L’intervento di Trump alla Knesset è stato un necessario gesto di leadership e amicizia verso Israele, che ha infuso speranza dopo due anni di guerra. Il presidente USA ha saputo parlare al cuore degli israeliani colpiti dal trauma del 7/10, offrendo solidarietà e l’impegno a “non dimenticare mai, mai più”. La platea lo ha accolto come un liberatore: introdotto come “il migliore amico che Israele abbia avuto”, Trump ha ricevuto standing ovation e applausi bipartisan, segno di un consenso raramente visto alla Knesset. In piazza, decine di migliaia di israeliani commossi hanno associato il suo arrivo alla fine dell’incubo – “Trump ha fatto tutto”, esclamano alcuni tra gli abbracci e le lacrime. Nel discorso, Trump ha elogiato il coraggio di Israele e condiviso il lutto per gli attacchi subiti, per poi proclamare l’inizio di un’era di pace per “tutti i popoli della regione”. Questo messaggio inclusivo, unito al calore umano mostrato (ha ringraziato i mediatori arabi e perfino Ivanka per la sua conversione all’ebraismo, guadagnandosi un’ovazione), ha consolidato la sua immagine di costruttore di ponti. La giornata storica del 13 ottobre ha visto gli ultimi 20 ostaggi tornare vivi a casa e la folla a Tel Aviv inneggiare a Trump come all’artefice del miracolo. Agricoltori hanno scritto “Nobel 4 Trump” nei campi e perfino esponenti politici d’opposizione lo hanno ringraziato pubblicamente. Dopo anni di tensioni tra Israele e Washington, l’evento ha segnato una riappacificazione totale: “quando Trump è stato eletto, da un giorno all’altro tutto è cambiato”, ha detto Netanyahu, riconoscendogli di aver fatto per Israele ciò che “nessun altro presidente americano” aveva mai fatto. Il discorso di Trump – coi suoi toni calorosi e il suo sincero entusiasmo – ha rinsaldato un’alleanza fondamentale, ridato fiducia a un popolo provato e incarnato il ruolo (persino scritto sui cappellini) di “Presidente della Pace”. In un Medio Oriente spesso diffidente verso interventi esterni, Trump è riuscito nell’impresa di farsi percepire come amico e protettore: un risultato politico e umano di enorme portata. Per la prima volta in due anni, le armi tacciono e gli ostaggi sono liberi: questo risultato tangibile porta la firma di Donald Trump. Nel suo discorso egli ha potuto proclamare – con enfasi ma a ragion veduta – “questa lunga e difficile guerra è finita”. Le sue parole sanciscono un fatto senza precedenti: Hamas ha deposto le armi e liberato tutti gli ostaggi superstiti, evento a cui nessuno, nei momenti più bui, osava sperare. Trump ha illustrato davanti alla Knesset i termini concreti della vittoria: 20 israeliani strappati alla prigionia, 250 detenuti palestinesi di lungo corso e 1.700 arrestati dopo il 7/10 rilasciati, un’“alba storica” per una Terra Santa finalmente in pace. Ha ricordato che l’incubo di due anni – sirene, bombe, coprifuoco – ora è terminato. Questo traguardo, ottenuto con la forza ma anche con la diplomazia, è stato riconosciuto persino da voci inizialmente critiche: la sinistra israeliana e gli osservatori internazionali ammettono che Trump è riuscito dove altri hanno fallito. Il “Forward” sottolinea come la tregua di Trump realizzi ciò che gli ebrei americani auspicavano dal 2023: “il ritorno degli ostaggi, la fine delle sofferenze dei palestinesi e la rimozione di Hamas come minaccia”. Anche esponenti liberal, pur poco inclini a lodarlo, hanno dovuto “prendere atto” che il suo approccio risoluto ha funzionato. Netanyahu, che pure aveva promesso di distruggere Hamas militarmente, ha riconosciuto che l’accordo di Trump “ha conseguito tutti gli obiettivi” e porta a casa risultati concreti. L’elemento umanitario è cruciale: le immagini degli abbracci tra ostaggi e famiglie – definite “potentemente emozionanti” anche da media non teneri con Trump – testimoniano che questo accordo ha salvato vite dall’incubo. Trump stesso, incontrando in privato alcuni ostaggi liberati, è apparso toccato e consapevole della portata storica del momento. Si può discutere su chi ne tragga vantaggio politico, ma è indubbio che il cessate il fuoco made in Trump abbia “cambiato tutto”: ha messo fine a due anni di sangue, prevenendo ulteriore distruzione e gettando le basi per un nuovo capitolo. Anche critici interni come Bernie Sanders hanno dovuto riconoscere nei fatti il valore del ritorno a casa degli ostaggi, pur “esitando a dare credito a Trump” secondo “Fox News”. In sintesi, il discorso di Trump alla Knesset ha celebrato – a ragione – una vittoria umanitaria e strategica: lo stop alle ostilità e lo scambio di prigionieri segnano il punto di svolta che la comunità internazionale invocava, e Trump ne è stato il catalizzatore.
Nina Celli, 21 ottobre 2025