Il protocollo Italia-Albania rappresenta una delle più audaci e innovative risposte alla crisi del sistema di asilo europeo. Firmato nel novembre 2023 dal governo Meloni e dal premier albanese Edi Rama, l’accordo ha aperto una strada finora inesplorata: esternalizzare parte delle procedure di gestione dei migranti in un Paese terzo, formalmente fuori dall’Unione Europea ma alleato strategico e candidato all’adesione. Secondo i sostenitori, la legittimità del protocollo si fonda su una lettura flessibile e coerente della Direttiva 2013/32/UE, che consente agli Stati membri di designare Paesi terzi come “sicuri” per accelerare l’esame delle domande d’asilo. È proprio su questo pilastro che l’Italia ha costruito il meccanismo: selezionare migranti provenienti da Paesi dichiarati sicuri tramite decreto (es. Bangladesh, Egitto) e trasferirli nei centri di Shengjin e Gjader in Albania per completare l’iter di frontiera. La Commissione Europea, durante l’udienza presso la Corte di Giustizia UE (26 febbraio 2025), ha esplicitamente difeso la posizione italiana. L’avvocata Flavia Tomat ha affermato che la normativa comunitaria permette agli Stati di operare selezioni per categorie specifiche, a condizione che siano chiaramente definite e garantite da tutela giurisdizionale nazionale. Inoltre, il Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (art. 78) lascia agli Stati ampio margine su come implementare la politica di asilo, specialmente in situazioni di “pressione migratoria” alle frontiere esterne. A sostegno della legittimità, vi è anche la giurisprudenza evolutiva del Patto europeo su Migrazione e Asilo (in vigore da giugno 2026), che apre alla possibilità di designare Paesi sicuri con eccezioni specifiche per gruppi vulnerabili. La strategia italiana, quindi, si inserisce in un contesto in mutazione, anticipandone i margini operativi. Dal punto di vista costituzionale, il governo ha difeso la validità dell’intesa bilaterale come atto di politica estera e di sicurezza, approvato tramite legge e sottoposto a controllo parlamentare. L’art. 80 della Costituzione consente simili protocolli, purché rispettino i diritti fondamentali: secondo il Viminale, la giurisdizione italiana garantisce che i diritti non vengano meno neanche in Albania, poiché le strutture sono “extraterritoriali” ma a gestione italiana. Per i sostenitori, dunque, il protocollo è una soluzione legittima e innovativa, pienamente compatibile con il quadro giuridico vigente e utile a rafforzare i confini esterni dell’Europa nel rispetto delle norme.
Nina Celli, 14 agosto 2025