Il rinvio del riconoscimento dello Stato di Palestina, come sostenuto da Giorgia Meloni e condiviso da parte significativa della maggioranza di governo, viene presentato come una scelta di cautela strategica e di responsabilità internazionale. Secondo la premier, “il riconoscimento dello Stato di Palestina, senza che ci sia uno Stato della Palestina, potrebbe addirittura essere controproducente per l’obiettivo” (“Il Manifesto”, “L’Espresso”). La logica sottostante è che un atto puramente simbolico, slegato da un processo politico concreto, rischierebbe di cristallizzare la situazione attuale, riducendo la pressione su entrambe le parti per impegnarsi in negoziati sostanziali. In questa prospettiva, il riconoscimento deve essere l’esito di un percorso complesso, che garantisca la coesistenza pacifica di “due popoli, due Stati” con reciproco riconoscimento e garanzie di sicurezza. Antonio Tajani, ministro degli Esteri, ha ribadito che “il reciproco riconoscimento fra Israele e il futuro Stato palestinese è un punto d’arrivo indispensabile” (“Corriere della Sera”). Questa impostazione si inserisce in una visione più ampia della diplomazia italiana, tradizionalmente attenta a mantenere relazioni bilanciate con tutte le parti in conflitto e a non compromettere i legami strategici con partner chiave, come Israele e gli Stati Uniti. Il contesto attuale rafforza l’argomento della prudenza: la Palestina è divisa politicamente e territorialmente, con Gaza governata da Hamas, organizzazione considerata terroristica da gran parte della comunità internazionale, e la Cisgiordania sotto il controllo di un’Autorità Nazionale Palestinese, debole e delegittimata. Per il governo italiano, riconoscere ora la Palestina equivarrebbe a legittimare un’entità frammentata, senza controllo unitario del territorio e priva di una governance stabile. Il rischio, sottolineato anche da Matteo Salvini, è che un riconoscimento anticipato sia percepito come “un regalo a Hamas”, minando gli sforzi per garantire la sicurezza di Israele. I sostenitori di questa linea ricordano inoltre il precedente del 2005, quando Israele si ritirò da Gaza: anziché inaugurare un’era di stabilità, il vuoto politico portò a un’escalation di violenze culminata negli attacchi del 7 ottobre 2023. Secondo questa visione, ripetere lo stesso errore su scala statale sarebbe pericoloso non solo per la regione, ma anche per la credibilità della diplomazia europea, che rischierebbe di apparire mossa da impulsi emotivi più che da una strategia di pace a lungo termine. Per Meloni e i suoi alleati, dunque, il riconoscimento deve essere il coronamento di un negoziato, non il suo punto di partenza.
Nina Celli, 13 agosto 2025