Secondo questa tesi, l’atteggiamento fermo tenuto da Trump, Meloni e dagli altri leader conservatori dopo l’omicidio Kirk non è una strumentalizzazione opportunistica, ma un’azione di difesa necessaria dei valori democratici di fronte a un attacco gravissimo. In quest’ottica, molte delle critiche rivolte alle misure annunciate dalla destra sarebbero ingiuste: piuttosto, i contrari vedono quelle misure come provvedimenti a tutela della libertà e della sicurezza di tutti, e le loro parole forti come un monito a non sottovalutare l’estremismo violento. Un punto chiave è che i leader di destra hanno interpretato l’omicidio Kirk come attacco alla libertà di espressione. Kirk stava tenendo un discorso in un campus – incarnando quindi quel libero confronto di idee su cui si fonda la democrazia – ed è stato ridotto al silenzio con la forza delle armi. Questo è un fatto di enorme gravità: “un proiettile contro Kirk è un proiettile contro tutti noi”, ha scritto efficacemente “National Review”. In altre parole, permettere che un tale atto passi come fatto isolato equivarrebbe ad accettare il “veto dell’assassino” nel dibattito pubblico, dove basta uccidere un oppositore per zittirne le idee. Perciò, la destra ha reagito mobilitando le istituzioni (bandiere a mezz’asta, discorsi alla nazione, piani di sicurezza): segni che lo Stato e la società non tollerano alcuna violenza. Alcuni vedono in queste mosse un rafforzamento dei valori democratici. Trump, che definisce Kirk “il migliore d’America” e ne onora la memoria con un discorso solenne, ha l’obiettivo di ribadire: non lasceremo che i difensori dei nostri ideali vengano demonizzati e soppressi nell’indifferenza generale. È un messaggio anche dissuasivo: chiunque stia pensando di emulare Robinson sappia che quei gesti compatteranno la nazione invece di intimidire la parte politica colpita. I sostenitori di tale posizione affermano dunque che la “politicizzazione” in realtà coincide con prendere sul serio la dimensione politica dell’omicidio per combatterne le cause. Le misure annunciate da Trump – un piano nazionale contro la violenza politica, con coinvolgimento di National Guard e FBI – vengono descritte come derive autoritarie. Ma i contrari replicano: come si può definire autoritaria la volontà di assicurare che politici e attivisti non vengano più presi di mira? Se, poniamo, durante gli scontri del 2020 la sinistra chiedeva energicamente di perseguire i suprematisti violenti, ciò era considerato doveroso; allo stesso modo oggi la destra che chiede di perseguire i terroristi rossi sta agendo per difendere la legge e l’ordine. Il “Daily Beast” può ironizzare sul “tracollo della narrativa di Trump” quando gli si ricorda i casi di violenza di destra, ma i contrari rispondono che quei casi (Hortman, Pelosi ecc.) sono già stati puniti e condannati dalle istituzioni. Invece, le violenze di sinistra spesso sono giustificate o coperte. Citano ad esempio i disordini Antifa e BLM del 2020, dove diversi esponenti Dem minimizzarono come “proteste per la giustizia sociale”. Oppure gli attacchi vandalici contro sedi repubblicane raramente enfatizzati dai media mainstream. Da qui la convinzione che finalmente il governo (USA e anche altri Paesi) debba agire con più rigore verso quell’area grigia di estremismo di sinistra. Le proposte di Miller e Vance – infiltrare, disarticolare e perseguire le reti che finanziano l’estremismo progressista, perfino ricorrendo a legislazioni tipo RICO se necessario – vengono viste non come misure liberticide, ma come il minimo che uno Stato può fare per difendersi da chi lo vuole destabilizzare. “Se non distruggiamo la rete di ONG e finanziatori che fomenta la violenza di sinistra, sarà lei a distruggere noi”, ha twittato l’ex candidato Blake Masters, e i contrari lo citano per intero perché ne condividono la sostanza. Non c’è esagerazione, affermano: l’omicidio Kirk ha dimostrato che quell’ecosistema di odio produce morti, dunque va smantellato.ù In questo alveo rientra anche la questione dei licenziamenti e sospensioni. Lungi dall’essere un’ondata censoria, i contrari la considerano un “rimettere le cose al loro posto”. Per anni – sostengono – docenti e funzionari apertamente schierati a sinistra hanno diffuso retorica di odio verso la destra (magari scherzando sul “fascista buono è fascista morto”), protetti dal manto del free speech e dall’indulgenza del sistema progressista. Ora che quell’odio è sfociato nell’omicidio di Kirk, è giusto che chi lo ha sdoganato ne risponda. Come dire che “le parole hanno conseguenze”, e se un professore scrive sui social che “non è lo stesso uccidere MLK e un attivista MAGA”, quel professore non può educare i giovani, perché sta di fatto giustificando l’omicidio politico. Lo stesso vale per giornalisti o funzionari pubblici. Dunque, i contro sostengono che non si sta limitando la libertà di opinione neutrale, ma si sta sanzionando comportamenti palesemente anti-etici e fiancheggiatori della violenza. “The Guardian” può definire “intimidazione” questa campagna di pressione, ma i contrari la chiamano “accountability”. Del resto, fanno notare, quando alcune aziende licenziarono dipendenti che avevano partecipato all’assalto del Campidoglio (6 gennaio 2021), i liberal applaudirono, poiché la consideravano “conseguenza delle proprie azioni”. Ora sta avvenendo qualcosa di simile: chi ha gioito per il sangue, in un ruolo pubblico, ne paga le conseguenze. È un segnale moralizzatore che rafforza i valori civili, non li indebolisce. Altro aspetto è la mobilitazione popolare che la destra ha promosso. Le veglie con le candele in onore di Kirk, le cerimonie pubbliche, la diffusione di messaggi di solidarietà (anche dall’estero): i contrari lo vedono come un tributo sincero e come mezzo per infrangere la narrazione ostile su Kirk. Per molto tempo Kirk è stato dipinto da certa stampa come “estremista” e “odio-influencer”; dopo la sua morte, i suoi alleati hanno voluto mostrare al mondo il lato umano e positivo di Charlie. Non tanto per santificarlo strumentalmente, ma per ristabilire la sua dignità contro chi, persino dopo morto, lo ha etichettato spregiativamente. “La Nuova Bussola” protesta perché i media continuano a chiamarlo “negazionista climatico” e “no vax” nei necrologi, segno di pregiudizio ideologico incrollabile. Era dunque sacrosanto – dicono i contrari – contrapporre a questa narrazione la realtà di un giovane padre carismatico, patriota e impegnato per il suo Paese. Quando Trump su Truth Social ha scritto “Nessuno capiva il cuore dei giovani americani meglio di Charlie”, ha fatto un elogio sincero e tardivo a un alleato, ma ha anche mandato un messaggio: “apprezzate ciò che quest’uomo rappresentava”. Allo stesso modo, leader come Marco Rubio hanno definito Kirk “marito e padre incredibile, grande americano” per umanizzarlo agli occhi di chi lo demonizzava. Questo sforzo di “ripulire l’immagine di Kirk” è interpretato da alcuni come propaganda per santificarlo, ma i contrari replicano che è invece un atto dovuto di giustizia verso un uomo vilipeso. Se c’è strumentalità – affermano – è semmai nella sinistra che continua a screditarlo perfino da morto (cosa che considerano indegna). In proposito citano come esempio positivo l’atteggiamento del nuovo Speaker repubblicano Mike Johnson alla Camera USA: egli ha guidato una preghiera per Kirk e la sua famiglia, proponendo un momento di unità; alcune voci democratiche hanno obiettato e c’è stato caos in aula, con la repubblicana Luna che ha reagito accusandoli di complicità. I contrari sottolineano questo episodio per dire: guardate, anche un semplice gesto di omaggio bipartisan a Kirk è stato osteggiato da alcuni dem, a riprova che l’odio esiste. In tal senso, dicono, la “durezza” delle risposte di figure come Luna (tweet infuocati) non è strumentale ma “difensiva”. È uno sfogo comprensibile di chi vede i propri colleghi minimizzare la tragedia. I contrari alla l’idea che vi sia strumentalizzazione ritengono che la mobilitazione internazionale di solidarietà – come l’evento di Vox a Madrid – non sia stata un “cavalcare la tigre” per secondi fini, ma un segnale di un sentimento comune in tutta la destra occidentale: la sensazione di essere sotto attacco e la volontà di fare fronte unito. “Non ci ammazzano perché siamo fascisti, ci chiamano fascisti per ammazzarci” è diventato uno slogan transnazionale perché risuona come vero per molte persone. Che leader di vari Paesi (Milei, Orbán con un video, Meloni con un messaggio registrato) abbiano voluto partecipare al tributo a Kirk indica che percepiscono quell’evento come un monito anche per loro. “El País” definisce quell’evento un “giudizio sommario contro la sinistra”, ma i contrari rispondono: se tutti questi leader – da culture diverse – hanno reagito così, forse è perché riconoscono uno schema globale (l’intolleranza “woke”) e vedono in Kirk un simbolo condiviso. Per loro, ciò non è manipolare la vicenda, è “dare un nome al nemico comune” che è l’estremismo ideologico progressista. In questo senso, il raduno di Madrid viene vissuto non come un comizio strumentale, ma come un momento di solidarietà internazionale tra conservatori sotto assedio. Così come esistono Giornate della Memoria per vittime di terrorismo, essi considerano giusto ricordare Kirk e ciò che rappresenta. Dunque, secondo questa tesi, la reazione dei conservatori – per quanto dura e politicamente connotata – è stata proporzionata e necessaria. Ha evidenziato un problema reale (violenza di sinistra), ha difeso i principi minacciati (libertà di espressione) e ha adottato misure per prevenire futuri attacchi (piani di sicurezza, discredito pubblico di chi istiga odio). Parlare di “strumentalizzazione” significherebbe chiedere alla destra di restare passiva, quasi di subire in silenzio un atto gravissimo. Anzi, i contrari ribaltano: semmai è stata la sinistra a strumentalizzare per anni parole come “fascista” e “odio” contro la destra, e ora che quelle parole hanno portato a un omicidio vorrebbe zittire la reazione definendola “propaganda”. Ma quell’epiteto non attacca: la base conservatrice ha sentito su di sé la ferita dell’attacco e approva pienamente la risposta decisa. Più che strumentale, la definiscono esistenziale: “dobbiamo reagire così, o verremo annientati”, è il sottotesto. “The Wired” testimonia come addirittura figure estreme chiamino letteralmente alle armi. L’obiettivo ultimo non è “sfruttare” la morte di Kirk, ma evitare futuri Kirk. Se per farlo bisogna essere intransigenti, che così sia. Si tratta, quindi, di autodifesa di una comunità politica sotto attacco. Il che, in democrazia, è legittimo quanto l’autodifesa di un individuo aggredito. Sotto questa luce, le accuse di opportunismo appaiono infondate e semmai offensive: suggeriscono – a loro avviso – che la destra non dovrebbe neanche piangere i propri caduti o denunciare quando è bersaglio. Un’impostazione che essi rigettano fermamente: Charlie Kirk “meritava di essere difeso in vita e in morte”, e finalmente la destra l’ha fatto, chiamando per nome la causa del suo assassinio e giurando di combatterla.
Nina Celli, 18 settembre 2025