L’attuale corsa all’intelligenza artificiale presenta tutti i sintomi di una bolla speculativa, in cui valutazioni e aspettative hanno superato di gran lunga i risultati concreti ottenuti finora. Vengono addotti dati allarmanti: secondo un rapporto del MIT, il 95% dei progetti di IA generativa nelle aziende non ha prodotto alcun incremento di profitto, il che indica che l’adozione dell’IA per ora non sta ripagando gli investimenti massicci. Sul fronte macro, la produttività non mostra miglioramenti tangibili nonostante l’ampia diffusione di tool IA – anzi, in certi casi l’uso di modelli come ChatGPT ha rallentato il lavoro invece di accelerarlo. Questa assenza di fondamentali solidi alimenta il sospetto che i mercati stiano muovendosi più sull’onda dell’hype che su basi reali. Gli analisti pro-bolla sottolineano il parallelismo storico con la bolla dot-com di fine anni ’90: allora, come oggi, le borse premiavano qualsiasi azienda “.com” indipendentemente dai bilanci. I capitali affluivano più per paura di perdere l’occasione (“FOMO”) che per piani industriali credibili. Allo stesso modo, oggi “basta dire IA” perché startup senza ricavi vengano valutate miliardi. Torsten Sløk, capo economista di Apollo, ha avvertito che le top 10 società dell’S&P 500 (tutte legate all’IA) sono ancora più sopravvalutate ora di quanto non fossero le big del 1999. Un suo grafico confronta i rapporti prezzo/utili attuali con quelli pre-crash dot-com, mostrando multipli oggi ben più elevati. “La bolla IA è peggiore della bolla IT anni ’90” scrive Sløk, riferendosi al peso enorme che pochi titoli (Nvidia, Microsoft ecc.) hanno assunto negli indici. Ad agosto 2025, una serie di notizie negative (tra cui un paper MIT sui magri ritorni e un lancio deludente di GPT-5) ha innescato un sell-off di oltre 1000 miliardi $ sui titoli tech IA in pochi giorni, con Nvidia -3,5%, Palantir -10%. Ciò indica una estrema sensibilità del mercato: basta un dubbio sull’IA e le quotazioni vacillano, ulteriore sintomo di fragilità speculativa. Un altro elemento ricorrente nelle tesi PRO è la nozione di “capability overhang”: si parla tanto di potenziale rivoluzionario dell’IA, ma le sue effettive capacità utili restano limitate. Ad esempio, i grandi modelli linguistici ottengono risultati notevoli in demo o test, ma nella pratica commettono errori frequenti (allucinazioni) e richiedono supervisione umana costante. Gary Marcus, noto critico dell’IA odierna, ha più volte definito gli LLM “pappagalli stocastici” e previsto che il “castello di carte” dell’hype crollerà quando ci si renderà conto che non possiedono vera comprensione o affidabilità. In effetti, uno studio sull’uso di IA per programmare ha mostrato che, contrariamente alle aspettative, gli sviluppatori aiutati dall’IA sono diventati meno produttivi perché impiegavano tempo a correggere il codice generato. Questo “effetto boomerang” suggerisce che l’IA generativa, lungi dall’aumentare subito l’efficienza, può introdurre attriti e costi nascosti. I pro-bolla sostengono quindi che l’intero impianto narrativo (“IA che trasforma il lavoro e fa esplodere la produttività”) sia prematuro se non infondato. La bolla si reggerebbe sul presupposto che tali miracoli siano dietro l’angolo, ma più passa il tempo senza che si concretizzino, più gli investitori diventeranno nervosi. Un argomento chiave riguarda il meccanismo finanziario della bolla: a differenza di bolle passate alimentate da debito, questa è gonfiata principalmente da capitale azionario e venture capital. Ciò potrebbe far pensare a minori rischi sistemici, ma i pro-bolla ribattono che proprio la concentrazione sui mercati azionari rende il potenziale scoppio pericoloso. Gita Gopinath avverte che un crollo dei titoli IA potrebbe cancellare 20-35 mila miliardi di dollari di ricchezza tra USA e resto del mondo, dati i livelli azionari record e l’esposizione globale su quei titoli. Le perdite patrimoniali ridurrebbero consumi e investimenti, con stime di -2% sul PIL mondiale in caso di shock tipo dot-com. In Europa, l’Autorità bancaria britannica (BoE) ha messo in guardia sulla stabilità finanziaria: se cambia il “sentiment” sull’IA, il contagio agli attivi finanziari potrebbe essere “materiale”. Dunque, i sostenitori di questa visione invitano a non illuderci: “niente debito, niente crisi”; quando scoppia una bolla equity di queste dimensioni, i riflessi sull’economia reale e sul sistema finanziario ci sono comunque, perché la ricchezza di famiglie e fondi pensione ne risentono profondamente. Dal punto di vista sociologico, le voci pro-bolla vedono nell’attuale mania IA un fenomeno di psicologia collettiva già visto: FOMO (Fear of Missing Out) e pressione competitiva spingono aziende e investitori a “buttarsi sull’IA” per non restare indietro. Questo crea un circolo vizioso: più soggetti entrano, più sembra confermata la narrativa che l’IA sia “il nuovo petrolio”, attirandone altri in un processo autoalimentato. Mar Hicks parla di “adozione anticipatoria” – aziende che integrano IA non perché già utile, ma per assicurarsi un posto nel futuro. Il rischio è che, come avvenuto per altre mode (blockchain, metaverso), dopo i proclami iniziali ci si accorga che molte implementazioni erano forzate o premature, portando a disinvestimenti di massa. In sintesi, questa posizione dipinge l’IA 2023-25 come un “colosso dai piedi d’argilla”: dietro la facciata scintillante di valutazioni trilionarie e promesse rivoluzionarie, c’è un livello di maturità tecnologica e sostenibilità economica ben inferiore a quanto si creda. Prima o poi, questa discrepanza si rivelerà – tramite un evento scatenante (fallimento di una big AI? stagnazione dei ricavi? stretta dei tassi?) – e la bolla scoppierà. Gli effetti saranno dolorosi: molte startup svaniranno, investitori perderanno somme ingenti, progetti incoerenti saranno abbandonati. Tuttavia, alcuni ritengono che questo “bagno di realtà” sia necessario per sgombrare il campo dagli eccessi e far sì che l’IA possa poi progredire su basi più solide, senza la distorsione di capitali facili e aspettative irreali.
Nina Celli, 23 ottobre 2025