Il discorso di Trump alla Knesset è stato pesantemente criticato per la sua ottica unilaterale: l’ex presidente ha evocato solo il dolore israeliano, ignorando del tutto la catastrofe umanitaria palestinese causata dalla guerra. Inoltre, un’ora di intervento, Trump non ha mai pronunciato parole di cordoglio per i civili di Gaza – oltre 66.000 uccisi, fra cui migliaia di bambini– né ha riconosciuto le sofferenze patite dai palestinesi sotto le bombe e l’assedio. La parola “palestinesi” è apparsa appena due volte, per giunta in frasi di circostanza: una volta nel contesto generico di “l’incubo è finito non solo per Israele ma anche per i palestinesi” e un’altra per ammonire che d’ora in poi sta a loro scegliere la via giusta (abbandonare il terrorismo). Nulla invece sulle loro perdite e sul loro diritto al lutto. Il “Middle East Monitor” sottolinea che ai palestinesi Trump ha concesso solo “un cenno vago, come fossero una nota a pie’ di pagina nella guerra altrui”. Non ha menzionato i massacri a Gaza, le città rase al suolo, le famiglie annientate. Ha parlato di “trauma di Israele”, ma non del trauma di un’intera popolazione palestinese sotto assedio. Emblematica la scena dei due parlamentari (Ayman Odeh e Ofer Cassif) che durante il discorso hanno innalzato un cartello con scritto “genocide” per richiamare l’attenzione sul dramma di Gaza: la reazione è stata una loro immediata espulsione dall’aula, accolta da risate e commenti sarcastici di Trump (“molto efficiente”). In quel momento, osserva “Al Jazeera”, si è visto chiaramente cosa “Trump non ha detto alla Knesset”: tutto ciò che riguardava i palestinesi in quanto vittime è stato semplicemente rimosso dal discorso pubblico. Perfino quando ha ricordato i dati della guerra, Trump ha citato solo i caduti israeliani e i loro familiari, giurando “mai dimenticare, mai più”, ma non ha dedicato analogo pensiero alle decine di migliaia di palestinesi sterminati (per lui, l’unico numero che contava era “20 ostaggi tornati a casa”). Questa asimmetria morale è stata definita scioccante: come evidenzia Belén Fernández su “Al Jazeera”, Trump ha esaltato la vittoria militare israeliana, spingendosi a vantare che gli USA forniscono “le migliori armi, e voi [israeliani] le avete usate bene” – un’affermazione vista come un sinistro tributo all’annientamento di Gaza. Nei territori palestinesi molti hanno percepito il discorso come l’ennesima conferma che per Trump le vite palestinesi contano meno: nessuna parola su intere famiglie cancellate, sui bambini rimasti orfani, sul milione e mezzo di sfollati. Questa mancanza di empatia alimenta rabbia e frustrazione. Le organizzazioni umanitarie hanno deplorato il silenzio sulle responsabilità: Human Rights Watch ha ricordato che a Gaza i civili hanno affrontato “uccisioni illegali, fame, evacuazioni forzate” per due anni e ha chiesto di non normalizzare queste atrocità sotto il tappeto di una pace “imposta”. Trump, al contrario, ha fatto finta che quel contesto non esistesse. Anche sul piano lessicale, egli ha accuratamente evitato termini come “occupazione”, “blocco”, “crimini di guerra” – centrali per definire la realtà palestinese – sostituendoli con concetti vaghi di “terrorismo vs pace”. In definitiva, il discorso è apparso sordo alla tragedia palestinese: un monologo per gli israeliani, davanti agli israeliani, in cui i palestinesi comparivano solo come ex nemici da redimere, non come esseri umani da compiangere. Questa impostazione ha sollevato critiche diffuse: come può un discorso di “pace” ignorare metà del dolore in gioco? Secondo i detrattori, l’assenza di riconoscimento del dolore palestinese non è solo immorale ma anche politicamente deleteria, perché trasmette ai palestinesi il messaggio di essere invisibili e irrilevanti agli occhi di chi media – un terreno poco fertile per qualsiasi riconciliazione autentica.
Nina Celli, 21 ottobre 2025