I sostenitori di questa tesi respingono l’accusa di sfruttare politicamente la vicenda e sostengono, al contrario, che la morte di Charlie Kirk conferma un trend preoccupante di violenza politica proveniente da settori radicali di sinistra, che finora sarebbe stato sottovalutato o minimizzato. Dal loro punto di vista, evidenziare questa realtà e inquadrarla politicamente non è strumentalizzazione, bensì un atto dovuto di verità e una difesa legittima. Innanzitutto, sottolineano che emergono precisi indizi di matrice ideologica nell’omicidio: il governatore Cox ha riferito che il sospetto assassino, Tyler Robinson, “aveva un’ideologia di sinistra” e frequentava circoli online dove si incitava all’odio verso figure conservatrici. Inoltre, il giovane conviveva con una partner transgender ed era vicino a ambienti “woke” – dettagli che i contro ritengono significativi, in quanto Kirk era noto oppositore dell’agenda LGBTQ. Agli occhi di questi commentatori, la combinazione è chiara: un fanatico influenzato dalla propaganda progressista (sui social abbondavano attacchi a Kirk, definito “omofobo”, “fascista” ecc.) ha deciso di passare all’azione. Siamo di fronte a un caso di odio politico anticonservatore sfociato nel sangue. La stessa scritta “Bella ciao” incisa sui bossoli – al di là dell’uso ironico – viene letta come la prova di un killer che voleva simbolicamente legarsi all’iconografia antifascista. Le autorità non hanno ancora formalizzato un movente, ma nella percezione dei contrari “tutto lascia presagire che sia stato un assassinio politico” a sfondo ideologico. Anche l’insistenza di certa stampa nel parlare di “lupo solitario” viene vista come un tentativo di scollegare l’omicida dal contesto politico che l’ha influenzato. “La Nuova Bussola Quotidiana” afferma che “è ben nota ed evidente la deriva estremista della sinistra americana che ha istigato al suo linciaggio”. In altre parole: le parole d’ordine violente e delegittimanti che per anni militanti progressisti avrebbero rivolto a Kirk e alla destra (“fascisti”, “nazisti”, “hanno le mani sporche di sangue”) hanno prodotto un terreno fertile per la radicalizzazione di individui come Robinson, fino all’atto estremo. Dunque, quando Trump dichiara che “per anni la sinistra radicale ha paragonato patrioti come Kirk ai nazisti… questo tipo di retorica è direttamente responsabile del terrorismo a cui assistiamo oggi”, i contrari ritengono questa affermazione sostanzialmente corretta. Non c’è strumentalizzazione nel dirlo: è la constatazione di un nesso tra demonizzazione verbale e violenza reale. In questa ottica, essi ribaltano l’accusa di ipocrisia sui progressisti: sarebbe stata proprio la sinistra a “giustificare o minimizzare” l’odio contro Kirk finché non è successo il peggio. Meloni ne ha parlato apertamente, accusando intellettuali come Piergiorgio Odifreddi di aver fatto distinzioni aberranti (sparare a un leader di destra è considerato quasi lecito) e l’intera sinistra di “silenzio o giustificazionismo” davanti all’aggressione. Di fronte a un omicidio così grave e simbolico, ritengono naturale e anzi doveroso che la destra denunci pubblicamente la responsabilità morale di quel clima di odio anticonservatore. “Questo è un giorno buio… la violenza politica deve finire”, ha dichiarato il governatore Cox (repubblicano), chiedendo uno stop a quell’odio alimentato nei mesi precedenti. Parole simili sono giunte in maniera bipartisan, ma i sostenitori di questa visione evidenziano come molti esponenti progressisti siano stati tiepidi nelle loro condanne, quasi riluttanti a riconoscere la matrice anti-destra. Da qui l’indignazione: non c’è strumentalizzazione, dicono, nel pretendere giustizia e verità. “L’omicidio di Kirk scuote l’America nel profondo… la nostra democrazia vacilla”, scrive l’“ISPI” descrivendo un Paese sull’orlo del caos se non si affronta questa spirale di violenza politica. Chi nega che esista una questione di “violenza rossa” starebbe solo gettando fumo negli occhi. Alcuni citano inoltre una serie di episodi che confermerebbero che la minaccia politica in questo periodo proviene quasi sempre da sinistra. Non è solo Kirk: nel giugno 2025 la democratica Hortman è stata assassinata da un estremista (evento menzionato e condannato anche da Trump). Nello stesso attacco fu ferito il senatore repubblicano Hoffman. Poco dopo, il CEO Brian Thompson è stato ucciso a Manhattan da un attivista anarchico e celebrato come eroe da frange estremiste di sinistra sui social. Elon Musk ha rimarcato: “La sinistra è il partito degli assassini”, convinto da questa scia di fatti. Per i contrari, è una iperbole deliberata ma che coglie un nodo reale: c’è “un piccolo ma rumoroso esercito di estremisti di sinistra che inneggiano alla violenza” contro figure di destra (lo si è visto con i post celebrativi per la morte di Kirk). Questo, unito a veri attentati e tentati omicidi (come quello sventato contro Trump nel 2024), configura un fenomeno concreto di terrorismo politico anticonservatore. Chiamarlo per nome non è strumentalizzare, bensì dare un allarme necessario. “La Bussola” parla apertamente di “deriva violenta della politica americana” che ormai “non lascia spazio ad alcuna dialettica pluralista e punta fisicamente a eliminare l’avversario”. In particolare, l’articolo evidenzia come i progressisti non accettino l’esistenza di alternative: Kirk “rappresentava una smentita vivente dell’egemonia radical-progressista… pur non essendo fanatico, dialogava con tutti”, e per questo era odiato – tesi in linea con chi lo considera vittima dell’intolleranza “woke”. Da qui discende la convinzione che fare di Kirk un simbolo sia non solo lecito ma doveroso. I contrari affermano: Charlie Kirk è diventato il “martire della libertà di espressione”. La sua uccisione ha un significato che trascende la sua persona, indicando a tutti i conservatori che possono rischiare la vita per le loro idee. “Ci chiamano fascisti per ammazzarci”, ha sintetizzato Abascal tra gli applausi a Madrid. Questa frase – ripresa anche da Elon Musk in un tweet virale – esprime un sentimento diffuso: l’etichetta di “fascista” appiccicata a chiunque dissenta dall’ortodossia progressista ha creato un clima d’odio disumanizzante che rende moralmente lecita la violenza contro di loro. Per i contrari, smascherare questo meccanismo e rendere Kirk un “martire” serve esattamente a invertire la narrativa: a ricordare al mondo che anche i conservatori possono essere vittime di odio politico, e che la retorica antifascista esagitata può condurre all’omicidio. “Non è un caso isolato, è la prova ripetuta che la sinistra non rinuncia alla violenza”, ha detto Abascal. E il presidente argentino Milei: “Kirk è l’ennesima prova di cosa è la sinistra allo stato puro: odio e risentimento”. Dichiarazioni forti che i critici bollano come propaganda, ma che i contrari rivendicano come denuncia genuina di una realtà pericolosa. Secondo loro, l’omicidio Kirk ha squarciato il velo: come scrive “elDiario.es”, “per Vox tutto è guerra e Kirk è il loro nuovo martire”. Anche se detto in tono critico, i contrari lo sottoscrivono: “sì, è guerra, e Charlie è il nostro martire, perché così stanno i fatti – la sinistra ci fa la guerra, ora è palese”. All’interno di questa narrativa, i contrari ritengono “spropositate” o “strumentali” le accuse di sfruttamento. A loro avviso, chi parla di strumentalizzazione tende a sminuire la gravità dell’evento e a pretendere un impossibile distacco emotivo. Ma come si può restare freddi di fronte all’assassinio di un trentunenne, padre di famiglia, colpito solo per le sue idee? – chiedono. È naturale che la comunità politica di appartenenza reagisca con forza e indignazione. Non c’è opportunismo, c’è dolore e rabbia autentica. Se alcuni docenti hanno perso il posto per commenti insensibili, per i contrari è giusto: “chi giustifica la violenza fa parte del problema”, ha scritto un deputato GOP. Nessuna “caccia alle streghe”, ma semplice accountability: chi dimostra (anche solo a parole) un tale disprezzo per la vita dei rivali politici non è degno di formare studenti o rappresentare istituzioni. “Zero tolleranza” verso questi comportamenti è, dal loro punto di vista, un segnale doveroso affinché tutti capiscano che l’odio anticonservatore non verrà più ignorato. Anche perché – aggiungono – se i ruoli fossero invertiti, ovvero un attivista progressista fosse ucciso da un fanatico di destra, nessuno esiterebbe a sanzionare pubblicamente chi lo insultasse. Perché dunque scandalizzarsi ora che succede il contrario? Un altro punto cardine è il fatto che i contrari affermano che non è la destra ad aver politicizzato il lutto, bensì la sinistra a volerlo depoliticizzare per convenienza. Cioè: quando un democratico viene attaccato (vedi Giffords 2011, Pelosi 2022) la narrativa liberal individua subito la “radice nell’odio di destra”, e ciò viene accettato come discorso legittimo sul clima politico. Se invece un conservatore viene assassinato, all’improvviso i media liberal invocano di “non politicizzare”. Questa asimmetria viene rifiutata dai contrari: ritengono che tutte le violenze politiche vadano inquadrate per ciò che sono. E nel caso Kirk – ribadiscono – appare lampante l’odio ideologico come movente. Quando Kamala Harris e altri leader democratici dicono “la violenza non ha posto in America”, i contrari apprezzano ma notano la genericità della condanna. Nessun esponente Dem ha apertamente riconosciuto che Kirk forse è stato ucciso in quanto conservatore. Questa riluttanza conferma, per i contrari, la coda di paglia della sinistra: preferisce parlare di “malattia mentale”, “singolo squilibrato” e lanciare appelli generici perché ammettere la natura anti-destra dell’atto significherebbe guardare ai propri eccessi. Anche la stampa mainstream – dicono – gioca su questo: il “The Guardian” e altri enfatizzano i richiami all’unità, ma tacciono sul contesto d’odio in cui Kirk operava (minacce, boicottaggi, etichette infamanti che subiva da anni). Alla luce di ciò, i contrari sostengono che la destra abbia fatto bene a gridare forte la verità scomoda: esiste un odio anticonservatore che uccide. Farlo presente non è speculare, ma “gridare al lupo” quando il lupo c’è davvero. “Fox News”, “Italia Informa” e altre testate di destra hanno semplicemente riportato ciò che i governanti repubblicani dicono: “il problema è a sinistra”. Questa, pur suonando come generalizzazione, riflette una genuina percezione di disparità: basta guardare quante aggressioni recenti hanno colpito figure di destra rispetto a quante ne hanno colpito di sinistra (Hortman a parte). Forse “La Bussola” esagera nell’attribuire il delitto a un “killer professionista addestrato con rete di supporto” – ipotesi non provata – ma tocca un punto: e se dietro Tyler Robinson ci fosse realmente una cellula? Possibile che un 22enne isolato compia da solo un cecchinaggio così preciso? I contrari non escludono la pista di un complotto vero e proprio. Considerano doveroso che le istituzioni (FBI, polizia) la esplorino a fondo, invece di magari insabbiarla per ragioni politiche. Questo punto di vista afferma che non vi è stata alcuna strumentalizzazione indebita: la reazione politica della destra è proporzionata alla gravità dell’accaduto e volta a portare alla luce un problema sistemico di odio e violenza proveniente dall’estrema sinistra. Piuttosto, si accusa l’altro fronte di voler minimizzare e “depoliticizzare” l’evento per non fare i conti con la responsabilità del proprio linguaggio. “Loro hanno creato un clima di odio e adesso vogliono negarci persino il diritto di arrabbiarci”, sarebbe l’idea alla base. Al contrario, onorare Kirk come martire e chiedere misure drastiche contro gli estremisti di sinistra è visto come un atto di giustizia e autodifesa. In quest’ottica, i provvedimenti come abbassare le bandiere, annunciare un piano nazionale di sicurezza, chiedere pene esemplari e pure epurare i fiancheggiatori verbali non sono cinico calcolo, ma passi necessari per proteggere la democrazia da chi la minaccia. “L’uccisione di Kirk è un punto di svolta” – scrivono testate di destra – e “molto dipenderà da come la politica risponderà a questo ennesimo attacco alla democrazia”. I contrari condividono: la risposta deve essere ferma. Chi parla di strumentalizzazione, ai loro occhi, è perché forse preferirebbe si rispondesse con il silenzio e l’oblio, lasciando che col tempo l’episodio venga relativizzato. Invece, la destra vuole tenere alta l’attenzione al fenomeno: “Non ci uccidono per essere fascisti, ci chiamano fascisti per ucciderci”. Una frase che, nella sua durezza, incarna la loro convinzione. Dunque, politicizzare l’omicidio Kirk non solo è legittimo, ma inevitabile e necessario. Non farlo significherebbe accettare supinamente la narrazione edulcorata che elimina il movente ideologico. Questo non vuol dire strumentalizzare, secondo loro, bensì chiamare le cose col loro nome: quello di Kirk è un omicidio politico, figlio del clima di odio anti-destra, e come tale va denunciato e contrastato con ogni mezzo democratico. Farlo non mina la democrazia – come invece sostengono alcuni – ma la difende, mettendo in guardia contro quell’odio e pretendendo sicurezza per tutti i cittadini, indipendentemente dalle idee.
Nina Celli, 18 settembre 2025