Quando si parla di tecnologie che impattano milioni di persone ogni giorno, come il 5G, è legittimo che la società civile sollevi dubbi e chieda garanzie. Ma altrettanto importante è affidarsi a regole scritte da chi ha le competenze per distinguere tra timori percepiti e rischi reali. Le linee guida internazionali in materia di esposizione ai campi elettromagnetici — in particolare quelle dell’ICNIRP (Commissione Internazionale per la Protezione dalle Radiazioni Non Ionizzanti) e quelle recepite dall’OMS — sono il frutto di revisioni sistematiche e aggiornamenti periodici basati su dati verificati e replicabili. E, fino a oggi, non esistono evidenze scientifiche che giustifichino una revisione radicale di questi limiti. Uno dei principali malintesi riguarda il concetto stesso di “effetti non termici”. È vero che il modello ICNIRP si basa sugli effetti biologici legati al riscaldamento dei tessuti. Ma questa scelta metodologica non nasce da negligenza o semplificazione: nasce da un principio di cautela scientifica. Finché un effetto biologico non è stato dimostrato come dannoso, ripetibile e meccanisticamente spiegabile, non può essere assunto come base normativa. La scienza non si basa su suggestioni, ma su prove. La versione aggiornata delle linee guida ICNIRP (2020) ha già preso in considerazione nuovi dati sulla densità di potenza e su segnali a breve impulso, come quelli del 5G, introducendo soglie differenziate. Inoltre, i limiti di esposizione incorporano ampi fattori di sicurezza, fino a 50 volte inferiori ai livelli in cui si osservano i primi effetti biologici lievi. Questo margine è stato pensato proprio per tutelare anche soggetti più sensibili: bambini, anziani, persone con patologie croniche. Non si tratta quindi di limiti “minimi”, ma di valori di sicurezza ampiamente prudenziali. Nel contesto italiano, questa prudenza è ulteriormente rafforzata. Il nostro Paese, fino al 2023, applicava un limite di esposizione di 6 V/m per le aree sensibili, uno dei più bassi d’Europa. Dopo l’intervento del legislatore con la legge 214/2023, tale limite è stato elevato a 15 V/m per uniformarsi alle direttive europee. Ma, come sottolineato dalla Fondazione Ugo Bordoni (FUB) nel suo report tecnico del 2025, anche questo nuovo valore è ancora più restrittivo di quello ICNIRP (61 V/m). Inoltre, le misurazioni reali effettuate dalle ARPA regionali dimostrano che i valori effettivi di esposizione sono ben inferiori ai limiti autorizzati. Un ulteriore elemento a sostegno dell’attuale sistema normativo è rappresentato dalla trasparenza del processo. I membri dell’ICNIRP sono obbligati a dichiarare pubblicamente ogni conflitto di interesse. Il caso della commissaria Maya Mizuno è emblematico: la sua partecipazione a comitati giapponesi sulla compatibilità elettromagnetica è stata giudicata non rilevante per il suo incarico, proprio perché svolta a titolo gratuito e senza legami con industrie del settore. Sotto il profilo tecnico-scientifico, è significativo lo studio pubblicato nel 2025 da un team tedesco su “PNAS Nexus” e ripreso dalla Fondazione Leonardo. I ricercatori hanno esposto cellule cutanee umane a onde millimetriche 5G fino a 10 volte i limiti normativi. Nessun danno genetico, né alterazioni epigenetiche sono state osservate. Si tratta di uno degli studi più avanzati disponibili, condotto con tecniche di RNA-sequencing e controllo cieco, e conferma che i limiti oggi in vigore sono largamente sufficienti a garantire la sicurezza della popolazione. È, inoltre, importante ricordare che le normative evolvono costantemente, grazie al lavoro del Comitato SCHEER della Commissione Europea e delle agenzie nazionali come l’ISS. L’aggiornamento atteso entro fine 2025 della Raccomandazione europea 1999/519/CE è la dimostrazione che il sistema non è statico, ma si adatta al progresso scientifico. Le linee guida attuali, dunque, non sono frutto di pressioni industriali né di trascuratezza. Sono il risultato di un processo multilivello, scientificamente validato, tecnicamente solido e trasparente. La prudenza è già incorporata nei parametri. Chiedere di abbassarli ulteriormente senza nuove evidenze solide non rende il sistema più sicuro, ma rischia di ostacolare lo sviluppo tecnologico e la diffusione di soluzioni innovative, fondamentali anche per la salute pubblica.
Nina Celli, 16 agosto 2025