La gestione dei flussi migratori richiede oggi una difficile sintesi tra tutela dei diritti fondamentali e protezione dell’ordine pubblico. In questa cornice, il protocollo Italia-Albania ha cercato di equilibrare sicurezza e umanità, mantenendo le garanzie giuridiche essenziali anche al di fuori del territorio nazionale. Per i sostenitori dell’accordo, i diritti fondamentali dei migranti sono tutelati attraverso il principio di extraterritorialità controllata, poiché le strutture operative in Albania sono gestite da personale italiano e sottoposte al diritto italiano. Il Viminale ha assicurato che ogni migrante trasferito gode degli stessi standard procedurali previsti sul suolo italiano: accesso a interpreti, assistenza legale, tutela sanitaria e possibilità di ricorso. Non è un centro di espulsione automatica, ma una zona amministrativa italiana esterna, dove si applicano le stesse regole, con la sola differenza logistica della distanza fisica. Le ONG coinvolte nella gestione, come MediHospes, hanno avuto mandato di garantire i livelli minimi di accoglienza stabiliti dalle direttive europee. Dal punto di vista giuridico, il Consiglio di Stato ha più volte ribadito che il trattenimento dei migranti non è una pena, ma una misura amministrativa temporanea. In tal senso, la presenza in Albania non ne altera la natura. Inoltre, il piano prevedeva che il trattenimento durasse solo fino a un massimo di 28 giorni per l’esame della domanda d’asilo in procedura accelerata, rispettando le tempistiche fissate dalla direttiva UE 2013/32. Sul piano sanitario e umanitario, i migranti avrebbero accesso a presìdi medici h24, monitoraggio psicologico e protezione per categorie vulnerabili (minori, donne incinte, persone traumatizzate). Il governo ha più volte sottolineato che nessun minore o donna sarebbe stato trasferito in Albania, evitando così il rischio di separazioni familiari o violazioni della Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia. I promotori dell’accordo sostengono che la detenzione in centri extraterritoriali può anche offrire maggiore sicurezza ai migranti stessi, lontani da ambienti di tratta o sfruttamento. Il rischio di fuga o coercizione da parte di reti criminali diminuisce, e aumenta il controllo statale. Non si tratta, dunque, di una sospensione dei diritti, ma di un modello alternativo di protezione, all’interno dell’architettura costituzionale e comunitaria esistente.
Nina Celli, 14 agosto 2025