Il protocollo Italia-Albania ha segnato un cambio di paradigma nella gestione della migrazione irregolare in Europa. Al di là delle questioni giuridiche, l’accordo si propone come una soluzione concreta a tre grandi sfide: l’eccessiva pressione sui sistemi di accoglienza nazionali, l’inefficacia delle espulsioni e la lentezza delle procedure d’asilo. In questo senso, il modello albanese è stato concepito come un progetto pilota, da valutare anche in prospettiva europea. Secondo i promotori, i centri costruiti a Shengjin e Gjader hanno permesso all’Italia di esternalizzare temporaneamente i processi di identificazione, trattenimento e rimpatrio, sgravando le strutture interne e offrendo un’alternativa concreta ai ricollocamenti interni UE, spesso fallimentari. Il piano prevede la gestione fino a 3.000 migranti al mese, per un massimo di 36.000 l’anno, in spazi controllati, moderni, dotati di supporti medici e legali sotto direzione italiana. Dal punto di vista economico, il protocollo ha un costo stimato di 653,5 milioni di euro in cinque anni, pari a circa 130 milioni annui. È un investimento significativo ma, secondo il Viminale, paragonabile (se non inferiore) al costo di gestione annuale dei centri di accoglienza ordinari in Italia, senza contare i benefici in termini di deterrenza e ordine pubblico. Inoltre, la struttura operativa è stata affidata alla ONG MediHospes tramite convenzione, garantendo l'impiego di personale italiano e creando un indotto per forniture e sicurezza. Anche sul piano politico, il protocollo ha ricevuto appoggi espliciti da Bruxelles. Ursula von der Leyen, nel Consiglio Europeo straordinario dell’ottobre 2024, ha definito l’accordo un “esperimento da cui l’Europa può trarre insegnamento”. La Presidenza polacca del Consiglio dell’UE, nel documento circolato al Consiglio Giustizia e Affari Interni, ha citato il modello Italia-Albania come esempio di “cooperazione innovativa con Paesi terzi”. Emerge quindi un interesse continentale verso forme di gestione extraterritoriale controllata, che potrebbero estendersi anche ad altri Stati candidati all’ingresso nell’UE. La componente politica interna è decisiva: la premier Meloni ha legato il proprio mandato alla riuscita del piano, dichiarandosi pronta a “trascorrere ogni notte nei centri” pur di vederli operativi. Questa determinazione, letta da alcuni come retorica propagandistica, è vista da altri come leadership decisionale, in un contesto europeo spesso paralizzato da compromessi. Il modello albanese può essere considerato un progetto sperimentale sostenibile, replicabile e già inserito nella riflessione strategica dell’Unione Europea sulla nuova governance migratoria.
Nina Celli, 14 agosto 2025