Trump non si è limitato a chiudere la guerra: nel suo discorso ha delineato un’ambiziosa visione di pace duratura e prosperità regionale. Ha più volte richiamato il paradigma degli Accordi di Abramo, suggerendo che l’ampia alleanza tra Israele e Paesi arabi possa ora estendersi e consolidarsi grazie alla fine del conflitto. Davanti alla Knesset, Trump ha enfatizzato come Israele potrà finalmente “godere dei frutti del proprio lavoro” e “fare cose mai ritenute possibili” grazie alla pace, segno che immagina un Medio Oriente in cui l’energia finora spesa in guerra si tradurrà in crescita economica e stabilità. Non ha escluso i palestinesi da questa prospettiva: pur non indugiando su retoriche emotive, ha lanciato un chiaro appello affinché colgano “la loro occasione di voltare pagina”. “Ora è il momento di costruire il vostro popolo, invece di cercare di distruggere Israele” ha dichiarato, offrendo implicitamente il sostegno americano a un percorso di sviluppo palestinese slegato dal terrorismo. Questa linea di pensiero – tipica della diplomazia USA – sposa l’idea che i palestinesi possano ottenere benessere e autonomia graduali attraverso istituzioni efficienti e investimenti, anziché tramite lotta armata. Nel suo discorso, Trump ha promesso di essere “partner” della crescita economica palestinese, e difatti il suo piano prevede un massiccio programma di ricostruzione di Gaza con fondi arabi e supervisione internazionale. Ciò risponde a un’esigenza reale: Gaza è devastata e la priorità assoluta è far ripartire la vita civile (case, infrastrutture, servizi). Trump, da imprenditore, ha saputo dare centralità a questo aspetto, parlando di “bellissimo futuro più luminoso” per la regione trasformata. La sua enfasi su progetti concreti – come la creazione di un “Board of Peace” con esperti internazionali e regionali per guidare la ricostruzione – indica una strategia che prevede prima di dare ai palestinesi di Gaza sicurezza, lavoro e servizi, poi affrontare le questioni politiche di lungo termine. Sebbene alcuni critici vedano in ciò un paternalismo, altri riconoscono che senza migliorare le condizioni di vita a Gaza qualunque accordo di pace sarebbe fragile. Trump ha insistito sul fatto che “il mondo non permetterà più” che Israele sia attaccato e isolato, e che ora “il mondo vince” – un richiamo al concetto che la prosperità condivisa è una vittoria per tutti, israeliani e palestinesi compresi. La visione di Trump espressa alla Knesset va oltre la mera cessazione delle ostilità: è un piano di pace positiva, che ambisce a trasformare il Medio Oriente in una zona di cooperazione economica, investimenti (ha citato gli ingenti profitti già realizzati dai Paesi firmatari degli Accordi di Abramo) e stabilità. Questa impostazione ricorda precedenti storici come il Piano Marshall: prima ricostruire e far prosperare, poi risolvere le dispute politiche. Per molti osservatori favorevoli, si tratta di un approccio pragmatico e lungimirante: dare un futuro migliore ai palestinesi (scuole, ospedali, lavoro) è il modo più solido per integrare Gaza nella pace e spegnere l’estremismo.
Nina Celli, 21 ottobre 2025