Oltre all’aspetto umano, il discorso di Trump ha manifestato un grave limite di visione politica inclusiva: è apparso come un monologo rivolto solo a Israele, in cui i palestinesi non avevano ruolo se non come destinatari passivi di condizioni. Nei festeggiamenti della Knesset, l’idea di uno Stato palestinese indipendente – cuore di qualsiasi pace giusta – è stata totalmente assente. Anzi, quando due parlamentari arabi hanno sollevato il cartello “Recognize Palestine”, invocando il riconoscimento della Palestina, sono stati cacciati sotto gli applausi beffardi. Ciò simboleggia l’approccio: la questione palestinese come identità nazionale e diritto all’autodeterminazione è stata deliberatamente esclusa dal discorso. “InsideOver” nota che Trump, pur parlando di futuro di pace, ha chiarito che “nessuno Stato palestinese è all’orizzonte” – i palestinesi di Gaza potranno avere un “parco giochi” ricostruito con soldi arabi e management americano, ma non uno Stato sovrano. In effetti, la struttura di governance proposta (un Board of Peace a guida USA e un comitato palestinese tecnocratico) sembra ricalcare uno schema di amministrazione esterna di Gaza, marginalizzando sia Hamas sia l’ANP a favore di figure nominate dall’esterno. Questo modello è visto da molti come paternalistico e antidemocratico: il destino dei palestinesi di Gaza viene deciso da Trump, Blair e soci, senza alcun mandato popolare. “Al Jazeera” (Fernández) spinge la critica oltre, parlando di “colonial overlordship” – dominazione coloniale – mascherata da Board of Peace. Anche in Cisgiordania nulla cambia: Trump non ha menzionato gli insediamenti illegali né l’annessione strisciante del territorio. Ha ringraziato persino Abu Mazen per il suo supporto al processo, ma non ha speso una parola sulle aspettative politiche dei palestinesi moderati che da decenni chiedono la fine dell’occupazione. Così, ai palestinesi viene concesso solo di “gestire meglio” la loro subordinazione: Gaza avrà un “governo tecnico” ma sempre sotto tutela, in prospettiva (forse), l’ANP tornerà a governare Gaza accanto a Israele che però rimarrà dominus della sicurezza. Questa separazione totale della pace regionale dalla causa palestinese è ciò che molti criticano: Trump prosegue la linea di estromettere i palestinesi dal tavolo negoziale. Come osserva “Mondoweiss”, il suo discorso ha “evitato accuratamente di collegare la fine dell’occupazione israeliana con la normalizzazione araba”, proseguendo un obiettivo di lunga data di Israele: fare pace con gli arabi bypassando i palestinesi. A breve termine può funzionare (gli Accordi di Abramo ne sono un esempio), ma a lungo termine questa esclusione politica è una bomba a orologeria. Human Rights Watch e altre ONG insistono che bisogna affrontare le radici del conflitto, “inclusi i crimini di apartheid e persecuzione” contro i palestinesi – temi completamente assenti nel discorso di Trump. Inoltre, l’aver trattato Hamas come controparte legittima per l’accordo (pur non nominandola esplicitamente nel discorso, era implicito) e l’ANP come attore secondario rischia di delegittimare ulteriormente la leadership palestinese moderata, già debole. In Cisgiordania la gente vede che a ottenere risultati è stata la forza (Hamas ottiene prigionieri liberi e forse ruoli futuri), mentre la via diplomatica di Abu Mazen continua a portare promesse vaghe. Questo potrebbe radicalizzare ulteriormente la società palestinese. La “pace” di Trump non offre alcuna soluzione politica ai palestinesi: nessun percorso verso l’indipendenza, nessuna Gerusalemme Est capitale, nessun diritto al ritorno discusso. Solo la richiesta unilaterale che i palestinesi si accontentino di qualche investimento e di un ruolo minore in un sistema deciso da altri. Una pace così è difficilmente sostenibile, perché un conflitto politico di settant’anni non si risolve riducendolo a un problema amministrativo. I detrattori ritengono dunque che il discorso di Trump abbia sancito la continuazione dell’esclusione politica dei palestinesi, congelando uno status quo ingiusto dietro la facciata del “nuovo Medio Oriente” – e ciò potrebbe minare irreparabilmente la credibilità di questo processo di pace.
Nina Celli, 21 ottobre 2025