Per il governo italiano e ampi settori della maggioranza, la sentenza della Corte di Giustizia UE rappresenta una grave interferenza nella sfera della politica democratica. Secondo Giorgia Meloni, si tratta di un “esproprio del potere decisionale da parte di una magistratura politicizzata”, che attraverso le corti ha bloccato un piano votato dal Parlamento, approvato con legge e sostenuto dalla Commissione europea. La reazione del governo non è solo difensiva, ma ideologica: secondo il ministro Piantedosi e il ministro Nordio, la magistratura – italiana ed europea – avrebbe abusato del proprio ruolo, sostituendosi di fatto al legislatore. Le decisioni dei giudici italiani che hanno sistematicamente annullato i trattenimenti dei migranti trasferiti in Albania sono lette come un attacco al principio di separazione dei poteri, in cui il giudice agisce da “contropotere”, spesso in contrasto con l’indirizzo politico espresso dal voto. La posizione è condivisa anche da diversi esponenti del centrodestra europeo, che vedono nella CGUE una tendenza sempre più attivista, pronta a sconfessare le politiche migratorie nazionali in nome di principi astratti e poco aderenti alla realtà. È questo il senso delle dichiarazioni del premier olandese Schoof, che ha elogiato il “modello Albania” e denunciato un eccesso di “giudizializzazione della politica”. Dal punto di vista democratico, il rischio è evidente: se ogni tentativo di innovazione viene fermato da giudici nazionali o sovranazionali, si svuota la funzione dell’esecutivo e si alimenta la sfiducia dei cittadini nelle istituzioni. Il protocollo Italia-Albania, pur contestato, era stato pensato come risposta concreta a un problema reale – la gestione dei flussi migratori – e godeva di ampio consenso elettorale. C’è anche un rischio giuridico: la sentenza della Corte rischia di congelare qualsiasi sperimentazione futura, anche quelle previste dal nuovo Patto europeo per l’immigrazione (giugno 2026), che permetterà designazioni “condizionate” di Paesi sicuri per gruppi definiti. La rigidità attuale potrebbe scontrarsi con le norme future, creando incertezza giuridica e paralisi operativa. Per i critici, la sentenza della CGUE – pur animata da intenti nobili – segna una pericolosa torsione del potere giudiziario, che rischia di limitare la sovranità legislativa e il principio della democrazia rappresentativa.
Nina Celli, 14 agosto 2025