I sostenitori di questa tesi evidenziano con preoccupazione gli effetti deleteri che la strumentalizzazione in atto sta avendo sul clima sociopolitico, paventando rischi di ulteriore violenza e deriva autoritaria. Invece di unire la nazione nel lutto e in una condanna condivisa della violenza, la retorica incendiaria adottata da Trump, Meloni e altri sta “gettando benzina sul fuoco” delle divisioni già esistenti. Alcuni puntano il dito sul linguaggio di guerra civile emerso nel campo conservatore e sulle possibili conseguenze. Elon Musk che twitta “The Left is the party of murder”, Laura Loomer che proclama “The Left are terrorists. You could be next”, Alex Jones che ripete ossessivamente “This is a war”: sono slogan che diffondono un senso di emergenza esistenziale, spingendo i seguaci a sentirsi in guerra aperta contro metà del Paese. “Wired” documenta come su forum radicali molti utenti abbiano preso queste parole alla lettera: “War is coming… war is here”, scrivono, alcuni invocando addirittura “la guerra civile che i sinistri hanno cercato, così poi faranno le vittime”. Questa retorica bellicosa non è rimasta confinata a frange anonime: esponenti istituzionali come la deputata Luna hanno urlato ai colleghi “Siete VOI l’odio che dite di combattere, le vostre parole hanno causato questo”, sostenendo implicitamente che i democratici siano collettivamente colpevoli e meritino punizione. Insomma, il dibattito pubblico sta degenerando in uno scambio di accuse totalizzanti – “voi avete il sangue sulle mani”, “voi siete fascisti che volete ucciderci” – in cui ogni lato disumanizza l’altro. Secondo alcuni analisti, questo è un segnale d’allarme gravissimo: “In un’America sempre più divisa e polarizzata, l’omicidio di Kirk è tanto più tragico perché è un attacco alla libertà di parola e alla democrazia, baluardi contro la discesa verso il caos”, scrive l’“ISPI”. Se invece di fermarsi e riflettere insieme, le fazioni reagiscono scatenando un “cane mangia cane” retorico, la spirale di violenza rischia di avvitarsi ulteriormente. Si evidenzia anche la deleteria personalizzazione del conflitto: Meloni, notano gli oppositori, ha utilizzato l’episodio per rafforzare il suo ruolo di leader di fazione, ignorando il suo dovere di moderare i toni come capo di governo. Il risultato è un ancor maggiore avvelenamento del dibattito. Giulio Cavalli su “Left” avverte che “è un gioco sporco che sporca tutto: la memoria della vittima, la qualità del dibattito pubblico, la tenuta democratica”. Quando ogni lutto diventa pretesto per rilanciare propaganda e insulto, la fiducia reciproca tra cittadini precipita e cresce la tentazione di passare dalle parole ai fatti. Non è un caso che subito dopo questa campagna di polarizzazione, la minaccia di nuove violenze sembri aumentata. “La Discussione” riferisce che la base MAGA, fomentata dalla retorica di vendetta, ha iniziato a chiedere “giustizia fai-da-te” (le veglie e le bandiere a mezz’asta accompagnate però da una sete di “vendetta” annunciata). Trump stesso, più che calmare gli animi, ha promesso azioni repressive straordinarie. Questo clima può incoraggiare emulatori o estremisti di destra a colpire figure di sinistra, in una tragica vendetta incrociata. In parallelo, chi abbraccia queste posizioni, mette in guardia dall’erosione delle libertà civili favorita da questo clima. Come visto, la scia dell’omicidio ha portato a ondate di licenziamenti, sospensioni e “purghe” di chi ha espresso opinioni minoritarie o sgradevoli. L’ACLU denuncia “campagne mirate di intimidazione” e “cultura della paura” nelle scuole e università. Questo scenario inquieta, perché ricorda logiche maccartiste: usare l’indignazione per un delitto come giustificazione per colpire nemici politici interni (professori liberal, giornalisti critici ecc.). I fautori di questa tesi sostengono che la democrazia americana (e occidentale) rischi un “giro di vite” autoritario se tali pratiche si consolidano: oggi si licenzia un docente per un tweet su Kirk, domani magari si legittima la sorveglianza speciale verso attivisti di sinistra, dopodomani la censura diretta. Un editoriale di “The Guardian” cita la “cultura del timore” che si sta instaurando nei campus e mette in guardia: proteggere la libertà d’espressione “in tempi di crisi non è un lusso, ma un dovere fondamentale”. Invece, la strumentalizzazione sta giustificando l’opposto: punizioni esemplari e tolleranza zero verso chi dissente anche solo a parole. Ma è esattamente l’obiettivo di chi strumentalizza: sfruttare l’ondata emotiva per stringere la morsa sul dissenso e sull’altra metà del paese. Stephen Miller ha parlato apertamente di colpire chi “finanzia la violenza”, alludendo a manifestazioni di protesta legittime, e JD Vance descrive la sinistra come un “movimento estremista distruttivo” da perseguire duramente. C’è quindi il rischio concreto che, in nome della vendetta per Kirk, si avvii una caccia alle streghe contro associazioni, ONG o oppositori bollati come fiancheggiatori morali del crimine (spesso senza alcuna base). Ciò ricorda dinamiche già viste in passato: ad esempio dopo l’11 settembre si insinuò che critiche alla politica USA equivalessero a sostenere i terroristi, e questo ridusse lo spazio di dibattito. Ora la morte di Kirk viene usata per delegittimare qualsiasi voce “non allineata” (come indica satiricamente Judd Legum: “Charlie Kirk era un campione della free speech e chi dice il contrario verrà licenziato”). Secondo questa tesi, la strumentalizzazione dell’omicidio Kirk non è un gioco innocuo di retorica: incendia ulteriormente gli animi, potenzialmente spingendo qualche altro estremista (magari dall’altra parte) a compiere vendette o azioni emulative, in una spirale infinita. Al contempo erode i pilastri democratici – il rispetto del dissenso, la libertà di parola, la fiducia tra avversari – instaurando un clima da “stato d’eccezione permanente” in cui ogni mezzo è lecito contro il nemico interno. Un’America (o un Occidente) in cui ciascun campo considera l’altro un “terrorista” da annientare con misure speciali è un’America avviata verso il collasso civile. “Quando la gente smette di parlare, è allora che scoppia la violenza”, amava dire lo stesso Charlie Kirk. Ebbene, i sostenitori di questo punto di vista avvertono che la strumentalizzazione odierna sta proprio facendo smarrire il terreno comune del dialogo, portando i “falchi” di entrambi gli schieramenti a non parlarsi più se non con linguaggi di odio e paura. Se questo processo non viene invertito la morte di Kirk potrebbe segnare davvero “un punto di svolta verso la violenza e il caos politico”, ma nel senso opposto a quello narrato dalla destra: non per colpa di un fantomatico complotto progressista, bensì per colpa di chi, invece di arginare l’estremismo, lo cavalca per convenienza. Come chiosa “Agenda Digitale”, “col trascorrere del tempo si fa spazio la convinzione” che la politica entri poco con questo omicidio, e chi insiste a politicizzarlo sta solo “buttando benzina sul fuoco” di un odio che travalica gli schieramenti.
Nina Celli, 18 settembre 2025