Se da un lato il vertice Alaska ha stimolato un’intensa attività diplomatica interna, dall’altro ha messo in evidenza la persistente fragilità dell’unità europea e il rischio di marginalizzazione. L’elemento più evidente è stato il rifiuto dell’Ungheria di firmare la dichiarazione di sostegno a Kiev, riportato da “Euronews”, con il governo di Viktor Orbán che ha definito l’adesione dell’Ucraina all’UE “un disastro economico e di sicurezza” e ha promosso un sondaggio nazionale contrario all’ingresso di Kiev. Questa frattura non è un caso isolato. Come sottolinea l’“SPI”, la gestione “bipolare” della crisi da parte di Stati Uniti e Russia sta relegando l’UE a un ruolo di spettatore. Il fatto che i leader europei non siano stati invitati al tavolo principale, insieme a Zelensky, indebolisce la loro capacità di influire direttamente sulle decisioni e rafforza la percezione che le grandi questioni di sicurezza continentale vengano ancora risolte sopra la testa dell’Europa. Sul piano geopolitico, questa esclusione alimenta una dinamica di dipendenza dagli Stati Uniti: se Washington può negoziare direttamente con Mosca senza passare da Bruxelles, i margini di manovra europei si riducono drasticamente. È un segnale preoccupante per un’Unione che aspira a una “autonomia strategica”, ma che in questa vicenda si trova ancora nella posizione di dover reagire alle decisioni altrui. L’unità stessa è in pericolo. La necessità di negoziare posizioni comuni prima di ogni dichiarazione rallenta il processo decisionale e lascia spazio a veti o dissensi che Mosca può sfruttare a proprio vantaggio. Il caso ungherese ne è un esempio: la scelta di Orbán di dissociarsi dalla linea europea fornisce a Putin una leva politica e un segnale di divisione nel fronte occidentale. La marginalizzazione europea rischia di avere effetti a lungo termine. Se il vertice Alaska dovesse produrre un’intesa tra USA e Russia senza la piena partecipazione europea, l’UE si troverebbe nella difficile posizione di dover implementare o sostenere un accordo che non ha contribuito a definire. In questo scenario, come sottolinea “Internazionale”, “gli europei restano fornitori di aiuti ma non architetti della pace”, una condizione che riduce la loro influenza politica e strategica nella regione.
Nina Celli, 12 agosto 2025