Il discorso di Trump ha consolidato attorno al suo piano di pace un consenso internazionale trasversale, segno che la sua strategia gode di fiducia ben oltre la cerchia dei suoi tradizionali alleati. Mentre in passato le iniziative di Trump sul Medio Oriente (ad es. il Deal of the Century del 2020) erano state accolte con freddezza o rifiutate dai partner arabi e dall’Autorità Palestinese, questa volta la risposta è stata diversa. Leader arabi e musulmani di primo piano hanno applaudito gli sforzi di Trump: in un fatto quasi senza precedenti, i ministri degli Esteri di Egitto, Giordania, Arabia Saudita, Qatar, Emirati, Turchia, Indonesia e Pakistan hanno emesso una dichiarazione congiunta di sostegno, elogiando la “leadership” di Trump nel fermare la guerra. Hanno sottolineato elementi fondamentali del suo piano (stop agli sfollamenti forzati, no annessioni, ricostruzione di Gaza) e si sono detti pronti a collaborare attivamente con gli USA per attuarlo. Questo è indice di realismo politico: Paesi che spesso faticano a trovare un’intesa comune (pensiamo alle tensioni Turchia-Egitto o Arabia Saudita-Qatar) si sono allineati attorno alla proposta americana, riconoscendo in Trump un mediatore efficace. Lo stesso presidente turco Erdoğan, non certo amico personale di Trump in passato, lo ha pubblicamente lodato per la “leadership volta a fermare il conflitto”. Ma l’elemento più sorprendente è la posizione dell’Autorità Nazionale Palestinese (ANP): tradizionalmente scettica verso Trump (dopo il trasferimento dell’ambasciata USA a Gerusalemme nel 2018), l’ANP ha invece “accolto con favore gli sforzi sinceri e determinati del presidente Trump per porre fine alla guerra”. In un comunicato diffuso dall’agenzia WAFA, l’ANP ha addirittura affermato di avere “fiducia nella sua capacità di trovare una via per la pace”, rinnovando l’impegno congiunto con Washington a lavorare per un accordo comprensivo. L’ANP si è premurata di ribadire i parametri per una pace giusta (aiuti a Gaza, protezione del popolo palestinese, fine di annessioni e azioni unilaterali, prospettiva Due Stati), ma il tono generale è stato di apertura. Ciò segnala che Trump è riuscito a coinvolgere anche la controparte palestinese moderata, evitando l’errore di isolarla completamente. Contestualmente, esponenti di spicco della comunità internazionale, come il presidente francese Macron e il Segretario Generale ONU Guterres, hanno partecipato attivamente al summit di Sharm el-Sheikh che ha ratificato l’accordo, testimoniando una legittimazione multilaterale del processo voluto da Trump. Anche in Occidente critico, molti hanno messo da parte le riserve per sostenere l’unica via concreta verso la pace: se quasi tutto il mondo appoggia la proposta Trump, come ha notato il presidente della Knesset, ciò riflette la solidità e praticabilità del piano. Va inoltre ricordato che Trump ha dimostrato abilità nel “parlare la lingua” dei suoi interlocutori: con i Paesi arabi ha insistito sulla tutela dei palestinesi (promettendo “niente trasferimenti forzati” e “niente annessioni”), guadagnandosi così la loro fiducia; con Israele ha garantito sicurezza e vittoria. Questo equilibrio comunicativo ha convinto le parti a convergere. In un Medio Oriente spesso diviso, l’iniziativa di Trump ha avuto il merito di creare un raro fronte diplomatico unito: un prerequisito essenziale perché la pace possa durare.
Nina Celli, 21 ottobre 2025