzione: frammenti di lamiera e componenti minori, ma nessun segno inequivocabile di fusoliera, sedili o motori di un grosso aereo commerciale. Mancano inoltre filmati nitidi dell’impatto: le uniche riprese disponibili (dalle videocamere di sorveglianza del Pentagono) mostrano solo un’esplosione e un oggetto indistinto a velocità, alimentando il dubbio che non fosse un aereo passeggeri. I teorici del complotto sostengono quindi che il Pentagono sia stato colpito da un missile o drone militare e non dal volo American Airlines 77: l’attacco sarebbe stato inscenato e poi spacciato per un atto terroristico, piazzando alcuni rottami di aereo sul prato per depistare. A corroborare questa ipotesi, evidenziano che poco dopo l’11 settembre l’FBI sequestrò i filmati di sicurezza di varie telecamere private nei dintorni (distributori, hotel) che avrebbero potuto riprendere l’incidente. Questi video non furono mai divulgati integralmente, fatto che per i complottisti suggerisce una copertura per nascondere che in video non compariva alcun aereo. Un altro pilastro della narrazione cospirativa è la questione della mancata intercettazione: quattro aerei dirottati hanno volato nello spazio aereo USA per quasi due ore senza essere fermati, una situazione senza precedenti. In particolare, i sostenitori del complotto reputano incredibile che il terzo aereo (che colpì il Pentagono alle 9:37) abbia potuto addirittura tornare verso Washington indisturbato dopo gli attacchi a New York. Ritengono che la US Air Force disponesse del tempo e dei mezzi per intercettarlo (così come il quarto aereo, precipitato in Pennsylvania) e il fatto che nessun caccia sia intervenuto è considerato prova di un ordine impartito dall’alto di tenere a terra i caccia intercettori. Questa teoria del “let it happen on purpose” (lasciar accadere di proposito) si basa anche su alcune coincidenze sospette: proprio l’11/9 erano in corso più esercitazioni militari che simulavano scenari di dirottamento, circostanza che – a detta degli stessi controllori di volo – creò confusione nelle prime fasi dell’emergenza. I complottisti ipotizzano quindi che qualcuno ai vertici abbia deliberatamente disattivato o rallentato la risposta della difesa aerea (NORAD), ordinando di non abbattere i velivoli. Il risultato sarebbe duplice: da un lato permettere al vero ordigno (missile o drone) di colpire indisturbato il Pentagono, dall’altro garantire che tutti e quattro i bersagli (Torri, Pentagono, forse Campidoglio) venissero centrati, aumentando l’impatto emotivo. In pratica – secondo questa visione – l’apparato militare USA avrebbe simulato un’imbarazzante inefficienza mentre in realtà eseguiva dall’interno parte dell’attacco. L’ipotesi del missile sul Pentagono e del stand-down dei caccia è tra le più care ai complottisti perché suggerisce una complicità attiva di settori dello Stato nell’11/9. L’ampia diffusione di questi dubbi è testimoniata dal fatto che, a distanza di anni, una larga fetta di popolazione USA continua a non credere completamente alla versione ufficiale: nel 2017 oltre metà degli americani riteneva di non conoscere ancora tutta la verità su ciò che avvenne l’11 settembre.
Nina Celli, 24 ottobre 2025