Negli ultimi anni, il dibattito sulla sicurezza del 5G ha attirato una crescente attenzione pubblica. Alimentato da preoccupazioni, mozioni comunali e campagne social, il timore di possibili danni alla salute legati alle onde elettromagnetiche sembra diffondersi tanto quanto la stessa rete mobile di quinta generazione. Eppure, se si guarda unicamente al metodo scientifico — la verifica sperimentale, la revisione tra pari, l’analisi statistica rigorosa — si scopre che le evidenze oggi disponibili non supportano l’ipotesi di un rischio concreto per la salute umana associato all’uso corretto del 5G. Una prima, fondamentale distinzione riguarda la natura delle radiazioni utilizzate. Le onde radio emesse dalle antenne 5G appartengono alla categoria delle radiazioni non ionizzanti, le stesse utilizzate da radio, TV e reti Wi-Fi da decenni. A differenza delle radiazioni ionizzanti — come i raggi X o gamma — non possiedono energia sufficiente per rompere legami molecolari o danneggiare direttamente il DNA. La Fondazione Ugo Bordoni, in un’analisi aggiornata del 2025, ha ricordato come oltre 47.000 studi siano stati condotti sul tema dei campi elettromagnetici a radiofrequenza, senza che emergano evidenze solide di un rischio oncologico specifico. Gli studi Interphone e Cosmos, i più estesi mai realizzati, non hanno rilevato un aumento statisticamente significativo di tumori cerebrali associati all’uso di telefoni mobili. Anche l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), attraverso il suo portale EMF e i documenti dell'ICNIRP, ribadisce che non esistono prove convincenti di effetti negativi sulla salute umana quando i livelli di esposizione restano entro i limiti stabiliti. Questi limiti, definiti proprio per tenere conto anche dei soggetti più vulnerabili (bambini, anziani, malati), sono stati costruiti con ampie soglie di sicurezza, spesso 50 volte inferiori ai livelli in cui è stato osservato un primo effetto biologico, e ancora di più rispetto a quelli dannosi. L’Italia, peraltro, ha da sempre adottato una delle normative più restrittive d’Europa: prima con un limite di 6 V/m e oggi con 15 V/m, comunque più bassi di quelli ICNIRP. Secondo il prof. Fabio Baronio, direttore dell’area di Ingegneria dell’Informazione all’Università di Brescia, “non ci sono evidenze che dimostrino effetti nocivi del 5G. Non si possono però ancora conoscere con certezza gli effetti a lunghissimo termine, come 40 o 50 anni”. Ecco allora il punto centrale: l’assenza di prove definitive non può essere confusa con la prova di un danno. L’aspetto metodologico è altrettanto cruciale. Alcuni studi che suggeriscono danni — come quelli su animali del NTP e dell’Istituto Ramazzini — sono spesso difficilmente trasferibili all’uomo. Le condizioni sperimentali implicano esposizioni elevate, su tutto il corpo e per periodi intensivi, non paragonabili alla realtà umana, dove l’assorbimento è localizzato e intermittente. In più, come ricordato da ICNIRP, molti di questi studi presentano limiti statistici, campioni ridotti o assenza di replicazione indipendente, tutti elementi che ne minano la validità. Un contributo rilevante arriva anche dal mondo accademico. Uno studio condotto presso la Constructor University e pubblicato su “PNAS Nexus” nel 2025 ha testato gli effetti delle onde 5G fino a 10 volte superiori ai limiti regolatori su cellule epiteliali umane. I ricercatori hanno utilizzato metodi avanzati di RNA-sequencing e metilazione del DNA, concludendo che non si osservano danni genetici né epigenetici. Una conferma, su base molecolare, dell’innocuità del 5G nei contesti realistici. Ciò che emerge con forza dalla letteratura scientifica più ampia e rigorosa è che il 5G, entro i limiti regolamentati, non rappresenta una minaccia per la salute pubblica. Le autorità sanitarie, i ricercatori indipendenti e gli esperti di ingegneria biomedica concordano su questo punto. Continuare a investire in ricerca, certo, è doveroso. Ma nel frattempo, diffondere timori infondati senza solide basi rischia di rallentare l’innovazione e di alimentare disinformazione.
Nina Celli, 16 agosto 2025