Coloro che sostengono incondizionatamente l’IA ritengono che il fermento, per quanto accompagnato da speculazione e qualche esagerazione, non configuri una vera bolla destinata a scoppiare rovinosamente. Al contrario, l’entusiasmo attuale sarebbe giustificato dalla natura rivoluzionaria della tecnologia e dai solidi fondamenti di crescita che la sorreggono. Gli argomenti contrari si sviluppano lungo diverse linee, a partire dalla constatazione che la domanda di IA è reale e in accelerazione costante, non un fuoco di paglia artificiale. Un primo punto chiave è che gli investimenti colossali in infrastrutture IA (data center, chip, reti) non sono fini a se stessi o sostenuti solo dall’hype, ma rispondono a un bisogno concreto di capacità computazionale. Jensen Huang, CEO di Nvidia, sottolinea come “negli ultimi sei mesi la domanda di computing IA sia aumentata in modo sostanziale”, il che riflette l’adozione dilagante di modelli IA in settori sempre più vari. Se c’è fame di potenza di calcolo, argomentano i contrari, significa che l’IA sta già generando valore (es. tramite automazione di compiti, analisi dati avanzate, nuovi servizi). Le bolle vere e proprie spesso sono gonfiate da domanda fittizia o speculativa (pensiamo alle case comprate per rivenderle nel 2008); qui invece aziende di ogni settore acquistano GPU e servizi cloud IA per utilizzarli operativamente, segno che ci sono applicazioni utili. Lisa Su, CEO di AMD, ha dichiarato che chi parla di bolla “pensa troppo in piccolo”, perché stiamo solo iniziando un “superciclo decennale” dell’IA. In altre parole, siamo di fronte a una nuova piattaforma tecnologica, paragonabile all’elettrificazione o all’avvento di Internet, destinata a creare opportunità per anni. In questa visione, gli alti investimenti odierni somigliano più a quelli necessari a costruire le ferrovie o le reti elettriche del passato: spese ingenti e speculative all’inizio, ma che hanno abilitato decenni di crescita. Il World Economic Forum stesso evidenzia che certe “bolle” (come la ferrovia o la bolla dot-com) hanno lasciato in eredità infrastrutture e innovazioni che hanno trasformato la società. I contrari enfatizzano questo concetto: anche se un giorno il mercato azionario correggesse, gli investimenti in capacità computazionale e algoritmi rimarranno come base per l’economia digitale futura. Dal punto di vista finanziario, chi nega la bolla evidenzia alcuni fattori di solidità. Innanzitutto, la redditività attuale dei big dell’IA: Microsoft, Google, Amazon, Nvidia e altri stanno già registrando utili importanti dal cloud, dai chip e dai servizi IA. A differenza delle dot-com che bruciavano cassa senza profitto, qui abbiamo aziende con flussi di cassa positivi che reinvestono in IA. Nvidia, per esempio, ha moltiplicato il fatturato e l’utile negli ultimi due anni grazie alla vendita di GPU per l’IA. Anche OpenAI, sebbene non ancora redditizia, genera ricavi significativi (si parla di oltre 1 mld $ al mese). I contrari ammettono che le valutazioni borsistiche sono elevate (Nvidia con P/E ~55, il doppio di 10 anni fa), ma notano che il rapporto prezzo/utili medio delle aziende IA rispetto ai loro potenziali futuri non ha sforato livelli storicamente insostenibili. Il capo economista di Allianz, ad esempio, ha affermato che i multipli attuali, pur ambiziosi, restano sotto i picchi della bolla 2000 quando rapportati ai profitti prospettici. Inoltre, a differenza di altre bolle gonfiate a leva, la bolla IA (se così la si vuol chiamare) non presenta un indebitamento generalizzato: “This is not financed by debt”, ha rimarcato P.O. Gourinchas dell’FMI, suggerendo che un eventuale scoppio sarebbe più assorbibile, colpendo azionisti ma non innescando fallimenti a catena. In pratica, senza mutui subprime o margin loans a cascata, una correzione sui titoli IA potrebbe essere dolorosa in Borsa ma non trasformarsi in crisi finanziaria sistemica. Un altro pilastro delle tesi di coloro che credono nell’IA riguarda l’effetto di lungo termine. Si riconosce che forse nel breve alcune aspettative sono esagerate, ma si ritiene che l’IA abbia un trend di crescita inevitabile e robusto. Mark Zuckerberg incarna questa visione “mista”: ha ammesso la possibilità di una bolla, “ma il rischio maggiore è non investire abbastanza”. Egli e altri CEO (come Arvind Krishna di IBM) sostengono che, anche se la rivoluzione IA impiegherà anni a portare i suoi frutti, questi saranno enormi e stravolgeranno i modelli di business. Pertanto, qualche eccesso di investimento oggi è visto quasi come fisiologico o addirittura utile. La storia dell’innovazione insegna che ogni nuova tecnologia attraversa un periodo di sperimentazione caotica e hype (basti pensare alla “corsa all’elettricità” di fine ’800, con aziende elettriche sorte ovunque e poi consolidate). Brynjolfsson parla di “J-curve della produttività”: nelle prime fasi una nuova tech può abbassare la produttività (perché bisogna imparare ad integrarla, riorganizzare i processi), ma poi, superato un certo punto, esplodono i guadagni di efficienza. Gli anti-bolla applicano questo concetto all’IA: oggi forse vediamo pochi incrementi misurabili e tanta spesa, ma dal 2025-2026 in poi la curva potrebbe impennarsi, giustificando retroattivamente gli investimenti. Ad esempio, Dario Amodei (CEO di Anthropic) ha previsto che entro il 2027 l’IA sarà “migliore degli umani in quasi tutto” – una timeline ottimistica, ma che riflette la fiducia di molti insider. Se anche la metà di queste previsioni si avverasse, non saremmo in una bolla destinata a scoppiare, ma in un ciclo di innovazione radicale. Sul piano pragmatico, anche qualora si verificasse una correzione, essa non spazzerebbe via l’IA. Pat Gelsinger, ex CEO Intel, ha detto: “Sì, siamo in una bolla… ma non scoppierà per diversi anni” e quando accadrà sarà una frenata, non un collasso. Questo perché c’è troppa sostanza industriale dietro l’IA: non è una mania su asset intangibili senza utilità, ma è fatta di fabbriche di chip, reti elettriche potenziate, data center globali. In caso di sgonfiamento, semplicemente alcune aziende falliranno e i colossi compreranno i loro asset a sconto, consolidando il settore. Jeff Bezos ha evidenziato che le “bolle industriali” spesso hanno esiti positivi, forti di invenzioni e infrastrutture. Nel caso dell’IA, i “vincitori” potrebbero essere le stesse Big Tech o altre aziende capaci di monetizzare davvero l’IA; comunque, chi investe ora in ricerca e infrastruttura getta basi che rimarranno. Pertanto, contrariamente a bolle puramente finanziarie dove dopo lo scoppio rimane poco (es. tulipani appassiti o schemi speculativi vuoti), qui rimarrebbero dataset, algoritmi avanzati, hardware specializzato, talenti formati. Ad esempio, la bolla dot-com finì male per molte dot-com, ma ci lasciò l’ossatura di Internet, fibra ottica posata ovunque e società come Amazon e Google pronte a guidare l’era successiva. Similmente, anche se ci fosse una riduzione di valutazioni, l’IA non scomparirà né tornerà nell’ombra di un “inverno” lungo, perché ormai è integrata in troppe applicazioni quotidiane (dai motori di ricerca potenziati a decine di servizi intelligenti). I contrari contestano poi l’idea che “non si vedano utili”. È vero che molte startup IA sono in perdita e che una larga fetta di utenti usa servizi gratuiti (97% degli utenti ChatGPT non paga, secondo dati Menlo Ventures). Ma notano che è un modello di business deliberato: prima si scala la base utenti con versioni free, poi si monetizza su enterprise e premium. Già ora però OpenAI fattura oltre 1 miliardo al mese e, pur prevedendo 8 miliardi di perdita quest’anno, ciò indica che c’è disponibilità a pagare per l’IA (soprattutto lato aziende). Goldman Sachs stima che la spesa globale in IA raggiungerà 500 miliardi $ nel 2026, includendo investimenti corporate e governativi: un mercato enorme e in crescita che genererà ricavi lungo la filiera (per produttori di chip, cloud provider, sviluppatori software). Dunque, più che bolla, è un boom con fondamentali in costruzione. Jan Hatzius, capo economista di Goldman, ha calcolato che l’IA potrà aggiungere un punto di PIL l’anno alla crescita di lungo termine – un impatto reale dietro le valutazioni odierne. Finché rimane questa prospettiva, i mercati possono fluttuare ma difficilmente vedremo un “crollo totale di fiducia”. Infine, coloro che si oppongono all’idea della “bolla” ridimensionano anche il fattore psicologico: è vero che c’è hype, ma anche molta consapevolezza dei limiti. Non siamo di fronte a un’isteria collettiva, bensì a un ottimismo calibrato. I CEO stessi parlano di “bolla” in modo molto aperto (Altman, Zuckerberg, Gelsinger ne discutono pubblicamente), segno che il settore è auto-cosciente e non accecato. Questo contrasta con bolle passate dove pochi riconoscevano l’eccesso prima dello scoppio. La trasparenza su rischi e sfide (es. Google ammette che l’AI attuale ha problemi di accuratezza, Nvidia riconosce possibili colli di bottiglia produttivi) indica che si sta operando con un minimo di disciplina. Anche Howard Marks, investitore veterano, vede valutazioni elevate ma “non percepisce la frenesia irrazionale” tipica di una bolla. Finché gli attori mantengono cautela e distinguono buone idee da cattive, è più corretto parlare di boom controllato. Chi sposa questo punto di vista sostiene che l’IA rappresenta un cambiamento di paradigma tecnologico come raramente se ne vedono (paragonabile forse solo all’avvento di Internet o dell’elettricità). In tali fasi, volatilità ed euforia fanno parte del processo di aggiustamento. È normale vedere periodi di “mini-bolla” o corse speculative, ma non saranno essi a definire l’esito finale. L’IA non è un trend effimero creato dal nulla, nasce da decenni di progressi nell’apprendimento automatico, ha già iniziato a risolvere problemi (dalla progettazione farmaceutica all’ottimizzazione logistica) e si sta integrando nelle catene del valore. Pertanto, anche se ci sarà una razionalizzazione (e gli stessi contrari ammettono che qualche esubero c’è), parlare di “bolla” che scoppia equivale a dire che l’IA sia una moda passeggera destinata a dissolversi, cosa che loro respingono. La curva di maturità di Gartner colloca l’IA generativa nel “tunnel della disillusione”? Possibile, replicano, ma la fase successiva è il plateau della produttività, in cui la tecnologia diventa davvero mainstream e redditizia. L’attuale frenesia, dunque, non è un segnale di bolla pronta a esplodere rovinando tutto, bensì il travaglio iniziale di una rivoluzione: qualche velleità cadrà, alcune aziende imploderanno, ma il settore nel complesso continuerà a crescere e l’IA rimarrà la protagonista dell’economia dei decenni a venire.
Nina Celli, 23 ottobre 2025