Dietro la retorica dell’“America First” e della sovranità commerciale, la realtà globale che si sta delineando a seguito della nuova offensiva tariffaria di Donald Trump racconta una progressiva erosione del ruolo di leadership internazionale degli Stati Uniti; una crescente instabilità geopolitica e una frattura sempre più marcata tra Washington e i suoi alleati storici. Le nuove misure tariffarie di luglio-agosto 2025 hanno colpito oltre 90 Paesi, tra cui i partner commerciali più rilevanti degli USA: Unione Europea, Canada, Giappone, India, Brasile, Svizzera. Se l’obiettivo era stimolare la reciprocità, il risultato sembra essere stato l’inasprimento delle tensioni, non solo commerciali ma anche istituzionali. Come riportato da “La Repubblica”, la decisione unilaterale di Trump ha spinto Bruxelles a considerare l’attivazione di contromisure per 93 miliardi di euro, temporaneamente congelate solo per evitare un’escalation in piena estate. Ma questa “moratoria” europea, secondo fonti diplomatiche, non è un gesto di distensione, è solo una sospensione tattica in attesa dell’autunno, quando sarà chiaro se la Casa Bianca intende davvero dialogare o imporre nuove condizioni. Secondo “Il Sole 24 Ore”, già oggi si registrano fratture interne al blocco UE, con alcuni Stati pronti a negoziare da soli con Washington, minando l’unità europea. Potrebbe verificarsi un effetto domino: la politica dei dazi potrebbe disgregare le alleanze multilaterali, favorendo il ritorno a logiche bilaterali, competitive e potenzialmente conflittuali. Non si tratta solo di tensioni diplomatiche. L’approccio di Trump sta anche alimentando diffidenza nei mercati globali, secondo quanto dichiarato dal Fondo Monetario Internazionale. In una conferenza stampa del 24 luglio, Julie Kozack, direttrice della comunicazione dell’IMF, ha sottolineato come il rapido susseguirsi di accordi, tariffe, pause e riprese stia creando un ambiente di “elevatissima incertezza sistemica”, che scoraggia investimenti e pianificazione a lungo termine. Anche i partner alleati stanno mostrando segni di insofferenza. Come riportato da “ANSA” e “Il Sole 24 Ore”, il Canada e il Brasile – entrambi colpiti da dazi tra il 35% e il 50% – hanno minacciato ritorsioni su forniture energetiche e tecnologiche, mentre in Europa monta il malcontento per le concessioni fatte in cambio di promesse poco vincolanti. Non è un caso che il ministro delle Finanze tedesco Lars Klingbeil abbia definito gli accordi “opachi e asimmetrici”, e che in Italia, secondo la CGIA, i dazi imposti da Trump equivalgano a una perdita annuale stimata tra i 14 e i 15 miliardi di euro, paragonabile al costo dell’intero Ponte sullo Stretto di Messina. A tutto questo si aggiunge un altro effetto collaterale: il deterioramento della reputazione internazionale degli Stati Uniti come garante delle regole globali. Se il commercio diventa una leva coercitiva, piuttosto che una base di cooperazione, allora l’intero ordine multilaterale – costruito in decenni di diplomazia post-bellica – rischia di sgretolarsi. Non è un caso che il “Financial Times” abbia parlato di una "politica commerciale guidata più dalla narrazione elettorale che da una visione strutturale". La strategia dei dazi può forse portare vantaggi negoziali a breve termine, ma a costo di logorare le relazioni internazionali, disintegrare le alleanze storiche e isolare gli Stati Uniti in un momento in cui la cooperazione globale è più necessaria che mai.
Nina Celli, 8 agosto 2025