La Corte di Giustizia dell’Unione Europea, nella sentenza del 1° agosto 2025, ha inferto un colpo decisivo al protocollo Italia-Albania, dichiarandone l’illegittimità giuridica per violazione del Diritto dell’Unione. Il punto centrale riguarda la designazione dei “Paesi di origine sicuri”: secondo la Corte, uno Stato membro non può considerare “sicuro” un Paese che non offre protezione effettiva a tutta la sua popolazione e su tutto il suo territorio. La presunzione italiana – che Bangladesh ed Egitto siano sicuri – è stata demolita da evidenze contrarie, come persecuzioni politiche, discriminazioni di genere o repressione di minoranze etniche. Il protocollo contraddice l’articolo 47 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’UE, che garantisce a ogni individuo il diritto a un ricorso effettivo davanti a un giudice imparziale. Le norme italiane, basate sul decreto del 7 maggio 2024, negano ai migranti in Albania la possibilità di impugnare la designazione del Paese d’origine come sicuro, escludendo di fatto il controllo giudiziario effettivo. Come rilevato dall’ASGI, si tratta di una violazione strutturale, che priva i richiedenti della possibilità di difendersi in condizioni di uguaglianza. Anche sul piano costituzionale, numerosi giuristi hanno sottolineato le criticità. La detenzione amministrativa dei migranti in Albania è sottratta alla convalida del giudice naturale, come previsto dall’art. 13 della Costituzione italiana. Inoltre, le garanzie di difesa previste dalla CEDU sono difficilmente esercitabili a 500 km dal territorio nazionale. La Cassazione, in una relazione riservata del giugno 2025, ha parlato apertamente di rischio di “trattamento diseguale” e “vuoto di giurisdizione”. Nessuna delle tre ondate di migranti trasferiti nei centri albanesi ha ricevuto una convalida giudiziaria: tutti i trattenimenti sono stati annullati dai tribunali italiani e i migranti rimpatriati. Il Tribunale di Roma ha rinviato alla CGUE già nell’ottobre 2024, mentre la Corte d’Appello ha ritenuto che i centri albanesi configurino di fatto una “zona di frontiera italiana” non soggetta a piena tutela. Per i critici, dunque, il protocollo è giuridicamente viziato e incompatibile con il sistema europeo di protezione dei diritti. Non solo è stato bocciato da ogni istanza giurisdizionale nazionale e sovranazionale, ma rischia anche di minare lo stato di diritto nel tentativo di eludere le garanzie costituzionali.
Nina Celli, 14 agosto 2025